lunedì 16 ottobre 2023
In Russia la cessione obbligatoria allo Stato della valuta estera rinveniente dai ricavi per esportazioni è diventata realtà. È stata introdotta con un decreto del presidente Vladimir Putin del quale, almeno per ora, non è stato possibile leggere il testo, perché non ancora pubblicato. Alcune importanti anticipazioni sugli aspetti salienti del decreto sono però state fornite dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Sul sito Internet del Governo russo, intanto, è stata diffusa una sintesi dei contenuti del provvedimento. La norma non riguarderà tutti gli esportatori o alcuni settori specifici, ma singole società o gruppi aziendali, per un totale di quarantatré soggetti economici. Tra questi figurano imprese della metallurgia e dell’industria chimica, esportatori di legname e grano. Inaspettatamente, in elenco figurano anche compagnie petrolifere e del gas. Questo ha sorpreso gli analisti, in quanto – in precedenza – ogni volta che era stata sollevata la questione della cessione obbligatoria della valuta estera, il Ministero delle Finanze russo si era sempre schierato contro una simile ipotesi, in quanto il comparto delle aziende del settore energetico contribuisce già in modo rilevante all’immissione di valuta estera nelle casse dello Stato. Da quanto è emerso, l’elenco sarebbe stato compilato tenendo conto dell'attuazione degli accordi informali sottoscritti a metà agosto.
A questo proposito, è opportuno sottolineare che, quando quest’anno il cambio valutario ha registrato il superamento della soglia dei cento rubli per un dollaro, il dibattito in seno al Governo ha assunto toni particolarmente accesi circa le misure che sarebbe stato necessario adottare per affrontare la situazione. L’Esecutivo russo, però, ha deciso di non introdurre misure obbligatorie per la cessione inderogabile allo Stato della valuta estera rinveniente dai ricavi per esportazioni, ma si è limitato a incentivare la sottoscrizione di accordi con gli esportatori, escludendo – peraltro – quelli del settore petrolifero. Ora, con il decreto adottato da Putin si è deciso di porre sulle spalle dei 43 soggetti individuati dal provvedimento la gravosa missione di difendere l’onore della valuta nazionale russa, garantendo che il dollaro non superi nuovamente il valore di cambio considerato accettabile dal Cremlino. Questa misura si aggiunge a quella adottata, a partire dal primo ottobre 2023, con cui il Governo ha introdotto i dazi flessibili sulle esportazioni legati al tasso di cambio del rublo, per proteggere il mercato interno. Il Governo russo aveva reso noto che i dazi dal 4 al 7 per cento sarebbero stati applicati alle esportazioni di un’ampia gamma di beni. Nelle intenzioni di Mosca, l’introduzione dei dazi variabili è finalizzata a riequilibrare le esportazioni ed il consumo interno, fino alla fine del 2024.
Per effetto dell’annuncio di questa misura, per tutto settembre il dollaro è rimasto entro dei limiti ragionevoli, ma già all’inizio di ottobre la valuta statunitense ha ripreso la sua corsa con un cambio che è tornato a tre cifre. Né l’aumento di emergenza del tasso di riferimento, da parte della Banca centrale, né la “spada di Damocle” costituita da tutti gli inasprimenti adottati dal Governo russo hanno aiutato a contenere questi valori. Andrej Kostin, presidente della Vtb Bank, ha proposto di limitare i trasferimenti di rubli all’estero per combattere la fuga di capitali. Putin ha resistito per una settimana, ma poi ha emesso il decreto. La procedura prescritta nel decreto è piuttosto farraginosa. Nei prossimi sei mesi (questo è il periodo per il quale la norma è stata attualmente introdotta) i soggetti ricompresi nel provvedimento dovranno prima presentare alla Banca di Russia e al Servizio federale di monitoraggio finanziario della Federazione Russa i propri piani e programmi per le cessioni di valuta estera. E solo successivamente potranno procedere. C’è però un’ulteriore disposizione, contenuta nel provvedimento, che non farà dormire sonni tranquilli ai proprietari delle aziende assoggettate alle misure introdotte con il decreto. Per monitorare il rispetto delle disposizioni, il Servizio federale di monitoraggio finanziario della Federazione Russa inserirà dei propri ispettori in pianta stabile presso le aziende. Questi funzionari avranno accesso a informazioni che, fino a poco tempo fa, erano considerate tutelate dal segreto commerciale. Il Governo ha già assicurato che entro una settimana verranno adottate tutte le norme applicative necessarie per rendere operativo questo sistema di controllo.
