giovedì 21 dicembre 2023
Quale Continente avrà più Stati che andranno al voto nel 2024? L’Africa, naturalmente, i cui elettori risultano sempre più insoddisfatti sul funzionamento del nostro modello democratico d’importazione. Infatti, secondo i sondaggi recenti, un numero sempre crescente di africani preferisce i regimi militari alle democrazie, accusate di non saper garantire le loro decantate promesse di libertà, sicurezza, onestà e prosperità, dando anzi luogo a quelle che vengono definite vere e proprie dinastie elettorali. Sorprendentemente, è proprio il Sudafrica, lo Stato in cui si è avverata la libertà dall’apartheid, a fare peggio di ogni altro, a proposito del clima che si è instaurato al suo interno tra insicurezza, disoccupazione, prevaricazione e il dilagare di bande criminali organizzate. Tanto è vero che la trentennale dittatura “democratica” del partito di Nelson Mandela, l’African National Congress (Anc, nel seguito) rischia alle prossime elezioni di perdere (finalmente) il suo monopolio del potere. Molte, troppe cose sono cambiate da quel lontano 27 aprile del 1994, quando milioni di persone fecero la fila davanti ai seggi elettorali per eleggere, con un’affluenza dell’86 per cento, Nelson Mandela a primo presidente della Repubblica Sudafricana, democratica e multirazziale.
Alle urne del 2024, invece, i sudafricani vi si recheranno con un sentimento molto diverso e assai più scettico rispetto a quello del 1994, visto lo stato insoddisfacente della loro giovane democrazia, profondamente devastata dalla corruzione, dal crimine e dalla disoccupazione. Il calo dell’affluenza previsto, già sceso al 49 per cento nel 2019, sarà ancora maggiore tra qualche mese, viste le stime secondo cui andranno a votare non più di un quarto dei giovani sudafricani “nati liberi” dopo il 1994. Dal momento che il sistema di voto è di tipo proporzionale, dipenderà proprio da quanti elettori andranno alle urne per far perdere all’Anc la maggioranza parlamentare. E, quindi, il Governo del Paese che detiene da quasi 30 anni. Alla caduta eventuale del partito di Mandela si lega la questione cruciale della stessa sopravvivenza della democrazia in Sudafrica che, dopo il 1994, a seguito dell’introduzione della Costituzione, è una Repubblica democratica con un welfare di base che ha contribuito a migliorare l’istruzione scolastica dei bambini africani. Tuttavia, dopo la trentennale “dittatura democratica” dell’Anc, i benefici della democrazia si sono rivelati molto inferiori alle attese, visto che sono state soprattutto le élite sia bianche che nere a trarne il massimo beneficio. Tanto per fare un paragone: quando l’Ipsos nel 2023 ha fatto un sondaggio su 29 Stati (incluso il Sudafrica), chiedendo ad alcuni cittadini (un campione di essi) se fossero soddisfatti di come stavano andando politicamente le cose nel loro Paese, soltanto Argentina e Perù hanno riportato un giudizio negativo superiore a quello del Sudafrica.
E c’è poco da meravigliarsi, visto che l’attuale patria di Mandela è agli ultimi posti nel mondo, secondo le statistiche che misurano periodicamente il tasso di disoccupazione, il numero di omicidi e le disuguaglianze sociali. Alcuni dati macroeconomici parlano chiaro in proposito: il Pil sudafricano, al netto dell’inflazione, è addirittura sceso sotto il livello del 2008, mentre i blackout elettrici sono sempre più frequenti. Risultato? Solo i più benestanti possono permettersi di ricorrere alle guardie – e alla sicurezza – private, mandando i propri figli in scuole più sicure, garantendosi per di più una sanità decente a pagamento. La corruzione politica e amministrativa, che aveva raggiunto l’apice dal 2009 al 2018 con Jacob Zuma, ha continuato a imperversare anche durante l’ultima presidenza, malgrado le solenni promesse elettorali di venirne a capo. E tutto ciò accade perché il partito di maggioranza, l’Anc, da tempo si è identificato con lo Stato, per cui il settore privato è visto come una forza maligna che deve essere contenuta a tutti i costi, dando così spazio come modus operandi alle più bieche prassi clientelari e alle pratiche corruttive che ne derivano.
In tal senso, l’Afrobarometer (nota Agenzia panafricana di sondaggi) ha condotto indagini indipendenti dalle quali si evince che ben l’80 per cento dei cittadini sudafricani intervistati ritiene che sia corrotta la maggior parte di funzionari e impiegati di tutte le Amministrazioni centrali (compresa quella presidenziale) e locali. Un fatto eclatante quest’ultimo, destinato ad alimentare l’area dell’astensione, visto che nessun partito alternativo all’Anc sembra riscuotere la fiducia degli elettori. E, paradossalmente, la crescente disaffezione elettorale potrebbe favorire proprio il partito di Mandela, qualora riuscisse a ottenere più consensi facendo girare al massimo la sua macchina della compravendita di voti. Anche se un risultato insoddisfacente gli costerà la perdita del monopolio, dovendo cooptare qualche partito minore per ottenere la maggioranza in Parlamento. Morale: il 72 per cento dei sudafricani vedrebbe volentieri la presa del potere da parte di un leader non eletto, se lo si dovesse ritenere in grado di far crescere l’occupazione e combattere il crimine dilagante. “Bye bye Democracy!”.
di Maurizio Guaitoli