La strage di Dio: l’odio e i popoli del libro

martedì 17 ottobre 2023


Sono in molti a chiedersi “perché ora?”, a seguito dell’attacco al cuore e all’orgoglio dello Stato ebraico da parte di migliaia di miliziani di Hamas, infiltratisi in territorio israeliano nella giornata di sabato 7 ottobre, o del “Sabato nero”. Azione militare quest’ultima altamente coordinata, che ha fatto più di 1.200 vittime tra la popolazione israeliana, uccise con esecuzioni sommarie non prive di un’efferata crudeltà alla Isis, come quelle commesse su bambini, neonati e giovani indifesi. Il tutto documentato sui social, come se si trattasse di un safari qualunque, con i corpi sistemati sul piano dei cassoni dei pick-up ed esibiti in rodeo all’interno di Gaza, al pari dei trofei di caccia, per essere esposti al linciaggio post mortem. Non v’è dubbio che la preparazione dell’operazione ai confini della Striscia di Gaza abbia innalzato di molto l’asticella qualitativa e quantitativa dello scontro tra Hamas e Israele, per cui si è venuta a creare una questione di vita e di morte, che rende necessaria la resa dei conti finale con il gruppo terrorista. Solo che qui non si tratta di uno scontro in campo aperto tra eserciti regolari, ma di passare per la cancellazione fisica di un insediamento di molte centinaia di migliaia di persone prima di raggiungere l’obiettivo, con il corredo di enormi “perdite collaterali” e l’ostilità del mondo intero che non può tollerare l’ennesima strage di bambini e civili indifesi.

Tanto più che l’area di Gaza non solo presenta la densità urbana più elevata del mondo, ma ha demograficamente una popolazione in maggioranza giovanissima, il che rende estremamente probabile l’ennesimo (inutile) olocausto degli innocenti. Nel “Sabato nero”, infatti, gli estremisti hanno segnato un punto fondamentale a loro favore, rendendo insicure le difese ipertecnologiche israeliane contro le intrusioni di terroristi ai confini con la Striscia e, cosa di importanza politica fondamentale, rimettendo al centro dell’attenzione del mondo la questione palestinese. In nome della quale Hamas ha chiamato a difesa e a esprimere solidarietà alla sua lotta armata l’intera Umma, o comunità dei musulmani nel mondo. E lo ha fatto cogliendo vari fattori di debolezza e di vulnerabilità all’interno della società israeliana, in un momento in cui il Paese festeggiava la ricorrenza dello Yom Kippur e il Sukkoth, nell’illusione di una pace sospesa. Sull’altro versante, il cuore politico di Israele fibrillava nello scontro tra il Governo di ultradestra e l’opposizione popolare ai provvedimenti di riforma della giustizia. Per di più, la retorica nazionalista dei partiti di estrema destra della maggioranza che sostiene Benjamin Netanyahu aveva sguarnito il fronte di Gaza, per proteggere militarmente gli insediamenti di coloni in Cisgiordania dalla minaccia di una nuova intifada, fatto che spiega il forte ritardo dell’esercito nell’intervenire sui luoghi della strage.

Ma, a questo punto, è chiaro che Hamas sta giocando al tanto peggio tanto meglio (secondo il detto “muoia Sansone con tutti i filistei”, perché un conflitto regionale non può che comportare la sua auto-estinzione), pur di intrappolare l’esercito più forte del Medio Oriente in un orizzonte di odio e di rabbia, destinato a estendersi come un fuoco nel sottobosco prima alla Cisgiordania e poi al Libano. Da qui, il timore fondato del probabile intervento nel conflitto degli Hezbollah, molto meglio organizzati e armati di Hamas, vantando l’invidiabile precedente di aver fronteggiato con successo le truppe israeliane in occasione dell’invasione del Libano nel 2006. Con il “Sabato nero”, gli obiettivi da colpire nell’immaginario collettivo degli israeliani sono stati pienamente raggiunti. Il primo in assoluto è stato quello di frantumare ogni certezza fondata sulle frontiere blindate, penetrando con le azioni dei commando per una trentina di chilometri in territorio israeliano. Il secondo, parimenti fondamentale, intende provocare l’errore del nemico per eccesso di reazione e di odio, come accadde con l’invasione americana dell’Iraq nel 2003. Cosa che oggi, con piena soddisfazione di Hamas, sta succedendo di nuovo con le martellanti incursioni aeree e il bombardamento degli insediamenti civili a Gaza, con annessa pianificazione ed esecuzione di un’invasione terrestre altamente a rischio. Militarmente, lo scontro con la milizia islamica di Hamas rimane fortemente asimmetrico a favore di Tel Aviv, finché ha un senso la superiorità aerea e terrestre con l’impiego di forze corazzate, in grado di stravincere qualsiasi battaglia su di un fronte aperto.

Ma quel rapporto si inverte drasticamente e il vantaggio si annulla quando occorre mettere i boots on the ground e conquistare metro per metro, nascondiglio dopo nascondiglio le postazioni del nemico, procedendo all’interno di uno scenario di rovine. Ma che cosa accadrebbe se Israele, dopo aver raso al suolo parte di Gaza, dicesse che donne, bambini e anziani palestinesi che ne hanno bisogno possono essere curati nei suoi ospedali da campo, con l’aiuto della Mezzaluna rossa per il trasporto dei feriti? Questo per dire che nessuna pace sarà mai possibile finché il popolo di Gaza e di Cisgiordania non conoscerà la differenza tra vivere in un clima di odio e di miseria perenne e il suo esatto contrario. Come potrebbe accadere se ciascun palestinese pacifico potesse fare un’esperienza di vita in una nazione democratica che ha a cuore il bene dell’umanità e gode di un alto tasso di benessere, non avendo timore del voto popolare. Perché il concetto stesso di pace è “l’acquis individuale interiore e non una costruzione politica. Ciascuno di noi si deve rendere conto che la sua umanità è identica a quella del suo prossimo, chiunque esso sia. Il valore dei figli per un musulmano è identico a quello del suo vicino separato ebreo. Sia l’uno che l’altro sono tenuti (anche per volontà del loro rispettivo Dio) a rispettarne la vita e l’integrità fisica e psichica. Ma se solo uno dei due non può riconoscerlo, allora la guerra non finirà mai. E gli accordi politici non serviranno a nulla.


di Maurizio Guaitoli