venerdì 12 aprile 2024
Il 2 aprile, a Brasilia, la presidente della commissione di Amnistia, Eneà de Stutz, responsabile delle politiche di riparazione delle vittime della dittatura militare, ha chiesto pubblicamente “scusa” alla leader Djanira Krenak, rappresentante e matriarca del popolo indigeno Krenak (oggi i sopravvissuti sono meno di duecentocinquanta). “Con la tua benedizione, a nome dello Stato brasiliano, voglio chiederti perdono per tutte le sofferenze patite dal tuo popolo. Chiedo perdono per la persecuzione subita dal vostro popolo e da tutti gli altri popoli indigeni negli ultimi 524 anni” ha detto de Stutz, con commozione. Durante l’Assemblea erano presenti i rappresentanti indigenti del Paese, vestiti con abiti e copricapo tradizionali (cocar) e cosparsi con vernice ricavata dal frutto del jenipapo o genipa americana, tipica usanza di questa popolazione. Inoltre, hanno presenziato diversi rappresentanti del Ministero dei Diritti umani, al quale fa capo la commissione.
L’evento è senza precedenti e rilevantemente simbolico: per la prima volta dall’inizio della colonizzazione sono pervenute dallo Stato brasiliano delle scuse per i crimini commessi. Le popolazioni indigene sono diminuite del 99 per cento successivamente alle colonizzazioni da parte degli europei. Così, il riconoscimento avvenuto da parte delle istituzioni è il risultato di una forte tenacia e determinazione da parte di due popoli: i Krenak, originari dello Stato di Minias Gerais, zona sud-est, e il popolo Guarani-Kaiowà del Mato Grosso do Sul, centro-ovest.
Tra il 1964 e 1985, periodo della dittatura militare conosciuta come Gorillas o Quinta Repubblica del Brasile (dall’aprile 1964 al marzo 1985), queste popolazioni hanno subito violenze orribili, torture e sfollamenti forzati durante il regime militare. Soprattutto il caso del popolo Krenak è particolarmente scioccante. Questo gruppo etnico di fede animista, che vive sulle sponde del Rio Doce, è stato un obiettivo della repressione. Le persone vennero obbligate a lasciare le terre di origine. E parte di loro fu condotto in “case di correzione”, denominate campi di concentramento indigeni: qui venne sottoposto ad abusi, violenze, lavori forzati. Inoltre, i soggetti in questione furono costretti a non parlare più la loro lingua madre. Altri, invece, vennero forzatamente arruolati nella milizia denominata Grin (Guardia rurale indigena) addestrata a tecniche di tortura, nella caccia di oppositori politici con lo scopo di “rieducare”. Tutto era opera di un Governo che vedeva in qualsias indigeno un nemico dell’umanità e della civilizzazione.
Nel 1972 si era ipotizzato di restituire le terre ai Krenak, ma coloro che si erano nel frattempo insediati chiesero e ottennero una nuova segregazione e deportazione, sostenuta dai colossi minerari che operavano nella zona, fino al 1984. Solo negli ultimi trent’anni i diritti di questo popolo sono stati riconosciuti e le loro terre sono state parzialmente restituite dal Governo centrale. Un territorio spremuto e stuprato dai possidenti agricoli, i quali lo hanno reso quasi arido. Lentamente, e con sofferente tenacia, i Krenak hanno ripreso anche i loro luoghi sacri, primo fra tutti il Rio Doce, il quale per loro ha una importanza ancestrale.
Il 2 aprile 2024 sarà ricordato come un giorno estremamente significativo, perché mostrerà al mondo che, malgrado tutte le sofferenze e barbarie inflitte a queste etnie – e alle altre autoctone dell’area mesoamericana – dai Gesuiti e dalla “cultura” europea, i popoli indigeni resistono e restano saldi. Anche se mutilati del loro passato, della loro storia e all’oscuro di cosa il futuro avrebbe loro potuto riservare, se non avessero subito delle letali interferenze. Oggi, le loro “radici etno-culturali” restano solo aggrappate alle tardive scuse dei discendenti dei carnefici.
di Domiziana Fabbri