Un’utopia per la Palestina: oltre il libro

giovedì 11 gennaio 2024


Dove si nasconde la verità? Risposta: laggiù, in qualche luogo remoto, in fondo ai cattivi pensieri. Del resto, in un sistema ferocemente verticalizzato (Putin, Xi, Hamas, Khamenei) dove conta solo la decisione del leader supremo, il singolo cittadino si sente spossessato di qualsivoglia strumento di cambiamento dal basso e, quindi, tace e si inchina doverosamente, con il suo silenzio e accondiscendenza, al volere faustiano del supremo in terra, del dittatore, del possessore indiscusso del suo destino immediato. Ma, un giorno, anche loro, gli autocrati, i dittatori spietati, i prenditori e abusatori di umanità avranno un termine, perché il loro ciclo mortale su questa terra è destinato a corromperli nelle membra e nel potere lebbroso di cui si arrogano il diritto, che risulta però così contagioso per i deboli di spirito e gli opportunisti di ogni rango e risma. Ora, qual è il dovere di un intellettuale dal pensiero lungo che non intenda piegarsi alla legge del più forte, perché sa che quest’ultimo è sempre mortalmente transeunte? Probabilmente, il rimedio è far ricorso alla medicina del tempo, nota come il sogno dell’utopia, dicendo che no, tra un secolo, due o tre, le cose potrebbero andare in un modo oggi solo impossibile da immaginare, anche perché semplicemente non-pensato.

In particolare, nel caso del problema insolubile del conflitto israelo-palestinese, come si fa ad andare oltre il “Libro”, quando i due testi sacri (Torah e Corano) indicano entrambi la terra comune di Palestina come propria, unica e indivisibile, per cui un popolo non può coesistere con l’altro, a meno della sua piena sottomissione? Persistere nell’ipocrisia della soluzione impossibile di “due popoli, due Stati” non è forse un delitto di lesa maestà dell’intelligenza politica degli uomini di buona volontà? Siccome vale sempre la pena di credere che una “Utopia ci salverà”, allora che cosa c’è di male, dopo aver fatto defluire interi fiumi di sangue tra i due fratelli-coltelli figli di Abramo, poter pensare a una futura “Repubblica federale di Palestina” (Rfp)? Nella quale, ad esempio, esista una Camera unica (Assemblea) e una presidenza della Repubblica, le cui cariche presidenziali di secondo grado (perché entrambi individuate nell’ambito delle maggioranze semplici e qualificate dell’Assemblea) siano a rotazione tra israeliani e palestinesi, mentre la designazione del premier è regolata sul modello elettorale anglosassone? Ab initio, il Pil federale assommerebbe a quello iniziale di Israele cui si aggiungono le donazioni a fondo perduto degli Emirati arabi uniti (Eau) e dell’Arabia saudita, per il ripianamento dei debiti congiunti e la ricostruzione delle aree di Gaza e Cisgiordania, avvalendosi dell’impiego di tecnologia avanzata israeliana e di manodopera locale, con l’obiettivo dichiarato della piena occupazione. Gli step geopolitici per la costruzione della Federazione sono poi riassumibili nei seguenti punti.

In primo luogo, è indispensabile l’immediato riconoscimento della Federazione da parte araba e occidentale, con contestuale risoluzione per via giudiziaria ordinaria, e attraverso tribunali a composizione paritaria israelo-palestinese, delle dispute sulla proprietà della terra, con previsione del gratuito patrocinio per i cittadini non abbienti. Una “Costituzione repubblicana”, laica e democratica, approvata con referendum da tutti i cittadini della comunità di Palestina, compresi quelli della diaspora, stabilisce la “balance-of-power”, garantendo l’inviolabilità della libertà religiosa e il diritto di libero accesso di altre comunità di credenti ai rispettivi luoghi sacri. La stessa Costituzione indica norme per la difesa dei confini esterni comuni, con uguali diritti-doveri di tutti i cittadini a partecipare alla difesa del territorio della Federazione dalle minacce esterne. Il terzo punto riguarda la cooptazione nella Unione europea della Rfp, in quanto erede della struttura democratica dello Stato Israele, che rispetta i parametri internazionali degli istituti democratici, della balance of power e dell’equilibrio dei conti pubblici. In base alla concezione visionaria pannelliana (nel senso dell’indimenticabile leader radicale Giacinto Pannella, detto “Marco”), sarà impossibile per i due popoli ex nemici, come palestinesi e israeliani, tornare a farsi la guerra una volta divenuti membri della grande comunità europea.

L’unico modo, infatti, di sconfiggere per sempre Hamas, così come i suoi derivati e succedanei delle formazioni radicali che lo seguiranno dopo quest’ultimo conflitto del 7 ottobre 2023, consiste nella equa ripartizione del benessere socio-economico tra le due comunità, quella palestinese e quella ebraica, oggi nemiche. Un giorno non lontanissimo saranno il welfare e la piena occupazione a costituire l’unico parametro sostanziale sul quale costruire la fusione duratura tra i due principali popoli della terra contesa di Palestina. E così sia.


di Maurizio Guaitoli