venerdì 24 maggio 2024
In un sistema dove non c’è nemmeno la parvenza di stampa libera, ogni voce, soprattutto quelle più fantasiose, corre più veloce della povera verità, la prima vittima della dittatura. In Iran ogni morte di personaggi suscita la teoria del complotto. La morte di Ebrahim Raisi, presidente della Repubblica del regime iraniano, e del ministro degli Esteri del suo governo Hossein Amir-Abdollahian e di altri personaggi, quali il governatore dell’Azerbaijan orientale Malek Rahmati, l’emam della preghiera del venerdì di Tabriz Mohammad Ali Ale Hashem, del capo dell’unità di sorveglianza del presidente della Repubblica Mehdi Mussavi e di altre quattro persone, rimane davvero sospetta. Il 19 maggio alle 14,30 ore locale l’elicottero Bell 212, di fabbricazione statunitense in Iran dal 1994, ha avuto un incidente e dopo ben 18 ore i soccorritori sono potuti arrivare sul luogo dell’incidente. Il capogabinetto di Raisi, Gholam Hossein Esmaili, in una intervista ha detto che, dopo aver perso le tracce dell’elicottero di Raisi, ha avuto tre o quattro contatti telefonici con l’emam di Tabriz, Ale Hashem, che gli rispondeva con il telefono del pilota e diceva di sentirsi male e di stare da solo in mezzo gli alberi e di non sapere cosa fosse successo. I contatti telefonici che durano circa quattro ore e il ritrovamento dei cadaveri dopo 18 ore hanno un contradditorio degno della Repubblica islamica. Come era finito il telefono del pilota in mano ad Ale Hashem, dopo l’incidente e dopo che l’emam dichiarava di non vedere nessuno dei suoi compagni di viaggio? Questa dichiarazione, insieme ai dettagli particolari e non richiesti nel racconto di Esmaili, smaschera la menzogna e la costruzione ad arte dei fatti. Ci sono numerosi fatti e contraddizioni per considerare che l’incidente possa essere un attentato. C’è addirittura chi ipotizza che sia stato il Mossad a far fuori Raisi. C’è chi dice che è stato opera di Khamenei per spianare la strada della leadership del regime al suo secondo genito Mojtaba. C’è chi sospetta dei concorrenti di Raisi e dei sostenitori del regime che individuavano in costui un acceleratore della collusione del regime e che per questo l’abbiano fatto fuori. Se nella dittatura i complotti sono all’ordine del giorno e la verità non è di casa, tutto questo si moltiplica nel regime cavernicolo al potere in Iran.
Comunque siano andate le cose, l’incidente è uno smacco ad Ali Khamenei e al suo regime nella sua fase di estrema fragilità. Khamenei al momento di eleggere Raisi alla presidenza del suo regime sacrificò elementi importanti in seno al regime. Khamenei, dopo aver omologato al regime il Parlamento facendo eleggere come presidente Qalibaf, il sistema giudiziario nominando come capo Mohseni-Ejei ed il Governo facendo eleggere come presidente Raisi, ha pensato di aver completato l’opera di un perfetto totalitarismo. Dopo le rivolte popolari del 2017 e del 2019 estese in sostanza in tutto il Paese – che hanno fatto tremare il regime – serviva un sistema perfettamente monolitico. Per la sua salvaguardia il regime non poteva più tollerare il molle Mohammad Khatami, il bizzarro Mahmud Ahmadinejad e nemmeno l’ambizioso Hassan Rouhani. Serviva un personaggio anche se di poco conto e per nulla carismatico, ma spietato e obbediente. Ecco la definizione di Ebrahim Raisi: un utile idiota, in sostanza.
