lunedì 15 gennaio 2024
L’Ecuador, fulcro logistico per la spedizione di cocaina verso gli Stati Uniti e l’Europa, è uno Stato fallito? Il Paese sudamericano ha galleggiato in una pace tendenzialmente “tossica” a causa del forte peso sociale dei cartelli della droga. La fuga da un carcere di massima sicurezza di Adolf Macias, dove stava scontando una pena di trent’anni, è stato un primo segno che qualcosa sarebbe potuto accadere. La fuga di Fito, pseudonimo di Macias, leader della banda Los Choneros (circa ottomila addetti e principale attore del traffico di droga in Ecuador), è stata rivelata dalle autorità il 7 gennaio; stava scontando la sua detenzione perché “sospettato” di aver ordinato, il 9 agosto dell’anno scorso, l’assassinio di Fernando Villavicencio, uno dei candidati alla presidenza, autore di numerose denunce di corruzione nell’ambito degli “affari pubblici”, dove l’influenza dei cartelli della droga stava dilagando.
Le sommosse e gli ammutinamenti nelle carceri, la coreografica, con aspetti ridicoli se non fossero ammantati di terrore, presa di ostaggi in diretta su una televisione pubblica, ma anche rapimenti, omicidi di membri delle forze di sicurezza, hanno portato, il 9 gennaio, il presidente Daniel Noboa, salito al potere nemmeno due mesi fa, a dichiarare che il Paese era entrato in un “conflitto armato interno”, puntando il dito su ventidue bande, ma potrebbero essere definite anche “aziende” per la loro organizzazione, identificate come narco-sovversive. Noboa ha così annunciato lo stato di emergenza per sessanta giorni, al fine di operare militarmente contro questi gruppi terroristici. L’Ecuador è stato per lungo tempo una nicchia di pace apparente, o meglio “pace dopata”, in un’area geografica tormentata, dove i cartelli della droga stabiliscono regole proprie che influenzano dinamiche economiche soprattutto di spessore internazionale.
Infatti questo Paese sudamericano è caduto negli interessi della criminalità organizzata a causa della diversificazione e del reindirizzamento del mercato di cocaina, prodotta dagli Stati confinanti, allettati dai suoi porti affacciati sull’Oceano Pacifico. Questa effervescenza del mercato della droga ha permesso l’ascesa delle bande locali, facilitata dall’ingresso invasivo dei cartelli della droga di matrice messicana, i quali hanno trapiantato in Ecuador le loro faide omicide per il controllo del mercato degli stupefacenti. Questa piattaforma di spregiudicati interessi ha portato anche all’incursione della mafia albanese, che ha trovato “campo fertile” in questo Paese, anche grazie a imbarazzanti scelte politiche di cui oggi gli ecuadoriani stanno pagando le conseguenze. Voglio solo ricordarne alcune: il presidente Rafael Correa, al potere tra il 2007 ed il 2017, ha aperto la concessione dei porti ecuadoriani a noti gruppi non autoctoni; ma anche il successore, Lenin Moreno che ha governato dal 2017 al 2021, pensò che fosse utile sopprimere il Ministero della Giustizia e affidare le sue competenze ad una agenzia, che in breve tempo ha, come era prevedibile, perso ogni controllo, guarda caso, del sistema carcerario. In questo contesto, negli ultimi tre anni, si sono verificati poco meno di quattrocentocinquanta assassini.
Ma queste scelte sono state fatte per miopia strategica o per agevolare il radicamento di una criminalità trasversale alla politica? La risposta possiamo trovarla sulle azioni fatte dal successore di Lenin Moreno, Guillermo Lasso, che ebbe a confrontarsi con il Parlamento che aveva avviato una procedura di impeachment contro di lui per corruzione. Questa tensione ha portato alle elezioni anticipate del 2023, con la vittoria di Noboa, eletto solo per completare il mandato quadriennale di Lasso, che scade nel 2025; inoltre Noboa non ha la maggioranza in Parlamento. Tutto ciò ha creato una cronica instabilità politica che ha frenato una necessaria reazione a questa complessa realtà sociale. Gli ecuadoregni hanno così subito una precarietà dei diritti, difficoltà economiche e politiche, una forte riduzione della spesa sociale, in un contesto di debito colossale e di incertezze. È stimato che ad oggi questi ricchi e spietati gruppi narco-terroristici contano oltre ventimila affiliati, che sono capillarmente inseriti nei contesti più disparati come negli organici delle guardie carcerarie.
In questo ambito sabato lo Snai, Amministrazione penitenziaria ecuadoriana, ha comunicato che sono stati rilasciati quarantuno ostaggi che erano in mano a detenuti nelle carceri ecuadoregne; ma sono ancora in ostaggio, in varie carceri del Paese, oltre centotrenta tra secondini e dipendenti di istituti di detenzione. La considerazione che non posso esimermi di esprimere è sul “concetto” di colpo di Stato. Il Sudamerica è “affezionato” a questo tradizionale metodo di avvicendamento governativo, e i golpisti “seri” sudamericani, come i “colleghi” africani, sanno perfettamente che occorre “l’entità militare” per avere successo in queste operazioni. Quindi perché un gruppetto di affiliati della droga, probabilmente fruitori di tali essenze, ha maldestramente eseguito una incursione in un sito strategico dello Stato come una sede della tivù pubblica? E perché ha abbozzato un “colpetto di Stato” che in partenza sarebbe stato indubbiamente fallimentare? Se non fosse un contesto pervaso di allucinogeni, che sicuramente caratterizzano il quadro all’interno del quale tali soggetti orbitano, mi verrebbe da pensare che l’obiettivo potrebbe essere stato di altro genere, magari ordito non dai cartelli della droga, troppo scaltri per permettere questa infantile, anche se tragica, operazione. Un fattore è evidente, l’Ecuador è fragile, e le risposte nazionali che ignorano le realtà confinanti sono effimere ed illusorie. Il Paese non si può permettere una destabilizzazione nemmeno a breve termine, che creerebbe squilibrio oltre che ai Paesi confinanti anche a tutti quelli dell’America Latina. L’Ecuador necessità di sostegno e assistenza nell’ambito della sicurezza, magari in un sistema di coordinamento continentale; gli Stati Uniti già operano in soccorso, almeno per evitare “colpetti di Stato” dal profilo nebuloso e basso.
di Fabio Marco Fabbri