Il petrolio russo potrebbe finire nelle forniture “greche” al Pentagono

mercoledì 15 novembre 2023


Dopo che le nazioni occidentali hanno annunciato lo scorso anno sanzioni contro il petrolio russo in risposta all’invasione dell’Ucraina, una raffineria greca che serve l’esercito statunitense si è mossa rapidamente per adeguarsi. Nel giro di pochi mesi, ha detto agli investitori che aveva smesso di accettare il petrolio interdetto e aveva invece trovato altri fornitori. In effetti, il petrolio russo era stato rimosso dalla catena di approvvigionamento esclusivamente sulla carta. I prodotti petroliferi originari della Russia continuano a fluire verso la raffineria Motor Oil Hellas sul Mar Egeo in Grecia, ma attraverso una nuova strada che, passando per un impianto di stoccaggio del petrolio in Turchia, cela l’impronta russa, poiché la proprietà dei prodotti passa di mano più volte prima di giungere in Grecia. L’approvvigionamento di olio combustibile da parte della raffineria dal terminal marittimo di Dortyol in Turchia sembrava confermare che gli embarghi sul petrolio russo stavano funzionando come previsto, privando il presidente Vladimir Putin di entrate cruciali per finanziare la sua aggressione militare in Ucraina. Al contrario, il fatto che tali spedizioni contengano petrolio originario della Russia sottolinea la permeabilità delle sanzioni e la mancata applicazione tassativa delle stesse.

Negli ultimi due anni, Dortyol ha ricevuto 5,4 milioni di barili di olio combustibile, secondo i registri di spedizione e i dati commerciali di Refinitiv, una società di dati finanziari specializzata nei mercati delle materie prime. Da quando le sanzioni dell’Unione europea sono entrate in vigore a febbraio, le spedizioni russe a Dortyol hanno totalizzato 2,7 milioni di barili, ovvero più del 69 per cento dell’olio combustibile spedito via mare a Dortyol durante tale periodo. Quest’ultima, ha spedito complessivamente 7 milioni di barili di olio combustibile, di cui 4,2 milioni di barili sono andati alla Motor Oil Hellas. Tali spedizioni rappresentavano almeno il 56 per cento di tutto l’olio combustibile ricevuto via nave dalla raffineria greca.

Non è stato possibile determinare la quantità precisa di olio combustibile di origine russa nei prodotti acquistati dal Pentagono. Questi prodotti vengono raffinati utilizzando più componenti che non possono essere tutti monitorati durante la produzione. Inoltre, non è stato possibile determinare se, ad un certo punto del viaggio, l’olio combustibile proveniente dalla Russia abbia subito una rietichettatura, così da risultare proveniente da un altro Paese. I documenti che descrivono la provenienza di una spedizione di petrolio, noti come certificati di origine, non sono documenti pubblici. Il Pentagono ha firmato nuovi contratti per un valore di quasi 1 miliardo di dollari con la raffineria greca da quando il divieto statunitense è entrato in vigore nel marzo dello scorso anno, come mostrano i dati sui contratti federali. Da febbraio, secondo i registri delle spedizioni, più di 1 milione di barili di carburante per aerei della Motor Oil Hellas sono andati anche ad acquirenti governativi e aziendali in Italia, Francia, Spagna e Gran Bretagna.

La Defense Logistics Agency del Pentagono, che gestisce gli acquisti di carburante per le forze armate statunitensi, ha dichiarato, attraverso il suo portavoce, che l’agenzia “non è a conoscenza” di carburante dalla Russia inviato al suo fornitore greco. L’agenzia ha affermato che i suoi appaltatori, tra cui Motor Oil Hellas, “sono responsabili di garantire il rispetto delle leggi e dei regolamenti applicabili in materia di affari con la Russia e le società russe” e “devono certificare la loro conformità a tali leggi e regolamenti come parte del processo di acquisizione”. Tuttavia, in almeno cinque spedizioni quest’anno dalla Russia a Dortyol, l’olio combustibile era inizialmente di proprietà del colosso petrolifero russo Rosneft, come mostrano i registri commerciali. Dopo essere stato caricato su una nave cisterna nel Mar Nero, il carico è stato acquistato da un’azienda con sede negli Emirati Arabi Uniti. La proprietà dell’olio combustibile è stata successivamente trasferita a entità controllate dalla compagnia petrolifera statale turca e il prodotto è stato consegnato alla Dortyol.

