giovedì 23 maggio 2024
Il sessantatreenne presidente iraniano l’Ayatollah Ebrahim Raisi è stato vice guida dell’Iran dal 2021; sempre vestito con il suo turbante nero e con il mantello religioso, in piena difficoltà sia interna che esterna al Paese, impersonava l’ultra-conservatorismo e soprattutto era un forte sostenitore del Nuovo ordine mondiale, oggi rappresentato dal Gruppo Brics+ di cui l’Iran fa parte dal gennaio 2024.
Ma troppi anelli del regime stanno allentandosi sotto la pressione di una politica estera basata sull’egocentrismo a tutti i costi, e sotto il suicidio sociale che sta flagellando il Paese. Comunque, subito dopo l’annuncio del decesso del presidente, importanti segni di solidarietà sono stati espressi al Governo degli Ayatollah sia da parte dei tradizionali alleati dell’Iran, collocati all’interno “dell’asse della resistenza” in opposizione a Israele, sia dal mondo sunnita tradizionalmente avversario dello sciismo iraniano. Al momento, il Governo della Repubblica islamica si è chiuso in un protettivo isolamento, che non prevede variazioni nella politica estera e nella regione. Quindi, abbiamo un proseguimento del sostegno ad Hamas e ai suoi alleati sciiti: gli Hezbollah in Libano, gli Houti in Yemen e le milizie sciite in Siria e Iraq.
Ai fuochi di artificio lanciati dagli iraniani oppositori del carnefice regime al momento della comunicazione della morte del presidente, sono seguiti poco sentiti messaggi di solidarietà da parte dei sunniti Mohammed Bin Zayed, presidente degli Emirati Arabi Uniti e da Sheikh Tamim Bin Hamad Al Thani, emiro del Qatar. Una maggiore manifestazione di supporto è stata espressa dai Paesi alleati dell’Iran, come Siria e Libano, che hanno dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Al Thani e Bin Zayed si erano incontrati per la prima volta con Raisi, in Arabia Saudita a Riad, nel novembre 2023, in un vertice straordinario dove erano presenti anche gli altri leader arabi per dialogare sulla situazione presente a Gaza.
Ma anche la Turchia ha condiviso il dolore dell’amichevole e fraterno popolo iraniano: così ha dichiarato Hakan Fidan, ministro degli Esteri turco. Stessa cosa per l’Iraq, il cui primo ministro Mohammed Chia Al-Soudani ha espresso dolore per la grave mancanza, esternando le condoglianze al leader supremo della Repubblica islamica, Ali Khamenei. Hachd Al-Chaabi – una coalizione di gruppi armati iracheni filo-iraniani – ha sottolineato che il presidente Raisi ha sempre sostenuto come l’Iraq e l’Iran rappresentino un unico popolo che non può essere separato. Il Pakistan ha decretato un giorno di lutto nazionale e la bandiera a mezz’asta. Così anche il primo ministro indiano Narendra Modi si è detto rattristato e scioccato dalla tragica scomparsa di Raisi. India e Iran hanno strette relazioni soprattutto nell’ambito del commercio di petrolio che da Teheran va verso Nuova Delhi. Sobria solidarietà quella manifestata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che esprime condoglianze sia per la morte del presidente Raisi e del ministro degli Affari esteri Abdollahian, che per i membri della delegazione e dell’equipaggio deceduti nell’incidente.
Tuttavia, i messaggi di cordoglio degli Hezbollah libanesi che hanno esaltato la figura di Raisi, protettore dei “movimenti di resistenza palestinese”, come quella del ministro degli Esteri Abdollahian, appaiono tendenzialmente eccessivi nel descrivere il ruolo che i due leader hanno rivestito sia nell’operazione politica dell’espansionismo strategico iraniano, che “nell’asse della resistenza”. Infatti, si percepisce piuttosto un convinto riconoscimento del peso del potere della Guida suprema, Ali Khamenei, unica effettiva figura decisionale in Iran. Raisi e Abdollahian sono stati sicuramente affidabili servitori del regime, ma il manovratore è la Guida suprema, che ha il controllo e il comando delle Guardie rivoluzionarie e della sua unità d’élite per le operazioni esterne, la Forza Al-Quds. Quindi si prevede una generale continuità politica, sia interna che estera. Una continuità verso “l’asse della resistenza”, e una strategia per mantenere un clima di distensione con i suoi vicini sunniti degli Stati del Golfo. Inoltre, permane il ruolo di “affidabile cobelligerante soft” con la Russia, tramite la fornitura dei droni iraniani all’esercito di Mosca e molto altro.
Tutto orbita in un quadro che vede il regime degli Ayatollah in una forte crisi politica, in un contesto particolarmente teso all’interno dei confini del regime, e con una situazione economica molto allarmante, con le tensioni tra Iran e Israele consolidate a un livello di intensità senza precedenti dopo l’attacco del 13 aprile condotto dall’Iran, e la risposta guidata da Israele pochi giorni dopo. Esiste anche il dubbio sulla causa dell’incidente che ha portato alla morte del presidente e dei suoi collaboratori; infatti, le ragioni dello schianto dell’elicottero sono ancora sconosciute.
Al momento, nonostante l’ostentazione della casualità della caduta del velivolo da parte del Governo iraniano, sospetti ricadono sull’Azerbaigian, storico alleato di Israele. Le relazioni tra i due Stati rientrano nell’ambito della “Dottrina della periferia” applicata da Israele; una storica strategia che mira a sviluppare rapporti con gli Stati non arabi ai margini del Medio Oriente. Un approccio pragmatico e strategico, quello di Baku con Betlemme/Tel Aviv, suggellato anche dall’accordo Göksel del 2015.
Se la tesi dell’incidente al momento è spesa, per ragioni politiche, come l’ipotesi più probabile, un eventuale coinvolgimento dell’Azerbaigian o di Israele nello schianto, se dimostrato, potrebbe fare innalzare pericolosamente il livello della crisi nell’area. Verrebbero così annullati gli sforzi degli Stati Uniti nel convincere l’Iran e le componenti dell’asse della resistenza, sotto la sua diretta autorità, in Iraq e Libano, a ritirarsi dal conflitto. Resta il fatto che tali tipologie di “eliminazione” ricadono sempre in contesti geopolitici di alta criticità. E l’attuale circostanza, da circa quaranta giorni, esprime livelli di crisi maestosi.
di Fabio Marco Fabbri