Il “Candido” di Voltaire e il conflitto Hamas-Israele

venerdì 26 gennaio 2024


Non tutti conoscono il Candido, o l’ottimismo di Voltaire, una narrazione satirica scritta nel 1759 in ambiente illuminista. Oggetto della critica è il filosofo tedesco Gottfried Leibniz, che considerava Dio come un demiurgo in grado di combinare sempre le monadi nel modo migliore possibile (secondo Pitagora e Leibniz le monadi sono le unità più piccole dell’universo, ovvero i quanti di energia, come diremmo oggi). Voltaire invece, partendo dal catastrofico terremoto di Lisbona del 1755, ribalta l’ottimismo per cui “tutto è bene” e “questo è il migliore dei mondi possibili” in un crudo realismo. Finito in America Latina in cerca dell’amata Cunegonda, Candido fugge da Buenos Aires, dove ha ucciso il Grande Inquisitore e ha scoperto che Cunegonda era divenuta l’amante del governatore spagnolo. Travestito da gesuita come il meticcio Cacambo, suo compagno di fuga, Candido cade in mano di una tribù di cannibali in guerra contro i gesuiti. E scopre il mitico Eldorado, dove però l’oro è così tanto da essere considerato come un sasso. Alla fine, Candido capisce che l’ottimismo della ragione non corrisponde alla realtà e si dedica al lavoro nei campi.

Parlo di Candido per criticare le abuliche e ingenue soluzioni che l’Europa, il presidente statunitense Joseph Biden e il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, propongono per risolvere il disastro prodotto dagli oligarchi di Hamas e dai qatarini il 7 ottobre 2023, con un massacro orribile e vile di israeliani, e per aver così provocato anche il massacro degli stessi abitanti della Striscia di Gaza, presi in ostaggio dai loro stessi pseudo-protettori. È proprio la Striscia di Gaza a rendere ridicola la soluzione proposta in Occidente. Giorni fa, questa mancanza di coraggio e intelligenza strategica occidentale è stata messa a nudo da un articolo della Rossiyskaya Gazeta, quotidiano ufficiale del Governo russo. Il testo sembra un velato invito a continuare la guerra, rivolto a “local player” come Hamas, Houthi, Hezbollah ma rivela anche le inesauste intenzioni di Vladimir Putin e dei suoi alleati di stabilire un “nuovo ordine mondiale”. Il testo è riportato da Memri ed è da me stato tradotto all’interno di una analisi pubblicata da Il Newyorkese, giornale stampato a New York in lingua italiana e diretto da Davide Ippolito, che a Roma dirige Zwan srl e la rivista Reputation Review.

“C’è qualcosa nei cataclismi attuali che li distingue dalle crisi precedenti – scrive la Gazeta – la grande riduzione delle capacità di intervento da parte delle Potenze esterne, anche le più importanti. Al contrario, i local player hanno un maggiore spazio di azione”. L’ordine mondiale è un impegno che – se accettato dai soggetti strategici decisivi – focalizza i problemi ed evita che questi crescano. Quando tutto ciò viene a mancare, i conflitti esplodono liberamente”. Il Medio Oriente (per la Gazeta, meglio definibile come Asia Occidentale) sarebbe l’immagine vivente di questa transizione: il vecchio ordine è finito, e non c’è alternativa. Il conflitto in Palestina tra Hamas e Israele è il punto di partenza di un nuovo modello.

“Gli attacchi americani e inglesi nello Yemen non hanno distrutto le forze militari degli Houthi. Gli scontri continuano. Si pensa che dietro gli Houthi ci sia l’Iran. Ci sono stati attacchi a obiettivi iraniani in Siria, Iraq, e anche in Pakistan. Anche la Turchia ha usato le armi in Siria e contro i curdi.  Il problema non è risolto, e gli Usa non hanno un programma efficace nelle aree curde in Iraq e Siria. Le forze internazionali in quell’area di crisi sono ormai esigue, e l’instabilità cresce. Secondo ogni punto di vista, il Medio Oriente e il mondo sono entrati in una lunga fase di ristrutturazione”, prosegue la Gazeta, che propone addirittura di tornare “allo spirito degli Accordi di Abramo”, immaginando Putin come uomo di pace o come un Barack Obama dell’Est.

“Il 2024 porterà novità (cioè nuovi conflitti? Ndr) al quadro militare e politico. La ristrutturazione non riguarderà soltanto il Medio Oriente”. Gli Usa e i loro alleati continuano ad attaccare gli Houthi. L’Unione europea manderà tre unità navali nel Mar Rosso. Il ministro degli Esteri iraniano dice che Teheran non ha niente a che fare con gli Houthi e non controlla le loro azioni belliche. Il corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane ha attaccato basi del gruppo terrorista Jaish ul-Adl in Pakistan (si tratta di beluci iraniani separatisti, di confessione sunnita, ndr)”. Traducendo l’articolo dalla retorica putinista, le guerre saranno lunghe e deterritorializzate, ovvero ovunque e da nessuna parte, come tutte le guerre fochiste e terroriste. Il Quartetto guidato dalla Russia, pur avendo una forza militare ed economica ridotta rispetto alle democrazie occidentali, è pronto a logorare l’avversario, cioè noi, in una guerra di trincea multiforme. Di fronte a tutto ciò, cosa va a proporre il nostro ministro degli Esteri a due contendenti che dichiaratamente vogliono distruggersi? Parlano, quasi come l’astuto Putin, di due popoli e due Stati, una soluzione che neanche Pangloss, il precettore del Candido di Voltaire, avrebbe pensato. Per giunta, questa soluzione significherebbe ritrovarsi di fronte a un assedio di Israele da tutti i confini. Perché? Per una catena di conseguenze.

Prima conseguenza: anche i territori palestinesi attualmente sotto il controllo del corrotto gruppo diretto da Abu Mazen, mal digerito dagli stessi palestinesi dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), al-Fatah & company finirebbero prima o poi in mani iraniane. Come l’Idra di Lerna la testa di Hamas, che speriamo sarà tagliata dall’offensiva israeliana, rispunterebbe “democraticamente” (grazie a elezioni anch’esse “democratiche”) con due teste, una a Gaza sotto mentite spoglie, un’altra oltre il Giordano, con l’inevitabile fine del gruppo di Abu Mazen. Anzi, le teste iraniane sarebbero alla fine tre, considerando Hezbollah in Libano, se non quattro calcolando gli Houthi dello Yemen. Praticamente, sarebbe un pogrom “democratico” provocato dall’ottimismo (e forse dall’ipocrisia) dell’Occidente.

Seconda conseguenza: il gas marino che va dall’Egitto fino all’Egeo finirebbe nelle mani dei santissimi che siedono a Teheran e nel Cremlino. Sarebbe quindi un suicidio perfetto anche sotto il profilo economico del commercio internazionale e dell’energia. C’è da pensare che la cultura strategica internazionale dell’Europa e di tutte le democrazie sia ridotta al grado zero. Ma più che a una trovata idiota, viene da pensare a una causa ipocrita della soluzione dei due Stati, cioè quella di mettere a posto le pubbliche opinioni interne fregandosene di Israele (ma anche di tutta l’Asia Occidentale). Questa terza conseguenza ci porterebbe a qualcosa di simile agli ultimi versi del poema di Thomas Stearns Eliot, Gli uomini vuoti: “È questo il modo in cui finisce il mondo. Non già con uno schianto ma con un piagnisteo”.


di Paolo Della Sala