giovedì 8 febbraio 2024
Parafrasando il titolo del romanzo di Jorge Amado, l’Europa è sempre più stanca della guerra alle porte di casa e di fingere di credere alla soluzione militare del conflitto. La controffensiva di Volodymyr Zelensky non è stata né vittoriosa né capace di rianimare il decrescente entusiasmo, in patria e tra gli alleati. Soprattutto in Ucraina, tra le nuove leve, che il presidente ucraino, a corto di “Manpower” – come si chiama eufemisticamente la carne da mandare al macello – vorrebbe portare alla coscrizione mediante draconiane e incostituzionali leggi. La propaganda racconta che questa guerra assomiglia al Secondo conflitto mondiale con, mutatis mutandis, Vladimir Putin al posto di Adolf Hitler. A noi sembra che, invece, sembri molto di più la Prima guerra mondiale, quella che il Pontefice, Benedetto XV, aveva, giustamente, definito “un’inutile strage”. Inutile perché anche questa, come tante precedenti, è destinata a finire con un negoziato che preveda concessioni e riconoscimenti reciproci. Nessuno, ormai, crede più ai roboanti annunci di Zelensky di riprendersi ogni centimetro del suolo patrio, inclusa la Crimea.
Si è fatto tanto per scatenarlo questo conflitto e niente per impedirlo o fermarlo. La guerra poteva essere evitata nel 2014, quando la sottosegretaria Victoria Nuland (quella che in un celebre scambio con l’ambasciatore Usa, disse f**ck the Eu, dimostrando quanto a Obama-Biden gliene calasse degli alleati e dei “comuni valori europei”) distribuiva biscotti, alla piazza sobillata di Maidan. Difficile credere che i multipli viaggi della sottosegretaria Usa, nel 2013, a Kiev fossero qualcosa di diverso dalla preparazione del putsch per destituire il presidente filorusso, Viktor Yanukovich. La deposizione del legittimo presidente da parte della piazza, ratificata da un voto parlamentare senza le maggioranze qualificate e le garanzie procedurali richieste dalla Costituzione, avrebbe innescato la guerra civile tra nazionalisti e separatisti dell’Est.
La guerra poteva essere fermata a fine 2021, quando Washington si rifiutava, ostinatamente, di negoziare con Putin un rinvio dell’allargamento della Nato e garanzie sul dispiegamento di truppe e armi negli Stati ex Patto di Varsavia (ammissione del Dipartimento di Stato). Il dispiegarsi degli eventi – pur romanzati nella propaganda mediatica – ha messo a nudo le ragioni del conflitto che non sono l’esportazione della pace e della libertà, ma una guerra di potenza per la supremazia geopolitica. Diceva, provocatoriamente, il presidente cinese Xi Jinping a Biden “avete messo il collare al collo della tigre, levateglielo voi”. Il conflitto finirà al tavolo negoziale, dopo ancora anni di morte e distruzione. Sarà una mezza sconfitta per tutti. Soprattutto per le centinaia di migliaia di vittime lasciate sul campo, negli anni di guerra. Purtroppo di quelle inutili morti non risponderà nessuno, né tra i belligeranti, né tra la tifoseria di entrambi i lati.
di Raffaello Savarese