martedì 17 ottobre 2023
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’intera Comunità internazionale dichiarò che “mai più” si sarebbe dovuta ripetere una simile tragedia e cercò il modo di mettere in pratica questo concetto. All’epoca, la maggior parte dei governanti convenne che la chiave per garantire una pace sostenibile fosse rendere la guerra non redditizia, approfondendo la cooperazione internazionale e l’interdipendenza economica tra i vari Stati. Ciò portò alla creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che sarebbe poi diventata l’Unione europea. Effettivamente, l’idea che fosse più redditizio commerciare anziché combattere ha contribuito a garantire un periodo di pace senza precedenti in gran parte del Continente europeo. Purtroppo, molti leader politici europei hanno tratto da ciò una conclusione sbagliata, dando per scontato che lo stesso principio si sarebbe potuto applicare anche alle relazioni con la Russia. La Germania, in particolare, ha sviluppato per alcuni decenni una robusta partnership – nel settore energetico – con la Russia, nell’errata convinzione che sarebbe bastato questo per moderare gli istinti più aggressivi di Mosca.
Occorre dire che la Germania non è stata l’unica a inseguire questo “miraggio”. Molti altri Paesi europei hanno incautamente ignorato la svolta verso l’autoritarismo della Russia sotto Vladimir Putin, abbagliati da forniture energetiche a basso costo e da altri benefici finanziari. Molte cancellerie europee hanno visto nell’approfondimento dei legami economici con Mosca una sorta di polizza assicurativa contro qualsiasi rinascita dell’imperialismo russo. Ora è del tutto evidente che si è trattato di un disastroso errore di calcolo. Mentre il mondo occidentale era impegnato a ripetere il mantra “mai più”, la Russia di Putin, fin dai primi anni del suo regime dispotico, ha attivamente rilanciato l’antagonismo nei confronti dell’Occidente all’interno della società russa. Come un tempo le truppe sovietiche avevano occupato mezza Europa, arrivando a Berlino, la Russia post-sovietica minaccia, al motto di “possiamo ripeterlo”, di sconfiggere l’Occidente attraverso una combinazione di strumenti economici, informativi, cibernetici e, se necessario, militari.
In questo clima conflittuale, la fiducia dell’Europa nella moderazione russa, in ragione delle relazioni commerciali strette con Mosca, è stata percepita dal Cremlino come un segnale di debolezza. La redditività dei crescenti legami economici con l’Europa è stata interpretata dalla Federazione Russa come un via libera per perseguire politiche di aggressione contro altri Stati senza dover temere alcuna conseguenza. I membri dell’establishment russo si sono convinti che, sebbene le loro controparti occidentali si spendessero in discorsi idealistici in difesa dei valori democratici, in realtà fossero guidate prevalentemente da interessi economici. Questo disprezzo russo per i cosiddetti valori occidentali è stato ulteriormente rafforzato dal rapido ritorno al business anche dopo l’invasione della Georgia nel 2008, in seguito all’annessione della Crimea nel 2014 e dopo l’invasione da parte della Russia dell’Ucraina orientale. La percezione russa della debolezza occidentale ha aperto direttamente la strada all’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Mosca si aspettava che l’Occidente avrebbe protestato a gran voce contro l’invasione, salvo poi accettare docilmente le nuove realtà geopolitiche e riprendere la cooperazione economica con la Russia. Sulla base dell’esperienza precedente, questa era un’aspettativa del tutto ragionevole. Il Cremlino è stato colto di sorpresa quando i leader occidentali hanno imposto sanzioni senza precedenti e quando le nazioni europee hanno iniziato a lavorare per ridurre drasticamente la loro dipendenza dalle importazioni energetiche russe.
La tragedia dell’invasione criminale della Russia avrebbe potuto essere evitata se solo l’Occidente avesse inviato a Mosca un messaggio inequivocabile già in passato. Purtroppo, il ritorno della Russia moderna all’imperialismo vecchio stile non è stato preso sufficientemente sul serio. Il fallimento della diplomazia commerciale è rilevante anche in relazione alla Cina. I legami economici tra Pechino e l’Occidente sono spesso considerati di reciproca interdipendenza, e questo induce alcuni analisti a sostenere che ciò renda improbabile qualsiasi grave deterioramento delle relazioni. Paradossalmente, persino nei rapporti tra Cina e Taiwan viene ipotizzato che le solide relazioni economiche tra i due Paesi possano essere sufficienti per stemperare le tensioni politiche in atto. Tuttavia, questa logica ha già manifestato i propri limiti. È oramai evidente come le politiche occidentali siano risultate fallimentari nei confronti della Russia. Occorre non ripetere lo stesso errore con Pechino. Almeno pubblicamente, la Cina ha dichiarato una posizione neutrale nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. In pratica, il Dragone sta raccogliendo i benefici di mantenere legami sempre più stretti con una Russia isolata, evitando allo stesso tempo qualsiasi pressione sanzionatoria da parte dell’Occidente. Sarebbe bene trarre insegnamento da quanto accaduto con la Russia e smettere di affidarsi ciecamente alla diplomazia commerciale con la Cina, assumendo per tempo le necessarie contromisure.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza
di Renato Caputo (*)