martedì 28 novembre 2023
Quando la neutralità è immorale
7 ottobre: un altro giorno segnato dall’infamia: la Pearl Harbor di Israele. L’11 settembre di Israele. La tranquilla mattinata dello Shabbat di Simchat Torah, che concludeva la festa ebraica dei Tabernacoli, si è improvvisamente trasformata in un bagno di sangue. Sotto la copertura di un massiccio lancio di razzi, migliaia di terroristi di Hamas hanno attaccato le comunità a sud di Israele, lasciando dietro di loro una scia di carneficina e devastazione, tendendo imboscate nelle basi militari e agli automobilisti, uccidendo circa 364 persone durante un festival musicale, massacrando famiglie nei loro letti, stuprando donne, giustiziando bambini e sopravvissuti alla Shoah, bruciando vivi i civili e rapendo 244 persone per poi portarle a Gaza. Con un bilancio di almeno 1.200 morti, è stato il giorno più letale per gli ebrei dai tempi della Shoah. La barbarie dell’attacco di Hamas è stata così senza precedenti che persino il mondo è stato brutalmente, seppur fugacemente, scosso dalla sua consueta apatia e sconvolto dall’orrore.
Ma l’indignazione è stata di breve durata. Non appena Israele ha dato inizio alla sua risposta militare alla dichiarazione di guerra di Hamas, sono scoppiate manifestazioni filo-palestinesi in tutto il mondo, molte delle quali si sono rapidamente trasformate in festeggiamenti contraddistinti dall’odio contro gli ebrei. Qualcuno ha addirittura negato che il massacro del 7 ottobre abbia avuto luogo, nonostante le numerose testimonianze oculari dei sopravvissuti.
Le reazioni cattoliche al massacro e alla guerra che ne è seguita sono state contrastanti, spaziando dalla coraggiosa chiarezza morale alla discutibile ambiguità morale e allo sconcertante silenzio. Se qualcuno ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi, altri hanno optato per la neutralità, ritendendo una posizione più caritatevole e “cristiana” quella di non schierarsi e di condannare in egual misura la perdita di vite umane da tutte le parti. Questa posizione di equivalenza morale sta a indicare che entrambe le parti in conflitto condividono la stessa colpa e l’equivalente responsabilità morale per le conseguenze delle loro azioni. Razionalmente, questa è una strada facile da percorrere. Ma è moralmente giusta?
Un gruppo che ricorre costantemente all’equivalenza morale è quello dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Gerusalemme. Un breve sguardo alle loro reazioni alla crisi, insieme alle risposte dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede, illustra i problemi di questa posizione.
La mattina del 7 ottobre, mentre era ancora in corso il massacro di Hamas, il Patriarcato latino di Gerusalemme ha immediatamente diffuso una nota pregna di equivalenza morale. Invece di condannare inequivocabilmente il massacro, il Patriarcato ha asserito che il “ciclo di violenza che ha ucciso numerosi palestinesi e israeliani negli ultimi mesi è esploso questa mattina”. Il comunicato continuava con un linguaggio vago parlando di “improvvisa esplosione di violenza”, equivocando “l’operazione lanciata da Gaza e la reazione dell’esercito israeliano”, come se entrambe le parti fossero ugualmente colpevoli. “Le troppe vittime e le troppe tragedie” che affliggono “le famiglie palestinesi e israeliane”, continua la nota, “creeranno ancora più odio e divisione” e “distruggeranno sempre di più qualsiasi prospettiva di stabilità”.
Quello stesso pomeriggio l’ambasciata israeliana presso la Santa Sede ha diffuso un primo comunicato che, pur essendo direttamente rivolto al Patriarcato, suona come una risposta a quest’ultimo. L’Ambasciata ha ammonito che, data la portata del massacro di Hamas in corso, “l’uso di ambiguità linguistiche e di termini che alludono a una falsa simmetria dovrebbe essere deplorato”. La risposta di Israele all’ “orribile crimine di guerra” è stata una legittima difesa e “tracciare parallelismi dove non esistono non è pragmatismo diplomatico, è semplicemente sbagliato”.
I Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme non si sono scoraggiati. Il giorno successivo hanno pubblicato un “Comunicato sulla pace e la giustizia in mezzo alle violenze in atto” altrettanto moralmente ambiguo. Questa seconda dichiarazione non dice nulla sugli omicidi di Hamas. Lamenta genericamente che la Terra Santa è “attualmente teatro di violenza e sofferenza a causa del prolungato conflitto politico e della deplorevole assenza di giustizia e rispetto dei diritti umani”.
