venerdì 5 aprile 2024
Un altro aspetto del passaggio da guerre globali a guerre globalizzate è l’utilizzo delle milizie private o privatizzate in parziale, e variabile, alternativa agli eserciti regolari. L’attacco – attribuito a Israele – all’ambasciata iraniana di Damasco, dove hanno perso la vita undici persone, mostra una escalation del conflitto, in quanto è la prima volta che Gerusalemme uccide iraniani sul proprio territorio – area consolare dell’Ambasciata dell’Iran a Damasco – dall’inizio della guerra in Israele. Risulta che i morti siano due comandanti responsabili delle operazioni esterne associati alla Forza Al-Quds – creata come guardia pretoriana agli ordini solo della Guida suprema, la cui missione è quella di proteggere l’Ayatollah e il suo regime – e sette membri delle Guardie rivoluzionarie. Si susseguono poi notizie discordanti sull’identità delle altre due vittime.
L’Iran finora ha combattuto contro Israele, utilizzando le milizie sciite siriane ed irachene, gli sciiti Houthi yemeniti, gli Hezbollah sciiti libanesi, i miliziani di Hamas vestiti da una pseudo “regolarità militare”. A tutti Teheran ha dato formazione, strategia operativa, armi di ogni genere, supporto economico e coordinamento, nonché “istruttori” iraniani presenti tra le fila dei vari gruppi di miliziani. Insomma, l’Iran ha combattuto contro Israele mascherandosi malamente. Ma di fatto, dietro i gruppi armati, evitando di entrare in un conflitto aperto e diretto.
Per la Repubblica islamica fondata dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, Israele rappresenta il “cancro occidentale nelle terre musulmane”. Sin dalla sua proclamazione, esattamente 45 anni fa (1° aprile 1979), gli Ayatollah hanno rappresentato la missione di diffondere l’ideologia teocratica rivoluzionaria, velayat-e faqih, che afferma la supremazia della religione sulla politica. Il regime iraniano, in questi ultimi quattro decenni, grazie anche alle debolezze politiche e militari dei Paesi circostanti, e soprattutto alla vicinanza con le comunità della mezzaluna sciita presenti in Siria, Yemen, Iraq, Libano, ha costruito con zelo e funambolismo socio-politico-economico una nebulosa di milizie adeguatamente armate e fortemente indottrinate per combattere lo Stato ebraico.
L’attacco in Siria è rappresentativo delle tensioni che fibrillano non solo sulla carta geografica israelo-palestinese, ma che si stanno estendendo in modo allarmante a tutta la regione. Se la guerra tra Israele e Hamas è di forte intensità, quella tra Hezbollah e Israele, sviluppata al confine meridionale del Libano, è ancora di media intensità. Con gli attacchi in Siria, Israele dimostra di voler mantenere la pressione sugli alleati degli iraniani e sugli stessi iraniani. Anche se è noto che in Oman sono in corso trattative tra la delegazione iraniana e statunitense. Ma l’attacco al consolato iraniano in Siria può avere altri significati? Politicamente, visto il crescente calo dei consensi nazionali e internazionali di Benjamin Netanyahu e del partito Likud, il bombardamento in Siria può servire alla destra israeliana per prolungare questo catastrofico momento. Ma anche, forse, per distogliere l’attenzione sulle stragi in corso a Gaza, compresi i recenti attacchi all’Al-Hospital. C’è, nel novero, anche un chiaro segnale del Governo di Netanyahu agli Ayatollah. Ossia che non può essere data per impraticabile una guerra con Hezbollah, quindi con l’Iran indirettamente.
Ci potrà essere una reazione di Teheran all’attacco in Siria? Al momento, il dilemma iraniano pare che si articoli sull’attesa di qualche sviluppo. Gli Hezbollah libanesi e l’Iran, alla luce dei combattimenti in corso nel sud del Libano, stanno evitando di sviluppare eventuali rivalse. Il Governo degli Ayatollah adesso, per vari motivi, preferisce mantenere questa guerra a media intensità, piuttosto che muoversi verso una guerra più impegnativa e globale. Il Libano, immerso in una disastrosa situazione socio-politica-economica, non può permettersi una guerra: collasserebbe il sistema Paese e sarebbe un dramma insopportabile per i libanesi. Ed è evidente che gli Hezbollah non possono sostenere una crisi dai risvolti complessi all’interno del Libano. Inoltre, gli iraniani continuano a cercare di procedere verso lo sviluppo del nucleare, preferendo percorrere la strada diplomatica che possa portare a una revoca delle sanzioni. Un tema, questo, che sicuramente stanno trattando in Oman con gli statunitensi, evitando quindi uno scontro totale.
Per contro, da Gerusalemme, che ha colpito il consolato iraniano in Siria per impedire all’Iran di rifornire gli Hezbollah, giungono segnali preoccupanti. Gli uomini di Washington e di Parigi impegnati a Beirut hanno fatto sapere al Governo libanese che Israele vuole il ritiro di Hezbollah dal confine, obiettivo che otterrà con o senza negoziati. Ma Hezbollah pretende che Gerusalemme interrompa la violazione dello spazio aereo libanese e quindi il rispetto della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – 1701 – del 12 agosto 2006. Comunque, vista la situazione generale, è molto probabile che la risposta iraniana resterà molto misurata, evitando una escalation difficilmente controllabile, tale da richiedere uno sforzo di reazione in una situazione di guerra totale. Preferendo, così, una guerra limitata e controllabile, senza troppi rischi.
Ma la Siria cosa fa? Oggi il Paese sorregge varie influenze: quella russa, iraniana, c’è una importante presenza degli Stati Uniti, e della Turchia. Inoltre, c’è il Golan siriano occupato da Israele dal 1967. Il presidente Bashar Al-Assad sta sopportando tutte queste interferenze, tormentato dal voler far sopravvivere, nonostante le violenze sulla popolazione siriana, il suo regime. Un piedistallo, quello siriano, che ritengo sia utile resti in piedi, anche perché una sua caduta aggraverebbe la “questione” del Vicino Oriente in modalità sciagura.
di Fabio Marco Fabbri