Pm ucciso in Ecuador: indagava sull’assalto alla tivù

giovedì 18 gennaio 2024


È stato raggiunto dai colpi di arma da fuoco sparati da un commando di sicari. Cesar Suarez, il pm che stava indagando sull’assalto a una stazione televisiva, è morto. L’agguato è avvenuto a Guyaquil, città portuale e fulcro della battaglia dell’Ecuador contro le bande di narcotrafficanti. “Rifiutiamo ogni forma di violenza come risposta al conflitto che stiamo vivendo” sono state le parole a caldo del ministro della Difesa, Giancarlo Loffredo, il quale rimarca che l’omicidio si inquadra nell’ondata di violenza divampata più di una settimana fa. Lo stesso ministro assicura che “questa battaglia contro il terrorismo” andrà avanti, oltre al fatto che resterà immutata la volontà di supportare le “autorità di giustizia” nella loro mission contro la criminalità. Diana Salazar, procuratrice generale dello Stato, dice che l’operato della Procura non si bloccherà: “Né i gruppi della criminalità organizzata, né i criminali o i terroristi fermeranno il nostro impegno a favore della società ecuadoriana”.

La situazione nel Paese resta infernale. E la mancanza di sicurezza è palpabile. Per esempio, cresce la domanda di dispositivi di protezione personale: in una catena di negozi di prodotti del genere la richiesta di giubbotti antiproiettile lievita di circa il 35 per cento nel giro di una settimana. Nella filiale di Guayaquil crescono del 40 per cento le richieste. Richieste che non mancano, poi, sul versante delle armi di protezione non letali, tipo il manganello retrattile. Altri dati, inoltre, confermano la situazione di caos. Negli ultimi 4 anni, all’interno del Paese emerge un aumento del 640 per cento del tasso di omicidi di minori: solo nel 2023 sono 770 le morti, in confronto alle 104 del 2019, stando alle stime del Ministero degli Interni. Garry Conille, direttore regionale dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi, commenta: “Negli ultimi mesi le morti di bambini e adolescenti sono salite alle stelle a causa del drammatico aumento della criminalità in diverse zone dell’Ecuador. Anche il reclutamento forzato di adolescenti da parte di gruppi armati è in aumento e i centri sanitari e le scuole sono sotto assedio”. Una situazione, questa, che vede pure la chiusura temporanea delle scuole.

In tale contesto, i Servizi segreti delle Forze armate dell’Ecuador invitano il personale a prestare maggiori attenzioni anche sul cibo che mangiano, perché c’è il rischio che i gruppi criminali possano avvelenarlo. E proprio un documento interno spinge i militari che sono di stanza sulle strade a non accettare, quando possibile, cibi o bevande preparati. Pur apprezzando la generosità dei cittadini, da parte delle Forze armate vengono monitorati tutti i livelli di rischio che i soldati potrebbero affrontare durante le operazioni di sicurezza: “I gruppi terroristici potrebbero atteggiarsi a persone generose contaminando gli alimenti, al fine di minimizzare la permanenza e colpire il personale in modo che non possa svolgere operazioni militari”.

Per quanto concerne i numeri, al momento sono 18.108 le operazioni svolte a livello nazionale dal momento della dichiarazione dello stato di emergenza, avvenuto il 9 gennaio. Ammontano a 1.753 le persone arrestate: 158 di queste risulterebbero accusate di collegamenti con gruppi legati al terrorismo. E in comunicato diffuso dal Governo a Quito si dichiara che nell’ambito del Piano Fenix rientrano, fino al 16 gennaio, pure 41 operazioni contro cellule di gruppi terroristici e che 32 persone hanno riottenuto la libertà. Di vario genere i sequestri: 645 armi da fuoco di vari calibri, 664 coltelli, 488 ordigni esplosivi, 40 caricatori e 14.727 munizioni di vari calibri, 406 veicoli, 15 barche, 235 motociclette, 5.518 dollari, 5.654 chilogrammi di droga e 7.425 litri di carburante.

Nel frattempo, la ministra degli Esteri dell’Ecuador, Gabriela Sommerfeld ha annunciato di aver già inviato alle autorità della Colombia la richiesta di rimpatrio di circa 1.500 prigionieri colombiani detenuti nei penitenziari del Paese vicino: “La richiesta è di 1.500 trasferimenti immediati. Comprendiamo che ci vuole del tempo per spostare tutti, ma dobbiamo iniziare. La richiesta è stata avanzata, non abbiamo avuto una risposta formale scritta da parte del Governo colombiano”. “Siamo in trattative per costruire un percorso di collaborazione giudiziaria tra i due Paesi che permetta di arrivare a una soluzione senza cadere in errori già commessi in passato” riferisce il presidente colombiano, Gustavo Petro. Ed evidenzia che si tratta di “una procedura impossibile da realizzare dall’oggi al domani”.


di Alessandro Buchwald