L’utopia dei due Stati: guai ai vinti!

martedì 19 dicembre 2023


Che cosa hanno in comune Hamas e Israele? Esemplificando: nessuno dei due vuole mettere seriamente fine al conflitto a Gaza per vedere realizzata la soluzione dei famosi “due popoli-due Stati”. Soluzione del resto già ampiamente sabotata prima dall’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di Yasser Arafat e poi da una oltremodo delegittimata Autorità palestinese (Ap, nel seguito), sulla cui impresentabilità concordano ancora una volta i due nemici giurati. Anzi, nell’ottica biblica di “muoia Sansone con tutti i filistei”, più palestinesi innocenti moriranno per il lieto fine della cancellazione di Israele dalle carte geografiche mediorientali, più netta e definitiva sarà la vittoria dell’Islam radicale, sunnita e (miracolosamente!) sciita. Quindi, per Hamas, che vive nelle sue moderne catacombe tecnologiche, al riparo dalle bombe che piovono dall’alto, più distruzione c’è nell’area sotto il suo diretto controllo, maggiore è la colpevolizzazione e l’isolamento internazionale di Israele. Strategia che sta avendo del resto pieno successo, a seguito delle decine di migliaia di vittime palestinesi innocenti (soprattutto bambini), provocate dai bombardamenti dell’aviazione di Tel Aviv. Non solo: Hamas, una volta giunta al termine (perché una fine inevitabilmente ci sarà) questa ennesima campagna di “pulizia” israeliana, per l’eradicazione della minaccia terroristica palestinese, è pronto a raccoglierne i frutti avvelenati, dato che qualcuno dovrà pur mettere mano al portafoglio per la ricostruzione di Gaza e dintorni.

Per ora, per come sono messe le cose, né l’Unione europea, né l’America, sulle quali graverà l’onere futuro di migliaia di miliardi di euro per la ricostruzione dell’Ucraina, vogliono accollarsi i danni materiali delle devastazioni prodotte nella Striscia. Seguono a ruota, in questo minuetto dei braccini corti, i ricchissimi Stati del Golfo, restii a svenarsi prima che sia stata individuata una soluzione politica all’attuale conflitto israelo-palestinese, con la messa a punto di una possibile “governance” internazionale per Gaza e Cisgiordania. Per loro, come per gli altri Stati arabi “moderati” (ma esistono per davvero?) sarebbe opportuno liquidare Hamas e rivitalizzare l’Ap, oggi moribonda, incapace e corrotta, sull’impresentabilità della quale, come già evidenziato, concordano sia Hamas che Israele. Attualmente, tuttavia, non si sa ancora bene come costruirne una completamente rinnovata, che dovrebbe trarre nuova linfa di credibilità e onestà attingendo alle giovani leve politiche palestinesi, per ricreare una leadership più incline a un compromesso con lo Stato ebraico. Infatti, soltanto una Ap così orientata potrà essere utilmente coinvolta in una sorta di Accordi di Abramo allargati. Certamente, nell’imminente futuro, non sarà l’Onu super discreditata a giocare un ruolo di mediatore per la soluzione di un compromesso su Gaza e Cisgiordania.

E, con ogni probabilità, nessuna mediazione efficace potrà avere luogo prima della conclusione della guerra in Ucraina, dato che Russia e Cina non possono obiettivamente essere tenute fuori da una trattativa di pace in Medio Oriente. Essendo le due potenze, per loro stessa ammissione, i più fedeli sodali-alleati dell’Iran, soggetto senza il cui contributo nessuna pace duratura potrà esistere per la martoriata terra di Palestina. La verità oggettiva è questa: oggi anche i più accaniti sostenitori della soluzione “due popoli-due Stati” si mostrano profondamente scettici sulla possibilità di una sua realizzazione nel medio-lungo periodo, dato che le prospettive di successo non sono più quelle dell’inizio degli anni Novanta. Allora, infatti, la conferenza di Pace di Madrid del 1991 aveva dato l’illusione che il suo inserimento nell’agenda internazionale fosse cosa fatta. Ma, all’epoca, esistevano solo centomila coloni israeliani nei territori palestinesi occupati, mentre oggi se ne contano più di cinquecentomila. E, a meno di un nuovo genocidio, non si vede come sia possibile sloggiarli con la forza. Per di più, oggi non esiste più nulla di quei movimenti pacifisti, israeliani come palestinesi, che predicavano l’incontro e la convivenza pacifica tra i due popoli. Da quell’anno sono trascorse ben due Intifada, un’ondata di stragi di kamikaze islamici all’interno di Israele, la presa di possesso di Gaza da parte di Hamas e varie ritorsioni israeliane in territorio palestinese. Oggi, dopo la strage del 7 ottobre, anche le più convinte colombe israeliane si sono tramutate in falchi e chiedono a gran voce che Gaza sia rasa al suolo.

Simmetricamente, l’odio anti-israeliano si è dilatato a dismisura dopo i 17mila morti stimati dei bombardamenti su Gaza e, per un numero indeterminato di future generazioni di palestinesi, non ci sarà pace finché Israele non sarà cancellato “dal Fiume al Mare”. Per Hamas che vuole annientare lo Stato ebraico, sul fronte opposto c’è chi predica la deportazione di tutti i palestinesi di Gaza e Cisgiordania per realizzare l’Erétz Israel. Allora, a salvarci non c’è che l’utopia. Marco Pannella immaginava di cooptare nella Ue palestinesi ed ebrei, affinché si rendesse impossibile una nuova guerra tra di loro. Noi potremmo alzare quella posta, parlando di uno Stato federato di Palestina, in base a un Trattato garantito dalle grandi potenze e dagli Stati arabi, con uguali diritti per tutti. Perché, in fondo, dicendola tutta con Luigi Pirandello, Così è (se vi pare)!


di Maurizio Guaitoli