giovedì 21 marzo 2024
1.0 L’esito – scontato – delle elezioni presidenziali in Russia, con un plebiscito a favore di Vladimir Putin ha suscitato, in Occidente, una copiosa contestazione della legittimità delle stessa (e quindi dell’esito). A parte il fatto che, indubbiamente, le condizioni in cui si sono svolte e, ancor di più, la storia della Russia – così diversa da quella dell’Europa occidentale – fanno sì che pretendere lì le stesse garanzie normali da noi è come sparare sulla Croce rossa. Altro sono le elezioni in Stati che da secoli si sono evoluti in democrazie liberali altro quello di un popolo che, a parte qualche mese nel 1917 (!) fino al 1989 è passato da autocrazia al totalitarismo. Insomma il Cremlino e San Basilio possono essere belli, ma sicuramente non profumavano di democrazia e libertà come Downing Street. Tuttavia l’occasione è provvida per tornare sul concetto di legittimità, di cui, specie da noi, si fa, a parte questa occasione un uso parsimonioso e, nemmeno a dirlo, parziale.
La legittimità è definita (trascriviamo il tutto dal Dizionario di politica di Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino) consistere “nella presenza in una parte rilevante della popolazione un grado di consenso tale da assicurare l’obbedienza senza che sia necessario, se non in casi marginali, il ricorso della forza” tuttavia “il processo di legittimazione non ha come punto di riferimento lo Stato nel suo complesso, ma i suoi diversi aspetti; la comunità politica, il regime, il Governo. Pertanto la legittimazione dello Stato è il risultato di una serie di elementi disposti a livelli crescenti, ciascuno dei quali concorre in modo relativamente indipendente a determinarla”. Riguardo al potere costituito si possono individuare “due tipi fondamentali di comportamento. Se determinati individui o gruppi percepiscono il fondamento e i fini del potere come compatibili o in armonia con il proprio sistema di credenze e operano per la conservazione degli aspetti di fondo della vita politica, il loro comportamento si potrà definire come legittimazione. Se, invece, lo Stato viene percepito nella sua struttura e nei suoi fini come contraddittorio con il proprio sistema di credenze e questo giudizio negativo si traduce in un’azione” allora non c’è legittimazione.
Ora Max Weber individuava tre tipi di legittimità: tradizionale, razionale-legale, carismatica. In genere strumenti istituzionali di verifica della compatibilità dei governanti, con il common sense dei governati si trovano soltanto in un tipo di Stato: quello democratico, soprattutto attraverso le elezioni (a larga base elettorale). Il che non vuol dire che non votandosi in altri tipi di Stato questi non siano legittimi. Luciano Pellicani scrive che “la legittimità è lo specifico attributo che hanno gli Stati che godono di un diffuso consenso da parte dei governati. Essa non va confusa con la legalità, Questa si riferisce al modus operandi del potere sovrano, mentre la legittimità riguarda la titolarità dello stesso. È legittimo il potere che l’opinione pubblica percepisce come l’istituzione che ha il diritto di governare” onde “naturalmente, il principio di legittimità varia da civiltà a civiltà, società e società e da epoca a epoca. Ma la sua funzione è sempre la stessa: quella di conferire a un soggetto (individuale o collettivo) il diritto di comandare e di dare all’obbedienza dei governati una base morale”.
Onde anche se non legittimati elettoralmente, come ad esempio i monarchi negli Stati dell’età moderna (come anche di quella feudale), erano legittimi perché i sudditi credevano che avessero il diritto di comandare. Fino al punto di prendere le armi per difenderne il trono come nell’insurrezione vandeana e nelle guerre partigiane (ossia di popolo) in Italia e in Spagna. Nel caso di Putin quindi, e premettendo che le elezioni, tenuto conto della situazione interna, hanno comunque dato una legittimazione positiva a Putin vediamo perché. Dicono i sondaggi che il presidente russo goda di un’ampia popolarità, non lontana dalla percentuale di voti favorevoli riscossi. Non sappiamo se fidarcene: comunque bisogna registrarla e cercare in altre, possibili cause il consenso che Putin avrebbe.
In primo luogo se è vero che il concetto più condiviso di legittimità è quello della “coincidenza di valori” o meglio dell’idem sentire de re publica tra governati e governanti è noto che ce n’è anche un altro, dovuto ad Thomas Hobbes, cioè della concreta ed effettiva prestazione della protezione da parte dei governanti a fronte dell’obbedienza richiesta ai governati che esponiamo trascrivendola dal Dizionario di politica citato, “quando il potere è stabile ed è in grado di assolvere in modo progressista o conservatore alle proprie funzioni essenziali (difesa, sviluppo economico), esso fa valere contemporaneamente la giustificazione della propria esistenza, facendo appello a determinate esigenze latenti nelle masse, e con la potenza della propria positività si crea il consenso necessario”.
