venerdì 10 maggio 2024
In India le elezioni politiche si svolgono ogni cinque anni e hanno una vasta durata; quest’anno sono iniziate il 19 aprile e si concluderanno il 1° giugno, i risultati saranno ufficializzati il 4 giugno. Si tratta del più grande esercizio democratico del Pianeta, il quale prevede la partecipazione di quasi un miliardo di elettori, corrispondenti a più del 10 per cento della popolazione mondiale; 18 milioni saranno gli elettori che voteranno per la prima volta poiché l’India è un Paese giovanissimo, con un’età media di circa 28 anni. Proprio per la grande affluenza di votanti l’organizzazione e la gestione delle elezioni sarà divisa in sette fasi. Secondo il regolamento elettorale indiano i seggi non devono trovarsi a una distanza superiore di 2 chilometri da ogni zona abitata, poiché il territorio indiano ha una superficie molto ampia e inoltre la popolazione si trova diramata anche in zone quasi deserte e in tribù, per questo è previsto uno spostamento continuo delle cabine elettorali usufruendo di tutti i mezzi di trasporto compresi cavalli, barche e nella necessità anche elefanti.
L’obiettivo riguarda la Camera bassa del Parlamento indiano, denominata Lok Sabah, costituita da 543 seggi. Il partito, o la coalizione, che riuscirà a ottenere la maggioranza (272 seggi) potrà nominare il proprio candidato come primo ministro e provvedere alla formazione del nuovo Governo. Attualmente il capo del Governo in carica è Narendra Modi, leader del partito conservatore Bharatiya Janata Party (Bjp), il quale si è candidato per un terzo mandato. Nella storia del Paese, in caso di vittoria, prima di Modi solo Jawaharlal Nehru, leader dell’India indipendente aveva raggiunto tale traguardo. Principalmente sono due i partiti maggiori che dominano la battaglia elettorale: si tratta del Governo attuale Bjp e l’Indian National Congress (Inc) che è al momento all’opposizione. Il Bjp ha per la prima volta governato all’inizio degli anni duemila, in seguito è salito al potere per la seconda volta nel 2014 sotto la guida dell’attuale primo ministro Modi, il quale da allora governa anche con una coalizione conosciuta come National Democratic Alliance (Nda).
Nelle elezioni del 2019 il Bjp ha ottenuto una vittoria schiacciante ottenendo la maggioranza assoluta. Invece, l’Inc ha governato il Paese per più di 50 anni dopo l’indipendenza, e si trova ora in una situazione di stallo. Per tentare di impedire a Modi un’altra vittoria ha formato un’alleanza con 28 partiti dando vita alla coalizione denominata Indian National Developmental Inclusive (Indi). Il volto del partito è Rahul Gandhi, il quale ha una storia familiare di ex primi ministri. Venne eletto nel 2019 in Parlamento dove però, giudicato colpevole di diffamazione in una causa intentata da un membro del Bjp di Modi, venne espulso ma successivamente reintegrato attraverso un ricorso alla Corte suprema indiana. I temi principali delle nuove elezioni riguardano la disoccupazione, l’economia, l’agricoltura e programmi welfare. Ma un ruolo fondamentale lo gioca il nazionalismo religioso. Il nazionalismo induista è un simbolo di identità nazionale. Ricopre un aspetto molto importante, in primo luogo per Modi, che nei suoi mandati si è presentato al Paese come paladino degli induisti, la comunità religiosa maggioritaria in India che costituisce anche la principale base di sostegno elettorale del Bjp.
Questo fenomeno non ha un carattere esclusivamente religioso, poiché comprende anche questioni identitarie e nazionaliste, soprattutto in relazione alla passata dominazione musulmana e occidentale del Subcontinente indiano. Le relazioni, o meglio le tensioni tra induisti e musulmani stanno giocando un ruolo determinante nelle votazioni generali di quest’anno. Dall’elezione di Modi nel 2014, oltre 200 milioni di indiani musulmani hanno affrontato molte ostilità, che si sono istituzionalizzate in alcuni Stati governati dal Bjp. Queste politiche hanno portato a restrizioni e persino divieti a svolgere alcune attività della comunità musulmana dal commercio di carne bovina, fino alla criminalizzazione delle relazioni interreligiose. Tra luglio e agosto del 2023 alla periferia di Nuova Delhi, e in altre città, sono esplosi violenti scontri tra indù e musulmani, che hanno causato vittime soprattutto tra i fedeli musulmani. Due gruppi estremisti indù, il Vishva Hindu Parishad (Vhp) e il suo braccio armato Bajrang Dal, hanno colpito i manifestanti islamici con modalità militari. Queste due organizzazioni sono organiche politicamente e ideologicamente al partito del primo ministro Narendra Modi, il Bjp. Un precedente preoccupante che, nel quadro delle complesse votazioni, sposta l’attenzione sulla polarizzazione della società indiana, divisa tra la maggioranza indù e la comunità musulmana: due realtà sociali difficilmente conciliabili.
di Domiziana Fabbri