Sebbene i Patriarchi e i Capi delle Chiese abbiano affermato di “condannare inequivocabilmente qualsiasi atto che prenda di mira i civili” hanno sostanzialmente lasciato intendere che Israele non si preoccupa troppo delle sue migliaia di morti, di feriti, di persone violentate e rapite, chiedendo invece “la cessazione di ogni forma di violenza e attività militari che danneggiano sia i civili palestinesi che quelli israeliani”. In altre parole, Israele dovrebbe sopportare il peso degli attacchi barbari e lasciare che Hamas la faccia franca per gli omicidi, interrompendo immediatamente la sua risposta militare. Non importa il fatto che Hamas abbia iniziato unilateralmente e brutalmente la guerra invadendo Israele e commettendo crimini senza precedenti contro una malcapitata popolazione civile.
Il 9 ottobre, ha risposto l’ambasciata israeliana presso la Santa Sede. Ha deplorato nuovamente “l’immoralità dell’uso di ambiguità linguistiche” data la portata del massacro, poiché è diventato chiaro che intere famiglie erano state “giustiziate a sangue freddo” da parte di Hamas e la Jihad Islamica. Mentre molti in tutto il mondo hanno avuto l’onestà di condannare “l’orrendo crimine, nominando i suoi autori e riconoscendo il diritto fondamentale di Israele a difendersi da queste atrocità” i Patriarchi e i Capi delle Chiese non sono stati in grado di mostrare tale chiarezza morale. L’ambasciata israeliana ha trovato la loro dichiarazione “estremamente deludente e frustrante” perché dimostrava proprio “l’immorale ambiguità linguistica” non distinguendo “cosa sia successo, chi fossero gli aggressori e chi le vittime”. L’Ambasciata ha aggiunto che è “particolarmente incredibile che un documento così arido sia stato firmato da persone di fede”.
L’11 ottobre, Papa Francesco ha affermato in modo un po’ più schietto che è “diritto di chi è attaccato difendersi”, aggiungendo però di essere “molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza, dove pure ci sono state molte vittime innocenti”.
Ma i Patriarchi e i capi delle Chiese hanno bissato la loro equivalenza morale, diffondendo il 13 ottobre un “Comunicato sull’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza”. In questa nuova nota, essi si lamentano del fatto che “l’amata Terra Santa” è “radicalmente cambiata” a causa di un “nuovo ciclo di violenza con un attacco ingiustificabile contro tutti i civili”. I leader tuttavia hanno soprattutto deplorato “la morte e la distruzione a Gaza” e “la disastrosa catastrofe umanitaria” che hanno attribuito al fatto che la popolazione di Gaza sia stata “privata di elettricità, acqua, carburante, cibo e medicine”. Ancora una volta, i leader della Chiesa hanno chiesto una riduzione della tensione nella guerra.
L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Raphael Schutz, ha definito il comunicato “inquietante” e ha replicato ampiamente facendo il punto su quanto accaduto. Ha rammentato ai dirigenti della Chiesa che: “Quello che in realtà è successo è che il ‘ciclo di violenza’ (tipica espressione di falsa simmetria) è iniziato con un attacco criminale non provocato da parte di Hamas + Jihad Islamica (i Patriarchi si astengono dal fare i loro nomi) che ha ucciso più di 1300 israeliani e di altre 35 nazionalità, per lo più civili. Hanno anche violentato donne, bruciato bambini, decapitato persone e preso ostaggi. Contemporaneamente hanno lanciato attacchi missilistici e razzi ad ampio raggio contro centri di popolazione civile in Israele: città, paesi, villaggi, kibbutz”.
L’Ambasciatore ha aggiunto che “l’azione di autodifesa di Israele è diretta contro Hamas e la Jihad Islamica. Israele non prende di mira intenzionalmente i civili”.
È risaputo che l’Idf avvisa i civili palestinesi tramite volantini, messaggi di testo e persino telefonate di evacuare le aree vicine agli obiettivi militari prima che vengano attaccati. Mentre l’Idf fa di tutto per ridurre al minimo il numero delle vittime civili, Hamas e altri gruppi terroristici palestinesi fanno tutto il possibile per massimizzarlo, non solo uccidendo indiscriminatamente gli israeliani, ma anche nascondendosi tra la propria popolazione civile e usandola come scudi umani, causando un numero sproporzionatamente alto di vittime palestinesi, numero provocato – intenzionalmente – da Hamas. In quest’ottica, ha proseguito l’ambasciatore israeliano, il comunicato dei Patriarchi non può che essere considerato “iniquo, fazioso e univoco”.