Orbene Putin ha conseguito indubbi risultati positivi nel suo più che ventennale Governo della Russia. Emerge dai dati internazionali che il Pil individuale è cresciuto di circa 4 volte (tanto per fare un confronto in Italia la crescita è stata, nello stesso periodo, di pochi punti percentuali). Quanto alla difesa non ha esitato a difendere lo Stato sia contro le forze secessioniste (vedi conflitto ceceno) sia contro le intromissioni internazionali (Georgia e Ucraina). Se poi si condivide idea di un pensatore come Louis de Bonald secondo il quale la Costituzione è (in primo luogo) il modo di esistenza di un popolo, Putin, sia con le opere che con i discorsi, ha dimostrato di voler proteggere il mondo d’esistenza russo, e ancor più di non volerlo fotocopiare da quello americano-occidentale. In sostanza la legittimità di Putin può essere contestata ma prendendo come elementi qualificanti l’accettazione da parte dei governati e la conformità allo spirito e agli interessi nazionali.
2.0 Diversamente gli osservatori occidentali delegittimano Putin sulla base di presupposti e valutazioni ideologiche e soprattutto non riferentesi alla legittimità come rapporto tra capo e seguito, lubrificante del potere e del presupposto del comando/obbedienza. Vediamo come. Sui soggetti. A giudicare se un potere sia legittimo o meno sono coloro che gli sono soggetti. Cioè i russi e non politici e giornalisti occidentali. Che un potere sia legittimo o meno è un giudizio su fatti: il consenso, la pace, l’ordine. Potrà pure essere un colossale errore condiviso, ma resta il fatto che se i sudditi sono convinti del diritto dei governanti a governare il potere è legittimo. Il fatto che non lo pensino gli stranieri non ha significato e conseguenze di rilievo. Sui parametri. Anche qui mentre i parametri con cui gli esterni giudicano il potere di Putin sono procedurali e valoriali (e soprattutto non sono – o solo in parte – quelli dei russi); quelli dei russi sono assai più ampi e soprattutto più concreti: a cominciare dall’incremento del benessere economico e della salvaguardia delle specificità nazionali. I diritti LGBTQIA+ e l’attuazione del green deal non sembra che siano in cima alle aspirazioni e ai giudizi dei russi. Probabilmente una maggiore libertà lo sarebbe: ma tenuto conto che ne hanno sempre avuta poco, quel di più che i Governi post-comunisti hanno loro assicurato non appare disprezzabile. Infine è curioso che a giudicare della legittimità di un Governo siano coloro che, con quello, sono in uno stato di ostilità manifesta. A parte il resto, è chiaro che contestare, fino a demolire la legittimità del nemico è una risorsa importante – e spesso decisiva – della guerra psicologica. Perché indebolisce il nemico; e quindi è poco credibile sia come giudizio sine ira et studio che come strumento di pace.
3.0 C’è una terza considerazione da fare: politici e giornalisti omettono di considerare che se Putin deve fare ancora molta strada per essere considerato un ineccepibile liberaldemocratico, anche ad ovest della Vistola ci sono stati e governanti che dovrebbero “rifare gli esami”; e non ci riferiamo al solito Viktor Orbán. Ma soprattutto all’Italia. Specialmente alla cosiddetta “seconda repubblica”. Se è vero che Putin è poco liberale, è altrettanto vero che in Italia abbiamo avuto: a) governanti mai eletti dal popolo, non solo in elezioni per la carica di Governo ma in nessuna elezione, neppure nell’assemblea di condominio (Mario Monti e Mario Draghi). Per cui è impossibile verificare elettoralmente il consenso che avevano (per Draghi) e verificarne solo a posteriori (per Monti) accertando che godeva di percentuali da prefisso telefonico (vedi elezioni europee del 2014 il risultato delle liste “montiane”); b) che tutti i presidenti del Consiglio dal 2011 sono stati nominati malgrado non designati elettoralmente, ma altrove. La prima a infrangere questa costante è proprio Giorgia Meloni, che ha rammendato (per noi) lo strappo tra democrazia parlata e oligarchia praticata; c) per essi come per il presidente della Repubblica a decidere è il Parlamento. Pertanto se Putin ha riportato un consenso plebiscitario, anche se contraffatto, in genere i governanti italiani né sono stati nominati dal popolo, né al popolo piacevano un granché. E questo senza voler approfondire circostanze che, forse, hanno alterato i risultati elettorali in maniera decisiva (vedi Politiche 2006 con la maggioranza risicata dei voti al centrodestra in una Camera e nell’altra al centrosinistra) e che è superfluo ricordare. In particolare quelli che conseguono al controllo dei principali strumenti di informazione. Per cui se Putin lascia, come liberaldemocratico, a desiderare, certi governanti nostrani non sono certo un esempio di virtù. Anche nel senso di Niccolò Machiavelli.
di Teodoro Klitsche de la Grange