Terremoto e metanfetamine scuotono l’Afghanistan

martedì 17 ottobre 2023


L’Afghanistan è oggi tornato sotto i “riflettori” a causa dei devastanti terremoti che dal 7 ottobre stanno colpendo la regione di Herat. Difatti, secondo Usgs (United States Geological Survey) e American Seismological Service scosse continue stanno colpendo ancora l’Afghanistan occidentale. Un’iniziale stima delle autorità afghane aveva stabilito che la scossa del 7 ottobre avrebbe causato la morte di oltre duemila persone. Ma il ministro afghano della Sanità, Qalandar Ebad, mercoledì ha corretto questa valutazione in circa mille morti, attribuendo la confusione sui dati sia all’isolamento di queste aree, sia al doppio conteggio eseguito dalle diverse organizzazioni coinvolte nei soccorsi. Quest’area geografica è spesso soggetta a terremoti, in particolare nella catena montuosa dell’Hindu Kush, vicino al punto di contatto tra le placche tettoniche eurasiatica e indiana. Nel giugno del 2022 un terremoto di magnitudo 5,9 causò più di mille morti e decine di migliaia di case furono rase al suolo nella provincia di Paktika. Dall’estate 2021, quando i Talebani hanno cacciato gli Stati Uniti e i suoi alleati dal Paese, l’Afghanistan soffre una grave crisi umanitaria a causa soprattutto dalla perdita degli aiuti internazionali avvenuta dopo il cambiamento governativo del Paese. Nonostante la forte diffidenza dei Talebani riguardo agli aiuti esteri, ora con il colpo inferto dai terremoti sono stati costretti ad accettare che i soccorsi internazionali intervenissero in questa catastrofe. Così, queste operazioni umanitarie hanno potuto portare cibo, acqua e coperte e raggiungere anche i villaggi più isolati. Mercoledì scorso le Nazioni Unite hanno confermato il bilancio dei morti (oltre mille) e di almeno cinquecento dispersi, la maggior parte dei quali sono donne. L’organizzazione pensa che la totalità delle abitazioni, edificate con il fango, sono crollate nel distretto rurale di Zendeh Jan, situato a circa 30 chilometri a nord-ovest della città di Herat.

Ma nel “paradosso afghano” non è solo il terremoto a stravolgere la vita della popolazione. Infatti, nell’Afghanistan talebano il commercio di eroina è stato sostituito dal “crystal meth”. Ma cosa è? E perché ha sostituito il traffico di eroina nel Paese? Intanto è l’abbreviazione di metanfetamina in cristalli. È una droga cristallina bianca che si assume per inalazione (sniffandola), fumandola o iniettandola, ma può essere presa anche per via orale e porta a una immediata dipendenza, dando una sensazione di felicità artificiale e a uno stato di benessere chiamato “rush”. L’altra risposta è che il regime talebano, vantandosi del suo successo nella lotta contro la coltivazione del papavero, utilizzato per la produzione di eroina di cui il Paese è il principale fabbricante mondiale, ha spinto verso l’utilizzo di una droga alternativa. Così l’Unodc, Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, ha dichiarato che dall’aprile 2022 – quando è iniziato il divieto di coltivazione dell’oppio per la produzione dell’eroina – il traffico di “polvere bianca” ha subito un rallentamento. Di questo si è fatto vanto il leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada. Ma Unodc ha rivelato che la volontà dei Talebani di non tollerare alcun tipo di droga nasconda il traffico di anfetamine, il quale ha raggiunto proporzioni enormi e superiori a quello dell’eroina. Risulta perciò che il commercio della metanfetamina sia aumentato in modo importante proprio dopo la frenata, non l’interruzione, del traffico di eroina. La messa al bando del papavero ha portato in questi ultimi anni a un aumento esponenziale della diffusione del commercio del crystal meth che potrebbe, secondo l’Unodc, ridisegnare i mercati delle droghe illecite a lungo dominati dagli oppiacei afghani. La metanfetamina, sintetizzata dall’efedrina, estratta dell’efedra, crea una considerevole dipendenza. L’efedra è una pianta che cresce in abbondanza in Afghanistan. Così lo sfruttamento di questa erba resta più redditizio e l’uso è più accessibile rispetto ad altre droghe. Ora l’Afghanistan è il più grosso produttore regionale di metanfetamine. Questo traffico di droga era già iniziato prima dell’avvento dei Talebani: con essi al potere il mercato delle metanfetamine si è sviluppato rapidamente, rimodellando tutti i mercati della droga, che prima erano concentrati solo sugli oppiacei provenienti dall’Afghanistan.

Il vicino Medio Oriente, l’Unione europea, il Sud-Est asiatico e l’Africa orientale sono i mercati dove i trafficanti di metanfetamina afghani hanno i migliori clienti. Ricordo che l’oppio è stato introdotto da Gengis Khan nella regione afgana nel XIII secolo. Inizialmente, la coltivazione e l’uso erano a scopo curativo. Il commercio nei Paesi confinanti si è sviluppato nel XIX secolo durante l’emirato dell’Afghanistan (o Kabulistan) retto da Abdur Rahman Khan, che costrinse le tribù Pashtun a spostarsi al confine con l’Iran. Oggi nell’Afghanistan talebano ci sono oltre due milioni e mezzo di consumatori di queste droghe. Di questi, un terzo sono donne e almeno centomila sono minori. Circa la metà sono tossicodipendenti cronici. A loro vanno ad aggiungersi la gran parte dei rifugiati che rientrano dal Pakistan e dall’Iran. Per molti tossici, quando lo Stato approccia un processo di disintossicazione anche se la realtà è estrarli da complesse convivenze con le comunità, la cura è il carcere dove, dopo una breve detenzione, il suicidio diventa una agognata meta. Durante il Ramadan, dove c’è la rinuncia nelle ore di luce al bere e al mangiare, e formalmente anche al resto, questi tossici diventano aggressivi in caso di forzata astinenza. Una realtà, questa, che vede una profonda emarginazione in una miscellanea di contrasti ideologico-religiosi, che evidenziano un regime articolato tra la rigida lettura della sharia e il business ipocritamente nascosto delle metanfetamine. L’altro giorno, su France 24, è stato intervistato Ahmad Massoud, figlio dell’eroe del Pansjhir, Ahmad Shah Massoud, detto il Leone del Panjshir, eliminato in un attentato il 9 settembre 2001 da Ansar al-Sharia, gruppo tunisino salafita legato ad Al Qaida. In quel contesto, Massoud ha auspicato un suo rientro nello scenario afghano. Un fattore auspicabile, magari per allontanare il Paese da quella complessa ed incoerente percezione socio-religiosa oggi confusa nel “paradosso talebano”.


di Fabio Marco Fabbri