venerdì 5 gennaio 2024
La guerra di Israele contro Hamas e suoi cobelligeranti – in questo gruppo rientrano, non ufficialmente, anche attori impegnati in altri conflitti – sta rivelando scenari consoni all’ampia portata del conflitto, da ogni punto di vista. Il palcoscenico di Gaza, dove il dramma si sta celebrando, vede, da una parte, l’esercito israeliano che continua i bombardamenti sull’enclave e, dall’altra, la popolazione palestinese stremata e decimata da questa guerra voluta fortemente e cinicamente da Hamas. Dopo i primi attacchi in superfice, la battaglia si è concentrata nel sottosuolo della Striscia e nelle zone adiacenti, focalizzandosi sulla demolizione e il controllo della spina dorsale di Hamas, cioè quel dedalo di tunnel che, come una rete venosa, irrorano – sempre meno – la capacità offensiva dei carnefici del 7 ottobre. Le spettacolari esplosioni, che hanno interessato i giorni scorsi Gaza City, hanno sancito, tra una nuvola di polvere, la distruzione dei più strategici tunnel di Hamas.
L’esercito israeliano ha mostrato i militari dell’Idf, le Forze di difesa, mentre allestiscono a oltre venti metri di profondità il sistema esplosivo, stendendo cavi e piazzando mine lungo gli opprimenti corridoi. Secondo gli strateghi israeliani, il condotto demolito ospitava il quartier generale di Hamas. A oggi è stato comunicato che almeno il settanta per cento dei tunnel nel nord di Gaza sarebbe stato distrutto; tuttavia, ne restano ancora molti a sud dell’enclave. L’architettura dei tunnel, sui quali Hamas ha investito tempo e denaro – per la maggior parte proveniente da note fonti sciite, Iran, dai finanziatori del terrorismo di impronta jihadista, ma notoriamente anche dalla Turchia – è composta da molte strutture complesse come quella demolita il 22 dicembre, che si estendeva per circa quattro chilometri fino a poche centinaia di metri dal valico di Erez, ubicato tra Israele e il nord della Striscia di Gaza. Questa rete di tunnel strategici è stata intenzionalmente costruita con un’uscita nei pressi di un punto di passaggio in superfice, che conduce a Israele.
In queste gallerie, immerse anche alla profondità di alcune decine di metri, è presente tutto quello che necessita per le operazioni di trasporto, sopravvivenza e di carattere offensivo. Insomma, una tecnologia sofisticata e costosa che contrasta con la diffusa povertà che abbraccia i palestinesi della superfice, e con la disastrosa situazione economica nella Striscia di Gaza. Parliamo, insomma, di un sistema di tubazioni per elettricità, ventilazione, fognature. Ma anche reti di comunicazione e binari, acqua potabile e a uso igienico. Il pavimento è in terra battuta e le pareti in cemento armato, tranne le uscite che hanno una struttura metallica di almeno due centimetri. Questa massiccia rete di tunnel, divisa in più rami, e in più livelli, secondo Hamas ha la lunghezza di cinquecento chilometri. Oltre a tale affermazione, la realtà è che l’esercito israeliano al momento ha dichiarato di avere distrutto oltre cento chilometri di gallerie. Quasi la totalità di questi infernali cunicoli hanno ingressi ubicati negli scantinati di abitazioni civili, negli ospedali, nelle moschee, in scuole e in edifici pubblici. Pertugi ideali a favorire accessi in segretezza ma allo stesso tempo, in questa guerra, letali per chi vi abita sopra.
È noto che la direzione dei lavori di questa rete di tunnel è stata di Mohamed Sinwar, il fratello di Yahya Sinwar capo di Hamas dal 2017 e al quale viene attribuita la programmazione della strage del 7 ottobre. Fonti israeliane, alle quali è difficile mettere in dubbio la valutazione, stimano che tutta la ragnatela delle gallerie, con tecnologia annessa, sia costata svariati milioni di euro. E che i lavori siano andati avanti per anni. Hamas ha investito enormi quantità di denaro e risorse per la costruzione di queste strutture edificate a scopo terroristico contro Israele. Finora, per la localizzazione e per l’avanzamento attraverso i tunnel sono stati usati robot, droni, sofisticati sensori di presenza e cani addestrati. Ma da alcuni giorni le gallerie vengono inondate con acqua di mare estratta con pompe ubicate sulle spiagge di Gaza. È noto che quest’ultima opzione possa causare enormi danni all’ambiente, inquinando le falde acquifere, inaridendo il suolo impregnandolo di sale marino, e rendendo fragili i terreni dove poggiano le fondamenta degli edifici ancora rimasti in piedi.
Eppure, la considerazione che ritengo fondamentale è il paradosso tra il sotto e il sopra di Gaza. Il contrasto, cioè, tra l’investimento di milioni di euro destinati al terrorismo e una popolazione dei territori palestinesi che soffre di cronica e drammatica povertà. E che è tormentata dalla scarsità di acqua potabile, la quale risulta sporca e costosa. L’attacco del 7 ottobre è un altro “regalo” fatto da Hamas al suo popolo o una strategia più ampia che vede legare due assi, quello russo-iraniano e quello Iran-Hamas? La realtà è che dopo il 7 ottobre, per una serie di motivi, la Russia sta avendo ragione sull’Ucraina; e la costruzione della città sommersa di Gaza, strumento di transito dei missili lanciati su Israele, non poteva essere frutto di una improvvista o autoctona strategia, né dal punto di vista tecnologico e meno che mai dal punto di vista economico.
di Fabio Marco Fabbri