venerdì 17 maggio 2024
La reazione delle democrazie occidentali e della Nato dopo l’invasione dell’Ucraina è stata compatta e apparentemente decisa, ma questo purtroppo non significa che sia stata anche abbastanza pronta ed efficace. Non solo, ma alcune caratteristiche salienti di questa reazione non possono che lasciare perplessi e indurre a porsi alcuni interrogativi. Per esempio, perché non sono state fornire all’Ucraina tutte le armi che fin dall’inizio chiedeva, concedendone molte solo tardivamente rispetto a quanto era possibile fare? Se lo si poteva fare dopo, perché non lo si poteva fare prima? Perché stabilire il principio che queste armi dovevano non essere in grado di raggiungere il territorio russo, precisando che né gli Usa né la Nato volevano fare una guerra con la Russia? Com’era possibile non fare una guerra con la Russia difendendo in modo efficace l’Ucraina che era sotto un massiccio attacco russo? Come è stato possibile che una coalizione di Paesi molto più ricchi della Russia abbiano lasciato senza munizioni l’Ucraina in un momento cruciale del conflitto, mentre l’esercito russo di munizioni ne aveva e ne ha in abbondanza nonostante le sanzioni? Perché nella guerra d’intelligence, ibrida e mediatica Vladimir Putin sta conseguendo una schiacciante vittoria, riuscendo a dividere profondamente l’opinione pubblica occidentale?
Queste sono solo alcune delle domande, a dire il vero piuttosto inquietanti, che è legittimo e sensato porsi dopo due anni dall’inizio del conflitto. L’impressione complessiva è che l’Occidente, non consentendo all’Ucraina di colpire la Russia sul suo territorio e anzi lasciando che questa potesse controllare il cielo ucraino, sia riuscito a convincere la grande maggioranza del popolo russo, semmai ce ne fosse stato bisogno, che Putin è uno Zar invincibile, convinzione che gli conferisce un vantaggio enorme sull’Ucraina e i suoi alleati, inducendo anche i russi più critici nei suoi riguardi a non intraprendere alcun serio tentativo di ribellione.
Se a questo si aggiunge la carenza di soldati che preoccupa lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, si può forse meglio comprendere come il presidente francese Emmanuel Macron abbia potuto, qualche settimana fa, avanzare la proposta di un contingente Nato da affiancare alle truppe ucraine. La corsa a prendere le distanze dalla sua proposta è stata però immediata: dalla Casa Bianca al cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha garantito come “non ci saranno truppe sul terreno, né soldati inviati dagli Stati europei o dagli Stati della Nato sul suolo ucraino”, da Londra fino a Roma, tutti hanno escluso un coinvolgimento diretto nel conflitto, e l’idea di Macron è stata criticata anche dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier e da alcuni esperti di geopolitica, che la ritengono in grado d’innescare una escalation pericolosa.
Se la proposta di Macron può rivelarsi, almeno nella sua formulazione ufficiale, effettivamente “pericolosa”, tuttavia, il dare vita a un corpo di volontari raggruppati in un’organizzazione almeno formalmente indipendente non creerebbe nulla di diverso rispetto a quanto è stato fino ad oggi portato avanti dalla Wagner per conto di Mosca. Non sarebbe la prima volta che volontari europei si muovono contro un regime dittatoriale: lo avevano già fatto da tutta Europa al tempo della guerra civile spagnola, durante la quale prese corpo la prima forma di resistenza organizzata al nazifascismo, una resistenza che, pur con tutte le sue divisioni e contraddizioni interne, costituirà una delle basi dell’Europa postbellica. Del resto, non si vede per quale bizzarro principio geopolitico a Putin dovrebbe essere concesso di utilizzare un corpo di volontari come la Wagner e ai Paesi occidentali alleati dell’Ucraina non dovrebbe essere permesso di organizzarne uno analogo. L’unico motivo per il persistere di questa asimmetria nel conflitto, che si aggiungerebbe così alle altre già indicate, potrebbe essere costituito solo dal fatto che si è deciso di non fare nulla in grado d’innescare la reazione nucleare del Cremlino, con l’implicita conseguenza di dare per scontata una soluzione comunque non sgradita a Putin, ovvero una pace a lui favorevole, che gli consenta di presentarsi come vincitore al popolo russo così da renderlo pronto per altre battaglie imperiali e ancor più fiducioso nell’invincibilità dal suo Zar.
