L’asse degli indecisi: né con Israele, né con Hamas

giovedì 26 ottobre 2023


Ma che cos’è la Storia se non un elenco senza fine di eventi luttuosi? E quando accadono i fatti storici, è piuttosto facile inquadrarne le conseguenze in prima approssimazione, mentre è molto più difficile andare oltre, individuando correttamente il secondo e terzo ordine di conseguenze, che si rivelano a consuntivo ben più gravi in genere delle prime. Tanto per capirci con un adeguato paragone storico: quando nel 1973 le forze egiziane e siriane lanciarono con l’appoggio dell’Urss la guerra dello “Yom Kippur” contro Israele, il secondo ordine di conseguenze di quella guerra comparve solo molto successivamente, e servirono a chiarire come il vero motivo per cui Anwar al-Sadat aveva voluto quel conflitto erano da ricercare nella sua esigenza di raggiungere una pace stabile con Israele basata sul muto rispetto, e non più sul disprezzo, come accadeva per gli altri Stati arabi. A cinquanta anni di distanza dallo Yom Kippur gli effetti di secondo e terzo ordine della crisi del 1973 vedono gli Stati Uniti oggi accerchiati da nemici giurati che vanno dalla Russia, alla Cina alla Corea del Nord, i cui arsenali nucleari potrebbero di qui a pochi anni assommare al doppio di quello degli Usa! Chi mai avrebbe potuto immaginare che una volta entrata nel 2001 la Cina nel Wto (World trade organization), ci saremmo ritrovati dopo soli venti anni in una nuova Guerra fredda, in cui Pechino e Mosca fanno parte assieme all’Iran del Blocco contrapposto al nostro?

E se l’Occidente non dovesse individuare soluzioni stabili per il nuovo conflitto in Medio Oriente, potremmo ben presto trovarci coinvolti in una nuova guerra mondiale. Perché è chiaro che l’Iran, sponsor dichiarato di Hamas e Hezbollah, con gli eccidi di ebrei del 7 ottobre ha ottenuto il risultato politico e geostrategico che si attendeva: sabotare per non pochi anni a venire il processo di pace arabo-israeliano, impedendo che gli Accordi di Abramo si estendessero anche all’Arabia Saudita, il maggiore degli attori arabi mediorientali. Così, Riad non ha potuto fare altro che allinearsi agli altri partner arabi, condannando la “punizione collettiva” che Israele ha messo in atto a Gaza, evocando l’eterno fantasma della “questione palestinese”. Né la postura di Washington che ha spedito nella regione ben due portaerei, come deterrente verso l’Iran, potrebbe avere successo maggiore di quello che il suo sostegno all’Ucraina ha avuto fino a oggi nel contrastare la Russia. Anche l’Iran sa giocare le guerre per proxy ed è pronta ad avvalersi del suo alleato yemenita per prendere di mira le basi militari statunitensi in Medio Oriente, qualora gli Usa dovessero intervenire a sostegno di Israele, nel caso di un coinvolgimento degli Hezbollah libanesi.

Né l’America può sperare in un allineamento dell’Europa nella sua strategia anti-Hamas, visto che la Ue non solo è il più grande donatore di aiuti alla screditata Autorità palestinese, ma ha al suo interno ben nove Paesi membri che ufficialmente riconoscono lo Stato di Palestina. L’impressione che sia ha, per ora, è dell’aumento delle adesioni per l’Asse degli indecisi, il cui slogan è “né con Israele né con Hamas” e la constatazione che gli Usa non sappiano bene che cosa fare. Anche perché l’Occidente ha varie Quinte colonne al suo interno: da una parte vi sono i populisti ciarlatani dell’estrema destra, e dall’altra la sinistra stalinista che vuole mettere la sordina ai crimini di guerra di Vladimir Putin, ai quali si affianca una terza formazione di utili idioti di sinistra, simpatizzanti degli islamisti che esaltano le gesta dei terroristi di Hamas e della Jihad islamica, trattandoli da combattenti per la libertà che lottano contro l’oppressore israeliano. Del resto, anche gli Usa, da parte loro, hanno qualche problema domestico, visto che una parte non indifferente della loro opinione pubblica è favorevole a una politica di appeasement, dato che per molti elettori americani conta molto di più la situazione economica interna rispetto alle “guerre che non finiscono mai”, come i conflitti inter-slavi e israelo-palestinesi. Le atrocità di Hamas non sono il frutto della disperazione ma di un antisemitismo fanatico da parte di un regime teocratico. Se i pogrom del 7 ottobre verranno commemorati per generazioni, quello che rimarrà nella retina collettiva del popolo di Israele sarà il ritorno dello spettro mai sopito dell’antiebraismo e delle persecuzioni antisemite, che hanno costellato la storia del XIX secolo nell’Europa centrale e in quella dell’Est, spianando la strada all’Olocausto hitleriano. Ma, a questo punto del conflitto Hamas, che ha strumentalmente voluto e cercato in ogni modo di rimettere al centro del mondo la questione palestinese, si è infilato in un vicolo cieco, non avendo alcuna strategia a lungo termine per il “dopo”. Dato che il sabato 7 ottobre ha condotto anche i palestinesi radicali sul ciglio dell’abisso, di cui oggi si può immaginare solo in prima approssimazione l’entità e i costi in vite umane dei cittadini di Gaza, rimasti già vittime a migliaia del crollo degli edifici bombardati.

Storicamente, Gaza e la Cisgiordania sono stati un bottino quasi-involontario di guerra per Israele (nel senso che, nel 1967, il risultato è andato molto oltre le aspettative dei suoi generali), dato che fin dall’inizio non si è capito bene perché volesse farsi carico di territori che erano composti in larga maggioranza da campi profughi. Tanto è vero che all’epoca l’Egitto non volle riprendersi Gaza a seguito degli accordi di pace, dato che l’irredentismo dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) gli avrebbe sicuramente causato non pochi problemi interni e sicuri attriti e scontri armati ai confini con lo Stato di Israele. Ma se anche Benjamin Netanyahu riuscisse alla fine a rimuovere Hamas dal potere con chi lo sostituirebbe, visto che nessun palestinese potrebbe mai accettare una leadership imposta dall’alto dall’invasore sionista? Anche l’occupazione temporanea di Gaza non risolverebbe il problema, dato che una volta che Tsahal si sia ritirato dalla striscia è praticamente certo che Hamas prenderà di nuovo il sopravvento. E, in una guerra di “annichilamento”, Hamas potrebbe chiedere aiuto ai “fratelli” Hezbollah libanesi, con il sostegno aperto di Teheran, incendiando così l’intero fronte mediorientale. Per ora, le chiavi della soluzione stanno ancora in Paradiso.


di Maurizio Guaitoli