lunedì 27 novembre 2023
Altro che “multilateralismo” e “multipolarismo”! Come fa rilevare Timothy Garton Ash, occorre piuttosto parlare, nell’attuale panorama geopolitico, di “multiallineamento” (efficace espressione coniata dal premier indiano, fintamente democratico, Narendra Modi), secondo cui i piccoli come i grandi attori globali giocano le proprie alleanze “à la carte”. Nel senso che queste ultime sono generalmente disinvolte e sostanzialmente scevre da un “pregiudizio ideologico” (quest’ultimo del tipo: “democrazia versus autocrazia”; rispetto dello Stato di diritto e del diritto umanitario internazionale; dovere di accoglienza dei migranti, e così via), ma intrise di senso pratico. Per cui si possono tranquillamente incrociare convergenze di interessi con Paesi che stanno sui fronti opposti tra Nord e Sud globali. Esempio pratico: India e Cina fanno parte dei Brics ma sono acerrimi avversari sulle questioni frontaliere, e competono ferocemente per le risorse allo sviluppo. Oppure, Delhi, a seconda della sua convenienza, acquista armi e petrolio a prezzi stracciati dall’embargatissima Russia, perché non si è allineata con il Global Nord nelle sanzioni contro Mosca sull’Ucraina. Ma, sul versante opposto, Modi conclude lauti affari con l’industria degli armamenti americana, sottoscrivendo l’accordo per l’apertura di nuovi impianti industriali nella fabbricazione di sistemi d’arma avanzati, su licenza americana. La Cina (e la Russia strettamente a ruota di Pechino) si alleano con l’Iran e con i raïs arabi che finanziano nel mondo il fondamentalismo islamico, contro cui hanno ferocemente combattuto e spietatamente vinto sia Vladimir Putin (vedi i ribelli musulmani in Cecenia) che Xi Jinping. Quest’ultimo, in particolare, ha costruito sterminati campi d’internamento per confinarvi milioni di Uiguri, perennemente video sorvegliati e monitorati nei loro spostamenti.
Non parliamo poi del turco Recep Tayyip Erdoğan, che rivuole il suo impero ottomano (pestando i piedi a Mosca!), e tende a favorire in ogni dove l’estremismo dei Fratelli musulmani cui appartiene. Si veda il suo sostegno ad Hamas e ai ribelli siriani anti-Assad: i primi sunniti e il secondo alawita-sciita. Anche per il leader turco, più che per ogni altro, valgono le alleanze à la carte. Erdoğan sta con i piedi ben saldi nella Nato (ricattandone disinvoltamente i suoi membri, pur di raggiungere i propri scopi politici ipernazionalistici interni); si schiera con la Russia boicottando le sanzioni occidentali, poi però invia droni ai due contendenti, russi e ucraini, perché quella guerra non finisca mai, indebolendo proprio quel Putin con cui pratica l’odio-amore. Ankara, per dire, ha appoggiato la politica della pulizia etnica in Nagorno-Karabakh praticata dai suoi alleati atzeri contro gli armeni che, invece, dovevano essere protetti dalla cristianissima Russia, che si è ben guardata dall’intervenire. La politica turca in Libia, poi, gioca sulle divisioni fratricide e tribali delle varie famiglie politiche libiche, impedendo qualsiasi soluzione super partes per la pacificazione dell’area e il contenimento dei flussi immigratori illegali verso l’Europa. Non parliamo poi dell’Iran e del suo “Asse della Resistenza”! Visto e considerato un quadro così frammentato del decostruendo “Ordine mondiale” che fa riferimento alla Pax americana post-1945, alla cui origine si colloca l’impotenza e il fallimento conclamato dell’Onu, ci si domanda se, per caso, non ci sia in campo un terzo soggetto, il populismo, per l’appunto, oltre ad autocrazia e democrazia.
Infatti, i vari, possibili populismi (si veda Donald Trump nella democratica America, Viktor Orbán nell’Unione campione di democrazia, Geert Wilders in Olanda, e così via) non solo non si assomigliano ma nemmeno si pigliano, nel senso che non hanno problemi a scontrarsi ferocemente tra di loro per il perseguimento di fini prettamente nazionalistici. Vedi nella Ue la battaglia tra gli sparagnini olandesi e gli scialacquatori italiani. E qui l’errore più clamoroso da parte delle sinistre, tutte discendenti nel gradimento popolare, è quello di voler ideologicamente creare gemellaggi diretti tra fascismo (estrema destra, in particolare) e populismo. Niente di più falso di così, anche se sull’argomento delle migrazioni incontrollate, o dell’ostracismo verso l’islam in generale, esistono degli apparentamenti molto stretti tra le varie versioni e dimensioni nazionali del populismo. Chiaramente, proprio l’anno prossimo, il fatidico 2024, in cui miliardi di persone decideranno chi sarà il loro prossimo presidente o come saranno composti i futuri Parlamenti (quello europeo, in particolare), sarà la discriminante tra i due grandi blocchi, autoritarismo versus il liberalismo democratico, cui si giustappone e si ibrida l’ircocervo del populismo. Se non proviamo a contrastare la Cina che conquista pezzi interi di continenti, come quello africano, con i capitali (usurai!) cinesi delle sue Vie della Seta, mettendone dieci volte di più per costruire infrastrutture in Africa, Asia e America Latina, in modo da creare molte centinaia di milioni nuovi posti di lavoro là dove batte il cuore rovente dell’immigrazione illegale, allora nessun populismo ci salverà!
di Maurizio Guaitoli