Molti esperti all’interno dello stesso regime sostengono che il sistema della Repubblica islamica non sia né una Repubblica né islamica. Chi è Ebrahim Raisi, l’ottavo presidente di questa Repubblica islamica? Ebrahim Raisi nasce a Mashhad nel 1959 e aveva 18 anni durante la rivoluzione del 1979. Senza alcuno studio, aveva la licenza elementare, né una qualifica teologica, ricopre varie cariche giudiziarie e percorre rapidamente la scala del successo, proprio per le sue caratteristiche: spietato e obbediente. Diciottenne viene inviato a Massjed-e Soleiman, nel sud del Paese, per placare il crescente malcontento e le proteste anti-governative. Diciannovenne diventa procuratore della città di Karaj. Nel 1982 viene nominato procuratore di Hamedan mantenendo il suo posto di procuratore di Karaj, e conserva entrambe le posizioni fino al 1983. Nel 1985 viene nominato viceprocuratore generale di Teheran, cappeggiando il gruppo di repressione col compito di sradicare il movimento dei Mojahedin del popolo. Nel 1988 come viceprocuratore di Teheran diviene membro della “Commissione di morte” di Teheran e nelle carceri di Evin e Gouhar-dasht condanna alla pena capitale decine di migliaia di prigionieri politici, spedendone al patibolo oltre 30mila, la maggior parte attivisti dei Mojahedin del popolo. Dopo aver svolto il compito a Teheran, riceve missioni speciali da Khomeini per eliminare ciò che rimaneva ancora dei prigionieri politici in altre province. Dopo la morte di Khomeini, nel giugno 1989, Raisi diventa procuratore di Teheran e ricopre il ruolo fino al 1994. Ebrahim Raisi, grazie alle sue qualità sopra menzionate, cresce nella gerarchia del regime, ricoprendo i ruoli di capo dell’Ispettorato generale, di membro del Consiglio centrale della società del clero militante, di membro del Comitato speciale per indagare sugli eventi dell’Università di Teheran durante la rivolta studentesca del 1999. Nel 2006 diventa membro dell’Assemblea degli Esperti e nel 2012 viene nominato da Khamenei come procuratore generale del tribunale speciale clericale. Nel 2016 Raisi viene nominato da Khamenei a capo di Astan Qods Razavi, una fondazione religiosa multimiliardaria che gestisce le donazioni al santuario dell’Imam Reza nella città di Mashhad. Nel 2017 Raisi si candida alla presidenza della Repubblica ma viene sconfitto da Rouhani; pertanto Khamenei lo nomina nel 2019 come capo della magistratura del suo regime. Alla fine nel giugno 2021 Raisi partecipa alle elezioni presidenziali e con un’opera complessa tra epurazioni e brogli diviene l’ottavo presidente della Repubblica del regime teocratico. Nell’agosto 2021 ufficialmente assume la carica di presidente, ma rimarrà senza carisma e sempre obbediente, insomma un utile idiota.
Se l’elezione dello spietato e obbediente Raisi alla presidenza della Repubblica era servita per domare la rivolta degli iraniani, con lo scoppio della rivolta a seguito della morte di Mahsa Amini, nel settembre del 2022, si è visto che nulla può impedire la volontà di un popolo per la liberazione. Quindi, l’arma di Khamenei per soffocare la rabbia popolare è risultata inefficace. In più il bellissimo slogan “Donna, vita, libertà” lanciato all’inizio della rivolta, nel frattempo, si è evoluto in “Donna, resistenza, libertà” e questo ha messo in imbarazzo gli attivisti occasionali e disarmato gli opportunisti sempre pronti a sfruttare per i propri vantaggi il sangue di un popolo in lotta per la libertà. In più, l’incapacità totale del Governo di Raisi ha procurato un totale e definitivo fallimento dell’economia del Paese, lasciando il patrimonio nazionale nelle mani degli spregiudicati corrotti. È indubbio che il fallimento del Governo di Raisi è il fallimento di Khamenei e del suo regime. Tutto questo rafforza la teoria del complotto! Chi ha interesse alla sopravvivenza del regime, ha voluto togliere di mezzo Raisi? Khamenei stesso, eliminando Raisi, ha voluto eliminare il suo fallimento e spianare la strada del suo secondo genito Mojtaba alla successione della Guida?
Certo è che questo incidente, comunque, è stato un colpo strategico al gioco di Khamenei e di sicuro intensifica la guerra intestina nel regime. Ai funerali del presidente della Repubblica del regime, il 22 maggio a Teheran, non hanno partecipato gli ultimi tre presidenti. Interessante sapere anche che la cima della montagna, in cui a valle è caduto l’elicottero di Raisi, in lingua azeri si chiama Ghiz-gholleh, cima delle ragazze. Raisi ha sulla coscienza il sangue di decine di migliaia di innocenti. Lui insieme ad altri uomini oscurantisti, usciti dalle caverne della storia, hanno distrutto uno dei Paesi più ricchi al mondo. I mass media di quaggiù possono scrivere dell’oceanica folla ai funerali di Raisi, ma ricordo che l’1 per cento della popolazione iraniana è circa 900mila persone. Forse le stesse persone, quel 93 per cento che ha disertato le urne del regime, sono state presenti ai funerali di Raisi? Comunque, qualcuno si è divertito, attraverso l’intelligenza artificiale, a contare quell’oceano di persone nei filmati: erano in 9.600. Per gli iraniani, però, ciò che rimane nella memoria sono i fuochi d’artificio alla notizia, ancora nemmeno confermata, della morte del boia di Teheran.
di Esmail Mohades