Le “madri del sabato”: i desaparecidos turchi

mercoledì 15 maggio 2024


In Turchia è rappresentata una realtà sociale in forte evoluzione; il Paese è segnato da crisi monetarie e da un clima politico deteriorato, ulteriormente peggiorato dopo il nebuloso tentativo di colpo di Stato del 2016. Uno Stato geograficamente “molto europeo”, ma socio/politicamente lontano dall’Europa. Molti aspetti collocano “La Porta” – così Istanbul veniva identificata per naturali ragioni – in quel confine dove le contraddizioni e i contrasti sono strutturali. Come accaduto nel 1453 a Costantinopoli, che da “testa” del Cristianesimo orientale è diventata capitale islamica dell’Impero ottomano.

Istanbul, con una posizione tra Oriente e Occidente, è l’unica città collocata sia sul continente europeo che asiatico. Ma oggi, proprio nella capitale turca, scorgiamo la tenacia di un popolo nel non voler fare affogare nell’oblio tragici eventi accaduti anche alcuni decenni fa. Così, in questa megalopoli, tutti i sabati, da 29 anni, un gruppo di attiviste, le “madri del sabato”, si incontrano nella famosa piazza Galatasaray, per chiedere al Governo notizie sulla sorte dei loro familiari arrestati dalla polizia turca e poi scomparsi o uccisi negli anni Ottanta e Novanta, rivendicando che i colpevoli vengano individuati e condannati.

Ma chi sono e chi rappresentano le “madri del sabato”? Sono mamme che non cessano di ricordare i propri figli, ma anche i coniugi scomparsi su azione dello Stato sin dagli anni Ottanta. Sono così chiamate in riferimento al movimento delle “madri di Plaza de Mayo”, a Buenos Aires, nato per ricordare i propri congiunti, i desaparecidos, ovvero quei dissidenti scomparsi tra il 1976 e 1983 durante la dittatura argentina. Le “madri turche” hanno iniziato a manifestare dal 1995. Da questa data non è stata semplice la loro vita: spesso hanno dovuto interrompere le loro manifestazioni; sono state arrestate e hanno subito sistematiche violenze da parte della polizia. Così, nel 1999, sono state costrette a interrompere le loro manifestazioni di protesta.

Queste famiglie, che rivendicano di conoscere il destino dei propri familiari, combattono la loro battaglia per la verità portando con sé garofani e fotografie dei cari scomparsi. Solo nel 2009 hanno potuto riprendere i loro incontri. Ma nel 2018, il giorno della settecentesima adunanza, tali esternazioni sono state di nuovo vietate. Per comprendere quanto queste manifestazioni pesino a livello politico, basta ricordare che un pubblico ministero ha proposto che i manifestanti presi in sul fatto fossero condannati a tre anni di reclusione, dichiarando illegale tale assemblea.

La ritualità delle manifestazioni è costante e straordinariamente solenne. Di fronte al liceo Galatasaray, al centro del viale pedonale Istiklal, a mezzo giorno, con qualsiasi tipo di clima o di condizione del tempo, le “madri” e i familiari degli scomparsi si posizionano coraggiosamente di fronte alla polizia: con un assordante silenzio accusatorio mostrano le foto dei loro cari, di cui non hanno notizie da decenni. Ogni familiare interrompe il silenzio solo quando evoca a voce alta il nome del proprio congiunto scomparso.

Così, anche sabato, è stata rievocata la memoria del “desaparecidos turco” Nurettin Yedigöl, che manca all’appello dal 27 aprile 1981, mentre era incarcerato nel centro di tortura di Gayrettepe a Istanbul. O come lo studente di 22 anni Hüsamettin Yaman, scomparso il 5 maggio 1992, quando la polizia turca lo ha arrestato. Insomma, una litania di nomi che ricordano anni bui, come gli attuali. Le “madri del sabato” accusano le autorità turche di non voler indagare seriamente al fine di stabilire la verità su queste “sparizioni di Stato”. Un rapporto dell’Ihd, Associazione per i diritti umani, rivela che tra il 1992 e il 1996, nell’area del “Kurdistan”, regione particolarmente colpita da queste azioni dello Stato turco, sono scomparse quasi ottocento persone; in questo numero si nasconderebbero anche molti omicidi mirati.

Tra le vittime sindacalisti, insegnanti, giornalisti, avvocati, medici, ma anche bambini e contadini. Il fenomeno delle sparizioni di Stato in Turchia riguarda gli ultimi quattro decenni. E ha interessato generalmente persone filo-curde o chiaramente di sinistra. Ma a questa modalità di soffocamento di “voci” si aggiungono azioni persecutorie, che ricadono pesantemente nelle violazioni dei diritti umani. Infatti, si annoverano tra queste violenze esecuzioni sommarie, torture sistematiche dei sospettati, e anche l’evacuazione di interi villaggi nell'Anatolia sudorientale.

Tuttavia, anche se i governi che si sono succeduti dagli anni Novanta hanno promesso più volte di volere fare luce su queste scomparse, né le “madri del sabato” né le organizzazioni internazionali hanno mai rilevato tangibili progressi. Il sabato le foto degli scomparsi sono la realtà di questo immane disagio; una pesante pila di ritratti per lottare contro l’oblio di Stato e contro la cancellazione della sofferenza vissuta e imposta dall’apparato governativo. E dopo numerosi ricorsi, il 3 novembre 2023, un tribunale turco ha autorizzato le “mamme del sabato” a riunirsi una volta alla settimana, ma solo con un limite di dieci persone per riunione. Il 25 maggio mamme e famiglie manifesteranno per la millesima volta. Mille incontri, celebrati ogni settimana, per fronteggiare l’ennesimo “oltraggio di Stato”, dove la libertà di stampa secondo Rsf, Reporters sans frontières, pone la Turchia al 158esimo posto su 180.


di Fabio Marco Fabbri