mercoledì 3 aprile 2024
Domenica 31 marzo 2024, data storica, il principale partito d’opposizione a Recep Tayyip Erdoğan, il Chp (socialdemocratico), ha ottenuto la vittoria elettorale aggiudicandosi 36 comuni su 81, comprese le vittorie come sindaco nelle cinque città più grandi della Turchia: Istanbul, Ankara, Izmir, Bursa e Antalya.
Ad Istanbul il sindaco in carica, Ekrem İmamoğlu, ha sconfitto di circa 10 punti percentuali il candidato dell’Akp sostenuto da Erdoğan, vincendo con il 51 per cento dei voti. Ciò ha segnato il più alto margine di vittoria per un sindaco di Istanbul in 40 anni e ha contribuito a consolidare l’immagine di İmamoğlu come principale avversario di Erdoğan e probabile concorrente nelle future elezioni presidenziali. Il vincitore, poco dopo i risultati, ha scritto su X: “Istanbul rappresenta un faro di speranza, una testimonianza della resilienza dei valori democratici di fronte al crescente autoritarismo”.
A livello nazionale, il partito Chp ha ottenuto quasi il 38 per cento dei voti, mentre il sostegno dell’Akp è sceso al 35 per cento, in calo rispetto al 44 per cento del 2019. Mentre ad Ankara, la Capitale della Turchia, il sindaco in carica del Chp, Mansur Yavaş, ha ottenuto il 60,4 per cento dei voti, molto più del 32 per cento dell’avversario dell’Akp (Turgut Altinok).
Nel sud-est della Turchia, il Partito filo-curdo per l’uguaglianza e la democrazia, nonostante anni di repressione che hanno visto i sindaci curdi rimossi e sostituiti con esponenti dal governo e migliaia di attivisti politici arrestati, ha conquistato 10 province mentre il Partito del movimento nazionalista, o Mhp, alleato di Erdoğan, ne ha vinte otto sparse in tutto il Paese.
Gli elettori turchi hanno scelto di cambiare il volto della Turchia, la sconfitta del Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdoğan ne è la dimostrazione; quasi il 99 per cento delle urne elettorali a livello nazionale conferma che l’opposizione turca ha inflitto all’Akp (islamo-conservatore) del capo dello Stato, la peggiore débâcle elettorale degli ultimi due decenni.
Il voto di domenica è stato un barometro del sentimento nazionale tra gli elettori, che hanno lottato a lungo con una grave crisi del costo della vita; i dati ufficiali stimano che l’inflazione abbia toccato quasi il 70 per cento solo nel mese di febbraio.
Per le strade di Istanbul, i turchi hanno festeggiato la vittoria dell’opposizione, e questo dimostra che è in atto una trasformazione sociale che sta modificando le tradizionali relazioni tra Stato e società con il loro fare autoritario. Ci sono settori della società che temono di perdere potere da queste trasformazioni, ma il processo di democratizzazione inevitabilmente li porta a perdere il loro status, che trova la sua origine in queste relazioni autoritarie.
Il partito di Erdoğan, l’Akp, al potere in Turchia dal 2002, è un partito conservatore di dimensione religiosa; è un partito fondamentalista islamista vicino alla fratellanza musulmana con una sua identità, vale a dire l’Islam politico. Di fatto il voto di domenica ridisegna una mappa politica a lungo dominata dall’Akp. Finalmente ha vinto il voto popolare per la prima volta dopo decenni; un successo che ha invaso la maggior parte delle principali città, penetrando fino alla parte conservatrice della Turchia centrale. La politica di potere dell’Akp è stata caratterizzata negli anni dall’egemonia, dalla predominanza e dall’interregno.
Nel 2007 la Corte costituzionale ha riconosciuto il partito di Erdoğan colpevole di costituire una minaccia per il regime costituzionale e ha respinto come incostituzionale l’emendamento che intendeva garantire ai singoli il diritto di indossare il velo negli uffici pubblici e nelle scuole. Le decisioni della Corte costituzionale riflettevano le reazioni tradizionali del vecchio establishment. La Corte costituzionale considerava le azioni dell’Akp e la legge sul velo come una minaccia alle fondamenta dei valori della laicità dello Stato. Le elezioni presidenziali del 2007 avevano riacceso una nuova tensione sul velo. Molti democratici speravano che l’Akp invertisse questo vento di cambiamento, ma il governo turco in carica non aveva rispettato i patti e invece di puntare alla democrazia e al liberalismo, virava con una svolta autoritaria più radicale. Nonostante la palese presa islamista di Erdoğan, molti democratici hanno continuato a sostenere l’Akp perché, secondo loro, l’obiettivo era quello di consolidare un ordine politico e giuridico paragonabile alle democrazie dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti; la Turchia doveva emulare le strutture istituzionali di quei Paesi.
Con le modifiche delle riforme costituzionali, volute da Erdoğan e dai politici del suo partito ottenendo con successo il controllo dell’esercito e della magistratura, la Turchia non è diventata più democratica, ma di fatto è stata portata verso l’autoritarismo. Dopo il 2007, l’Akp ha iniziato ad agire senza compromessi e non ha esitato a reclutare islamisti collocandoli in posizioni chiave come la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Parlamento e il primo ministro, assumendo apertamente un’immagine islamista. Dal 2011 l’Akp ha accelerato le sue politiche di islamizzazione, soprattutto nel campo della politica estera e dell’istruzione, attraverso il potere della Direzione degli affari religiosi.
La dichiarazione dello stato di emergenza nel 2016, in seguito al fallito tentativo del colpo di Stato, ha permesso al presidente di giustificare la sospensione dei meccanismi costituzionali. Di fatto, nell’ambito dell’emergenza, il governo ha inteso reprimere ogni forma di dissenso. La facciata delle elezioni e la presenza di un ordinamento giuridico sono rimasti intatti, ma le libertà e i meccanismi di controllo ed equilibrio sono stati sospesi.
L’obiettivo di Erdoğan e del suo partito è stato ed è quello di continuare ad occupare un posto significativo nella società turca, le norme e i valori fondamentali dello Stato non possono essere ostili o di riferimento repubblicano rispetto a quelli autoritari islamici del suo partito.
La vittoria di domenica alle urne dell’opposizione dà una chiara lettura del fallimento di Erdoğan e della nuova identità della Turchia e del popolo turco, nonostante gli intensificati sforzi di voler islamizzare la società turca con una politica dittatoriale a sfondo islamista.
di Souad Sbai