È la conferma che Putin attendeva per poter continuare ad affondare il coltello nel cuore dell’Europa. Viceversa, se questa proposta fosse stata presa in seria considerazione, sarebbe potuto nascere il primo nucleo di un esercito europeo, che avrebbe potuto rappresentare il primo passo verso una reale difesa comune europea. Il fatto che, invece, sia stata subito esclusa da tutti i capi di Stato e di Governo conferma Putin nella sua convinzione che l’Europa sia in fondo poco più di un’espressione geografica e che sia politicamente fragile e disunita. Se dopo due anni di guerra il timore di un’escalation le impedisce di venire in aiuto di un popolo che pensa di accogliere al suo interno e a cui ha già inviato ingenti quantità di armi e munizioni, vuol dire che l’Unione europea è destinata a restare un’entità circoscritta alla sfera economica, sempre a rischio di divisioni in grado di renderla politicamente innocua. Alla luce di questa presa d’atto, Putin potrà così occupare altre zone dell’Ucraina e arrivare fino alla Moldavia, dove la Transnistria ha già avanzato la richiesta di essere annessa alla Russia, per poi dedicarsi, dopo aver ricostituito in pochi anni il suo esercito, alla riconquista di quei paesi baltici al cui controllo non ha mai rinunciato.
Utilizzare il timore di un’escalation come principio guida della politica estera europea e occidentale rischia, dunque, di rivelarsi ancor più pericoloso degli effetti della proposta di Macron e di riproporre una situazione analoga a quella favorita dalla politica di appeasement anglo-francese al tempo della conferenza di Monaco. Il famoso commento di Winston Churchill all’esito di quella conferenza – esito in virtù del quale Benito Mussolini venne acclamato in tutto il mondo come il salvatore della pace – descrive meglio di qualsiasi altro giudizio la situazione attuale. “Potevano scegliere tra il disonore e la guerra, hanno scelto il disonore, avranno la guerra”, disse Churchill, e non solo guerra fu, ma si trattò, l’anno dopo, e cioè una volta stipulato il patto Molotov-Ribbentrop, di una guerra ben più pericolosa per le democrazie europee e mondiali, dato che avendo assicurato il fronte orientale Adolf Hitler poté concentrare il suo sforzo bellico su quello occidentale e su quello africano.
Oggi si rischia uno scenario simile: se infatti “l’operazione speciale” dovesse concludersi con un sostanziale successo, ovvero con annessioni comunque più estese di quelle che Putin aveva pubblicamente annunciato, la sua capacità di procedere in tempi brevi a una nuova offensiva risulterebbe accresciuta. E, una volta assodata l’efficacia del ricatto nucleare per scongiurare qualsiasi valida controffensiva occidentale, questa sua nuova iniziativa risulterebbe molto probabile. A quel punto, il sacrificio di decine di migliaia di eroici soldati ucraini e di migliaia di civili, di donne e di bambini, rischierebbe di rivelarsi vano.
Certo, sul piano geopolitico complessivo forse Putin oggi è più debole, perché si trova di fronte a una Nato allargata; ma la sua forza politica interna risulta accresciuta, mentre continua ad avere tra i suoi preziosi alleati più o meno espliciti l’Iran (e Hamas) e la Cina, che sono in grado d’impegnare l’Occidente e la Nato contemporaneamente su più fronti. Il controbilanciarsi di questi due aspetti, ovvero di uno vantaggioso per l’Pccidente e di uno favorevole al dittatore del Cremlino, potrebbe addirittura far sorgere il sospetto che gli Stati Uniti e l’Europa abbiano stipulato con Mosca un tacito accordo: da un lato una Nato ampliata, con inclusa, forse, quel che resterà dell’Ucraina; dall’altro la parte di questa rimasta nelle mani di Putin, che potrebbe così issare come un vessillo il successo dell’operazione speciale.
Se a questo scenario, già abbastanza infausto, si aggiunge poi la non improbabile rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca – evento che farebbe scivolare l’Europa in una situazione ricalcata sulla spartizione di Yalta e che determinerebbe dunque la fine del sogno europeo – si capisce che il tempo per imprimere al conflitto una svolta che sia favorevole all’Ucraina e all’Europa è davvero poco, perché il mondo potrebbe trovarsi presto nella disponibilità di autocrati o dittatori concordi nel voler ridurre a colonie impotenti le democrazie europee, ammesso e non concesso che nel frattempo queste riescano a rimanere tali.
In altre parole, ci sono ormai pochi mesi per evitare il peggio, anche perché arrivare alle elezioni americane con Putin ancora in netto vantaggio sul territorio ucraino non costituirebbe di certo il miglior viatico per Joe Biden, ma piuttosto un’ulteriore spinta per l’elezione del presidente più antieuropeo nella storia degli Stati Uniti.
di Gustavo Micheletti