lunedì 27 novembre 2023
La questione dell’integrazione interculturale o della “dis-integrazione interculturale” (come titolai un mio articolo su questa testata il 3 luglio 2023), percorre parallelamente due strade: la prima è populista, spesso corroborata o dalla ipocrisia o dalla non conoscenza della condizione sociale; la seconda è la reazione della massa al “populismo politico” che si celebra nella “segretezza” della cabina elettorale. Vi è anche una terza rotta che è quella basata sull’analisi dei fatti, quindi razionale, che spesso viene accusata di estremismo o razzismo.
Alla luce dei fatti è innegabile che con il crescere dell’obbligo di convivenza con “culture” scientificamente difficilmente integrabili, emergono nella collettività rigetti sociali, non causati da preconcetti o tendenze ideologiche, ma dalla realtà di una problematica coabitazione coatta. Inoltre una Nazione la cui Costituzione si poggia sul “Lavoro”, con tutte le riserve del caso, fa fatica a sostenere tesi illogiche di assistenzialismo perpetuo basato sul sacrificio degli autoctoni, non solo dal punto di vista economico, ma anche dalla semplice osservazione di come conducono l’esistenza la maggior parte degli immigrati. Ma sappiamo che la “Logica” generalmente non appartiene all’atteggiamento umano.
Così molta “comunicazione di massa” esprime un inspiegabile o falso stupore quando una nazione come l’Olanda, prodiga ad una accoglienza “materna”, si sveglia una mattina con il constatare che quello che viene definito un partito di estrema destra – concetto che oggi ha perso ogni valore di collocazione ideologica – vince le elezioni con un programma anti-migranti, anti-Islam e anti-Unione europea. Infatti mercoledì scorso il partito definito con miopia relativistica, di estrema destra, il Partito per la Libertà (Pvv), guidato dal sessantenne Geert Wilders, guadagna 37 seggi su 150, ipotecando la guida del Paese.
Non considerando, per ora, gli equilibri che occorreranno a Wilders per strutturare una maggioranza solida e duratura, indugerò sul perché un programma anti-Islam, e con la vocazione di far uscire l’Olanda dall’Ue (Nexit – Netherlands exit), abbia avuto un tale successo in una nazione, non differente dalle altre nordeuropee, dove il sistema sociale ha dato, e ancora sta dando, un enorme aiuto agli immigrati, compresi gli opinabili ricongiungimenti familiari.
Così la quinta economia dell’Ue scuote Bruxelles; il Pvv ha promesso un referendum sull’adesione dell’Olanda all’Unione europea. Wilders ha posto la problematica dell’immigrazione al centro della sua campagna elettorale, ipotizzando anche la chiusura delle frontiere e la “deportazione” degli immigrati clandestini, garantendo ai connazionali che “la popolazione riavrà il proprio Paese e assicurando che lo tsunami di richiedenti asilo e immigrazione sarà ridotto”.
Wilders ha costruito una carriera partendo dalla proclamazione che la sua missione è quella di fermare “l’invasione islamica” dell’Occidente. Ha additato i marocchini come una “feccia” – affermazione per la quale è stato dichiarato colpevole di discriminazione nel 2016 – e ha tentato di istituire “concorsi con vignette su Maometto”, nel 2018.
Durante la campagna elettorale il suo manifesto ha toccato le sensibilità degli olandesi quando ha dichiarato che “i richiedenti asilo banchettano con deliziosi buffet gratuiti sulle navi da crociera, mentre le famiglie olandesi devono ridurre i generi alimentari”; un tema molto sentito anche in Italia. Con una retorica penetrante, Wilders ha sottolineato nel suo programma la proposta di bandire il “velo” dagli uffici pubblici, di vietare le scuole islamiche, di chiudere le moschee e anche la messa al bando del Corano, perché paragonato al Mein Kampf di Adolf Hitler, dicendo che entrambi i libri dovrebbero essere censurati. Tuttavia durante la campagna elettorale, in alcune occasioni, Wilders ha abbassato i toni affermando che poteva anche addolcire alcune sue affermazioni più estreme sull’Islam, collocandole “nel congelatore”, quindi non rinnegandole, dichiarando che sarebbe comunque stato il “Primo ministro di tutti”, indipendentemente dalla religione, dalla cultura e dall’articolazione sessuale. Ha poi spostato la sua attenzione programmatica sulla crisi sociale causata dal costo della vita.
In politica estera, i parallelismi con Donald Trump sono evidenti: “Prima i Paesi Bassi”. Wilders ha anche subito incassato il plauso del primo ministro nazionalista ungherese Viktor Orbán, che ha salutato questi “venti di cambiamento”.
Wilders è stato paragonato a Trump sia per la sua acconciatura che ricorda l’ex presidente degli Stati Uniti, sia per le sue invettive contro immigrati e musulmani. Ma anche Javier Milei eletto due domeniche fa presidente dell’Argentina, armato di motosega, è stato paragonato a Trump, anche lui dotato di una capigliatura singolare e di espressioni politiche anarco-liberiste. Affinità ideologiche e di “immagine” che farebbero la gioia dell’antropologo, criminologo, filosofo Cesare Lombroso (1835-1909).
di Fabio Marco Fabbri