Secondo le linee guida per l’embargo dell’Ue, gli acquirenti “dovrebbero esercitare un’adeguata due diligence nel valutare l’origine del petrolio e dovrebbero fare affidamento sulla documentazione a loro disposizione per determinare l’origine del petrolio, che può includere certificati di origine”. Le autorità di regolamentazione statunitensi e dell’Ue hanno ripetutamente avvertito le aziende che i certificati di origine potrebbero essere fraudolenti. Numerose autorità e aziende hanno il potere di redigerli e non esiste un sistema centralizzato per confermarne l’autenticità. Le sanzioni occidentali sono state progettate per infliggere un duro colpo economico alla Russia, dove le entrate derivanti dal petrolio e dal gas costituiscono quasi la metà del bilancio federale e contribuiscono a finanziare lo sforzo bellico.

Una volta alla Motor Oil Hellas, il gasolio sottovuoto viene mescolato con quantità molto maggiori di petrolio greggio proveniente da altri Paesi in un’unità appositamente progettata per produrre carburante per aerei con quei componenti. Altri prodotti petroliferi di origine russa che sono stati spediti a Dortyol in grandi quantità possono essere utilizzati per produrre diesel navale. Le navi del terminal turco hanno poi consegnato tali prodotti alla Motor Oil Hellas, che vende diesel navale alle forze armate statunitensi. In base alle sanzioni, Motor Oil Hellas e altri acquirenti occidentali non possono importare prodotti petroliferi russi. Possono, però, importare prodotti realizzati con petrolio russo, se tale petrolio è stato ampiamente raffinato e trasformato in un combustibile diverso dopo aver lasciato la Russia. In tali circostanze, il nuovo prodotto può essere etichettato come proveniente dal Paese in cui è avvenuta la raffinazione, dicono gli esperti.

A causa delle infrastrutture necessarie, i prodotti in questione non potevano essere ulteriormente raffinati durante il transito nel Mar Nero. Se l’economia russa si è dimostrata inaspettatamente resiliente, in gran parte è stato grazie alla diffusa evasione delle sanzioni. La Turchia non è certamente l’unica a contribuire a facilitare le robuste vendite di prodotti combustibili russi. Le raffinerie in India sono assetate di petrolio russo da quando gli Stati Uniti e l’Ue hanno deciso di imporre un tetto massimo di prezzo. Il tetto ha consentito all’India di ottenere un accordo redditizio sul greggio russo, che secondo i dati del settore rappresenta ora il 40 per cento del petrolio che fluisce in quel Paese, dove viene raffinato e spesso può essere poi esportato altrove.

Il Dipartimento del Tesoro, che amministra e applica le sanzioni economiche negli Stati Uniti, ha dichiarato: “Siamo concentrati sul coordinamento con i nostri alleati e partner per ridurre le entrate della Russia derivanti dalle vendite di petrolio e per limitare la capacità del Cremlino di finanziare la sua barbara guerra contro l’Ucraina, anche attraverso il nostro tetto massimo sulle esportazioni marittime di energia russa”. Oleksandr Novikov, capo dell’Agenzia nazionale ucraina per la prevenzione della corruzione, ha affermato: “Nessun Paese al mondo sarà sicuro se imponiamo sanzioni e non le applichiamo”. Aggiungendo: “Se la Russia, nonostante le restrizioni, fosse in grado di fornire petrolio al di sopra del prezzo massimo e di venderlo ai Paesi che hanno imposto sanzioni, la minaccia di tali sanzioni dissuaderà altri aggressori dall’iniziare una guerra? La risposta è ovvia: no”.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza


di Renato Caputo (*)