Per quanto riguarda la “morte e la distruzione a Gaza”, i Patriarchi sembrano aver dimenticato che “Gaza è la base da cui l’attacco genocida contro Israele è stato concepito, pianificato ed eseguito”. Chi è allora responsabile della “morte e della distruzione”? L’Ambasciatore si è chiesto perché i Patriarchi siano così preoccupati per il “benessere di questo nido di male e terrore”, ma non per le comunità israeliane devastate.
In effetti, secondo gli ultimi sondaggi, la maggioranza dell’opinione pubblica palestinese sostiene la “lotta armata” (il terrorismo) di Hamas contro Israele e la formazione di gruppi armati per assassinare gli israeliani, una triste realtà che mette in dubbio l’innocenza dei “palestinesi comuni” di Gaza.
Per quanto riguarda la situazione umanitaria, l’Ambasciatore ha risposto asserendo che “i livelli di cibo e acqua sono monitorati quotidianamente e sono oltre la soglia che definisce la ‘crisi umanitaria’. C’è ancora una quantità sufficiente di carburante ed elettricità nelle mani di Hamas, che però preferisce utilizzarla per continuare le proprie attività criminali terroristiche contro Israele anziché aiutare i bisogni della popolazione che domina”.
A quanto pare, a Gaza c’è ancora acqua, cibo, carburante e medicine in abbondanza.
Infine, l’ambasciatore israeliano ha osservato che i Patriarchi hanno menzionato soltanto una parte: Israele che fa richieste irragionevoli alla “parte che è stata brutalmente attaccata”. Hamas non viene menzionata e si ha l’impressione che i palestinesi non abbiano fatto nulla di male. E ha concluso dicendo: “Che vergogna, soprattutto quando questo viene da persone di Dio”.
Gli sforzi di Schutz, purtroppo, sono rimasti inascoltati. Il 24 ottobre il Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha diffuso una “Lettera all’intera diocesi”. A suo merito, Pizzaballa ha brevemente affermato (pur senza nominare i responsabili) che “quanto accaduto il 7 ottobre nel sud di Israele non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per un’atrocità del genere”.
Eppure, Pizzaballa si è spinto ben oltre nel condannare la perdita di vite umane e le sofferenze che “questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza”, aggiungendo che “i continui pesanti bombardamenti [che martellano]” Gaza “causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore”. Per il Patriarca, è “solo ponendo fine a decenni di occupazione e alle sue tragiche conseguenze, nonché dando una prospettiva nazionale chiara e sicura al popolo palestinese che potrà iniziare un serio processo di pace”.
Pertanto, questo è quanto: per il Patriarca, la radice del conflitto non è il massacro indiscriminato di centinaia di famiglie da parte di Hamas, tra cui donne, bambini e anziani, ma “l’occupazione”.
Lasciando da parte la palese iniquità di queste affermazioni, non si può fare a meno di chiedersi: quale soluzione hanno esattamente in mente i Patriarchi e i capi delle Chiese? Le loro dichiarazioni sollevano diversi interrogativi.
Innanzitutto, se il problema è “l’occupazione”, c’è da chiedersi: Chi ha occupato Gaza negli ultimi 18 anni?
Nel 2005, Israele evacuò unilateralmente tutti i coloni ebrei dalla Striscia di Gaza, cedendola, interamente e senza riserve, ai palestinesi nella speranza che autogovernandosi essi potessero finalmente cercare di convivere pacificamente con i loro vicini. Diversi milionari americani acquistarono addirittura 3mila serre per la cifra di 14 milioni di dollari, da donare agli abitanti di Gaza per farli partire avvantaggiati nella costruzione di una “Singapore sul Mediterraneo”. Nel giro di pochi giorni, le serre vennero saccheggiate e distrutte.
I palestinesi, purtroppo per loro e per tutti gli altri, poi favorirono l’ascesa al potere di Hamas, nelle elezioni legislative del 2006. A seguito di una sanguinosa guerra civile con la fazione rivale palestinese Fatah, Hamas, nel giugno 2007, assunse il pieno controllo della Striscia di Gaza. Da allora, i civili israeliani nel sud di Israele, come pure i palestinesi gazawi, vivono nel terrore. Un recente video mostra una donna di Gaza che dice: “Quei bastardi di Hamas”, prima che un uomo le chiuda rapidamente la bocca con la mano. Nel frattempo, Israele, grande all’incirca quanto il New Jersey (22mila kmq), è stato preso di mira anno dopo anno da decine di migliaia di attacchi missilistici mortali lanciati dalla Striscia di Gaza. Se c’è un problema di “occupazione” a Gaza, l’occupante è Hamas, non Israele.