Non è difficile prevedere come tutto ciò andrà a condizionare l’operatività delle aziende russe orientate all’esportazione che, anche per aggirare le sanzioni internazionali, hanno adottato procedure operative non sempre in linea con la legislazione antiriciclaggio russa per continuare a immettere valuta pregiata nel proprio ciclo finanziario. Di fatto, con questo provvedimento, diventano ostaggio dei “commissari” dell’intelligence finanziaria. Questi emissari del Governo potranno, in ogni momento, contestare qualsiasi pagamento effettuato a intermediari di altri Paesi o richiedere l’accesso ai conti correnti e alle transazioni bancarie utilizzate per eludere le sanzioni. Inoltre, non tutte le banche, in cui – fino a oggi – venivano accantonati i ricavi in valuta estera, accetteranno di trasferire tali somme in Russia. Questo è esattamente ciò che la Banca di Russia aveva cercato di evitare quando si era categoricamente opposta a tale misura. Anche per questo, le vendite forzate sono state introdotte – al momento – solo per un numero limitato di soggetti economici. Si vuole, attraverso di essi, rendere mansueti anche quei soggetti che ancora risultano esclusi da queste misure.
Come prevedibile, il mercato dei cambi ha reagito subito alla notizia dell’annuncio dell’adozione del decreto. Il corso del dollaro, che mercoledì era ancora sopra i 100 rubli, giovedì – all’apertura delle contrattazioni – era sceso sotto quota 97. La prima reazione, però, potrebbe avere un effetto limitato nel tempo. La pressione sul tasso di cambio non scomparirà, anche perché non è causata dalle azioni degli esportatori, ma è frutto dei trucchi di bilancio che il Ministero delle Finanze ha messo in atto per tirare fuori dalla manica una montagna di trilioni per finanziare le spese militari. Dopare l’economia, facendo ricorso a “fantarubli” presenti solo a bilancio, consente di ottenere un “apparente” successo della ripresa economica, dimostrando un aumento degli indicatori statistici. Tuttavia, simili successi – del tutto effimeri – comportano un prezzo da pagare molto alto, ovvero un tasso di cambio fuori controllo. Tenuto conto, poi, che il progetto di bilancio per il 2024 prevede un ulteriore aumento delle spese militari, la pressione sul tasso di cambio non potrà che aumentare l’anno prossimo. La fine dell’anno non si preannuncia semplice per la valuta russa. Quando gli esportatori si renderanno conto di non essere in grado di “sostenere” il tasso di cambio del dollaro corretto politicamente, potrebbe iniziare un nuovo film, particolarmente spiacevole per il Cremlino. Il management delle aziende giungerà alla conclusione che è solo questione di tempo prima che i controlli valutari vengano estesi a tutti gli altri esportatori. A quel punto, approfittando delle settimane a loro disposizione prima che vengano adottate ulteriori misure restrittive, si precipiteranno a creare – su conti esteri – una riserva valutaria per sopravvivere nei sei mesi (o forse l’anno) a cui saranno assoggettati a controlli sui cambi. Questo spingerà il dollaro al rialzo, ma non di un paio di rubli sopra il valore attuale di 100, ma dieci volte tanto, verso quota 120.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza
di Renato Caputo (*)