L’asse antisemita tra Hamas e Sudafrica

giovedì 26 ottobre 2023


È noto che il Continente africano segua una rotta autonoma, tendenzialmente antagonista rispetto a quanto auspicherebbero gli ex colonizzatori e l’Occidente in generale. Il contatto telefonico, avvenuto il 17 ottobre, tra il terrorista palestinese Isma’il Haniyeh, capo dell’ufficio politico di Hamas, con Grace Naledi Mandisa Pandor, ministro delle Relazioni internazionali e della Cooperazione del Sudafrica, è un ulteriore conferma. Il Governo sudafricano è rimasto inizialmente spiazzato da questa rivelazione fatta da Haniyeh; infatti, Vincent Magwenya, portavoce del presidente Cyril Ramaphosa, dopo aver negato categoricamente il contatto, sotto la pressione mediatica messa in atto anche dall’emittente sudafricana News24, ha dovuto ammettere che tra Hamas e il Sudafrica la telefonata è avvenuta, ma su iniziativa del movimento politico-militare palestinese. Notizia che poi è stata confermata dalla ministra Mandisa Pandor. L’ammissione fatta dalla ministra ha comunque dato la possibilità alla diplomazia sudafricana di affrontare la “questione” Hamas, negando di supportare il gruppo jihadista sia ideologicamente che in pratica, soprattutto dopo il 7 ottobre.

Tuttavia, secondo il Sajbd, il Consiglio dei deputati ebraici del Sudafrica, che raccoglie la quasi totalità delle organizzazioni ebraiche del Paese, le ammissioni non bastano a occultare quel legame ideologico che accosta il Sudafrica alla causa palestinese. L’organizzazione ebraica ha anche sottolineato il rischio che la scelta della ministra di interloquire con i jihadisti di Hamas potrebbe condurre il Sudafrica verso “acque pericolose”. Il partito di Governo Anc, African national congress, ha tenuto a dichiarare che la telefona era incentrata esclusivamente sulla consegna di aiuti umanitari a Gaza e nei territori palestinesi. Di seguito, Fikile Mbalula, segretario dell’Anc, ha comunicato: “Se vogliamo inviare cose a Gaza, con chi dobbiamo parlare?”. Una domanda con risposta scontata, imbarazzante, quella posta da Mbalula, che palesa o la totale ignoranza circa il controllo esterno della Striscia di Gaza – dove Hamas non ha autorità – o la conferma della vicinanza politica ad Hamas. Ma la cosa certa è la poca ambiguità di questo rapporto. Mbalula, tramite X, distingue la lotta dei palestinesi contro l’occupazione dalle azioni di Hamas, dichiarando la vicinanza dell’Anc all’Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina.

Ricordo che nei primi giorni di guerra tra Hamas e Israele, né il partito al Governo in Sudafrica, né qualsiasi altra istituzione governativa hanno menzionato il gruppo terroristico come causa del conflitto, separando, quindi, Hamas da ogni responsabilità nel drammatico scontro in atto. Giustificando, inoltre, la crisi israelo-palestinese dovuta alla cronica oppressione del popolo palestinese (concetto ripreso due giorni fa improvvidamente dal segretario generale Onu, António Guterres) e alla disumanità del regime colonizzatore, portatore dell’apartheid israeliano. Tema profondamente sentito dai sudafricani eredi ideologici di Nelson Mandela, il quale nel 1990 credeva che i sudafricani e gli arabi palestinesi fossero compagni d’armi nella loro lotta contro l’apartheid. In pratica, anche dalle dichiarazioni del presidente Cyril Ramaphosa non trapela altro che la richiesta della liberazione della Palestina, astenendosi dal nominare Hamas. Il Governo di Pretoria come evita di menzionare Hamas come causa dell’attuale conflitto, così descrive lo scontro in Ucraina come un’invasione russa piuttosto che una guerra, per non incrinare il fruttuoso rapporto con il Cremlino, anche alla luce della continua fornitura di armi a Mosca. In questo modo, Pretoria si allontana sempre di più da Washington, in uno sbilanciamento che vede la maggior parte degli Stati africani protrarsi verso la Russia. Il Sudafrica è per tradizione uno dei più forti sostenitori dei palestinesi, insieme con i Paesi arabi e gli Stati africani membri dell’Organizzazione della Conferenza islamica. Inoltre, la condanna all’occupazione sionista è la posizione politica dominante seguita dalla quasi totalità dei Paesi del Maghreb, la Tunisia per prima.

Tuttavia, oggi la crisi in atto nel vicino Oriente va inquadrata nel disegno del semi Nuovo ordine mondiale, dove il programma del gruppo Brics – unione di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – prevede a gennaio del 2024 l’ingresso anche dell’Iran, notoriamente principale sostenitore di Hamas. L’attacco di Hamas a Israele, spesso motivato dalla volontà di sabotare la “normalizzazione dei rapporti” dello Stato ebraico con alcuni importanti Paesi arabi, si colloca quindi nella grande divisione dei due Ordini mondiali, quello occidentale e quello più articolato e in espansione, che è appunto il Brics, dove in questo caso l’ideologia filopalestinese e antisionista giocano il ruolo del pensiero aggregante. Ricordo che ad agosto il comoriano presidente dell’Ua-Unione africana, Azali Assoumani, si è fatto notare per le sue pesanti dichiarazioni antisemite pronunciate durante l’inaugurazione di una moschea ad Anjouan, nelle Comore. In quella occasione, aveva parlato di musulmani e cristiani che devono vivere insieme, maledicendo gli ebrei padroni del mondo, che si nascondono nell’ombra e si rivelano al momento opportuno.


di Fabio Marco Fabbri