In secondo luogo, cosa dovrebbe fare Israele? Dovrebbe dimenticare gli oltre 1.200 morti, gli oltre 4.800 feriti, e gli oltre 240 rapiti, e accettare un immediato cessate il fuoco, tornando alla normalità, ossia prepararsi ai prossimi attacchi di Hamas? Dovrebbe sedersi al tavolo delle trattative e parlare con un nemico jihadista votato al suo annientamento? Oppure dovrebbe aprire il confine di Gaza, dare ai palestinesi la libertà di entrare in Israele e lasciarli andare e venire a loro piacimento in modo che possano portare a termine i loro piani dichiarati per reiterare gli attacchi del 7 ottobre?
In terzo luogo, perché i Patriarchi e i Capi delle Chiese si fissano sulla “occupazione” ignorando costantemente il raccapricciante incitamento alla violenza che permea la società palestinese, in cui ai bambini viene insegnato fin dalla più tenera età a odiare e uccidere gli ebrei, e i terroristi che lo fanno vengono glorificati e lodati come “martiri”?
I Patriarchi e i capi delle Chiese potrebbero rispondere che non possono condannare apertamente Hamas e altri gruppi jihadisti palestinesi perché una tale condanna metterebbe in pericolo i cristiani palestinesi che vivono tra loro. Sì, d’accordo, ma questo non può essere una scusa per falsificare la narrazione del conflitto attraverso una discutibile equivalenza morale, o peggio, incolpando Israele di essere il principale colpevole. Le dichiarazioni di questi leader hanno un peso. Influenzano gli altri.
I Patriarchi e i capi delle Chiese non sono riusciti a esercitare una leadership morale e a fornire chiarezza morale nella loro risposta al terrorismo di Hamas. non solo ora, ma anno dopo anno, mentre i razzi hanno incessantemente preso di mira i civili israeliani. Anche se oggi può sembrare più opportuno abbracciare la neutralità, questi leader diffondono false narrazioni e inducono gli altri a crederci.
Mentre i leader della Chiesa in Israele e in altri Paesi devono ponderare attentamente le loro dichiarazioni a causa della situazione precaria dei cristiani palestinesi, quelli di altri Paesi non hanno scuse del genere. In definitiva, adottare una posizione di equivalenza morale nei confronti del conflitto tra Israele e Hamas non è solo dettato da una pigrizia intellettuale, è anche immorale. Sebbene le perdite tra i civili palestinesi siano tragiche, sono l’inevitabile conseguenza della loro scelta di eleggere e mantenere al potere un gruppo terroristico genocida che ha promesso di condurre una guerra perpetua con Israele.
Tutti noi faremmo bene a ricordare le parole del sopravvissuto alla Shoah Elie Wiesel: “Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità aiuta l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio incoraggia il carnefice, mai il torturato”.
In questa guerra, i cristiani, e tutti noi, abbiamo la responsabilità morale di sostenere la lotta di una nazione civile contro la barbarie. Israele deve eradicare un gruppo terroristico, Hamas, proprio come abbiamo affrontato l’Isis. Pertanto, tutti noi dobbiamo contenere la vera mente dietro questi gruppi, il regime genocida dell’Iran. Purtroppo, non esiste altra soluzione praticabile se vogliamo preservare l’Occidente.
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
(**) È risaputo che l’Idf avvisa i civili palestinesi tramite volantini, messaggi di testo e persino telefonate di evacuare le aree vicine agli obiettivi militari prima che vengano attaccati. Mentre l’Idf fa di tutto per ridurre al minimo il numero delle vittime civili, Hamas e altri gruppi terroristici palestinesi fanno tutto il possibile per massimizzarlo, non solo uccidendo indiscriminatamente gli israeliani, ma anche nascondendosi tra la propria popolazione civile e usandola come scudi umani. Nella foto: un uomo palestinese mostra un volantino lanciato dall’esercito israeliano su Gaza City, il 5 novembre 2023 (foto di Bashar Taleb/Afp via Getty Images)
di André Villeneuve (*)