Attacco a Israele: espellere Teheran dagli organi Onu

lunedì 9 ottobre 2023


L’attacco terroristico contro Israele ha delle origini, dei sostenitori, dei correi, dei corresponsabili criminali che sono ben precisi. È finita l’ora di ignorare il sostegno finanziario, economico, politico, militare, logistico e anche strategico ricevuto da Hamas. Tutto questo richiede una enorme capacità tecnologica, finanziaria e di addestramento. Si tratta di un attacco evidentemente pianificato da tempo, con la complicità di Stati terroristici, organizzazioni che forniscono supporto in termini di denaro, armi, assistenza logistica e formazione, tra cui, oltre ad Hamas, troviamo Jihad islamica, Hezbollah e Pasdaran iraniani. Quest’ultima compagine controlla l’industria militare, i trasporti, le forze speciali che operano in diversi teatri. Alla luce dei tragici eventi è tempo che tutti coloro che rassicurano Gerusalemme della loro amicizia e del loro sostegno facciano sul serio. Non è sufficiente denunciare e condannare gli autori dell’aggressione: è necessario sanzionare i responsabili che perseguono apertamente il preciso obiettivo di distruggere Israele. Prima di tutto, occorre inserire le Guardie Rivoluzionarie iraniane (Irgc) ed Hezbollah nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, per soffocare finanziariamente i due principali attori non statali responsabili delle violenze in Israele e in altre parti del Medio Oriente.

Inoltre, è fondamentale espellere l’Iran dagli organi onusiani sulla promozione dei diritti umani per impedire a Teheran di continuare nella sua opera di sabotaggio. L’Iran di Ali Khamenei sostiene apertamente l’assalto armato di Hamas contro il “nemico sionista” e i suoi alleati, in più invoca l’insurrezione di tutto l’“Asse della resistenza”. Sabato sera in piazza Palestina, a Teheran, fedeli della Repubblica islamica festeggiavano la mattanza in Israele con i fuochi d’artificio; in Libano i miliziani di Hezbollah, il gruppo paramilitare filoiraniano, sventolavano le bandiere gialle in segno di vittoria a Beirut e in alcune città del Sud; a Baghdad le milizie filoiraniane di Kat’aib Hezbollah sfilavano in corteo, inneggiando alla liberazione della Palestina. La seduta del Parlamento a Teheran si è aperta con i deputati ultraconservatori, ripresi dalla tivù di Stato, che gridavano “morte a Israele”. Sono immagini di propaganda che servono a diffondere l’idea di un consenso popolare esteso nel mondo musulmano agli estremisti che predicano la distruzione di Israele.

Benjamin Netanyahu lo ha detto chiaramente: “Siamo in guerra”. Dall’altra parte, il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, non ha in alcun modo condannato il gravissimo attacco terroristico e ha anzi ribadito il “diritto del popolo palestinese a difendersi”, rovesciando così, come sempre, tutte le responsabilità contro chi subisce da decenni l’ininterrotto terrorismo palestinese. Si è configurata una situazione spaventosamente pesante, perché Israele è un Paese europeo, nel senso che loro appartengono alla nostra cultura e viceversa. Chi condivide questi valori, non può non notare come questo attacco sia pericoloso. “Stiamo entrando in una guerra lunga e difficile”, ha ribadito Netanyahu in un discorso alla nazione. “Cittadini di Israele, questa non è un’operazione, ma una guerra. Siamo stati costretti alla guerra dall’attacco omicida di Hamas”. Inoltre, ha definito il 7 ottobre un “giorno oscuro”, sottolineando che tali eventi non erano mai accaduti nella storia di Israele, quando i militanti “hanno ucciso donne, anziani e bambini”. Nel sud del Paese è stata dichiarata la legge marziale e in tutto il territorio nazionale è stato dichiarato lo stato di emergenza. Il primo ministro israeliano ha annunciato domenica sera di aver ricevuto l’approvazione del Gabinetto di sicurezza per avviare una campagna militare volta a distruggere le capacità militari e governative del gruppo di Hamas.

La situazione che si è venuta a creare è nuova e pericolosa, e per comprenderla occorre aver ben presente il contesto attuale. L’Arabia Saudita si sta preparando a seguire l’esempio di quei Paesi arabi che hanno riconosciuto lo Stato di Israele. Un ministro israeliano ha recentemente reso visita a Mohammad bin Salman, e stando all’opinione di quest’ultimo i negoziati tra i due Paesi starebbero procedendo speditamente. In precedenza, Mohammad bin Salman aveva riallacciato i rapporti con l’Iran, suo storico nemico, con un gesto che aveva lo scopo di placare la diffidenza iraniana e permettergli di riavvicinarsi a Israele. Resosi conto della manovra, l’Iran – che già non riusciva a controllare il suo popolo in rivolta – ha ordinato ad Hamas, aiutato da Hezbollah, di lanciare dei razzi contro il territorio del “nemico sionista”. Su Israele sarebbero stati lanciati tra i duemilacinquecento e i cinquemila razzi. L’operazione era stata evidentemente pianificata: Isma’il Haniyeh, il leader di Hamas, aveva incontrato diverse volte in Libano Hassan Nasrallah. L’Iran utilizza l’Islam ed emargina i palestinesi di Ramallah che non sono d’accordo con il gruppo armato Hamas, che controlla Gaza. L’Iran, ufficialmente, non appare in questo conflitto. E tuttavia, senza i suoi finanziamenti, le sue armi e i suoi piani non avrebbe potuto ordinare l’attacco contro Israele. Per il momento, l’interesse dell’Iran è quello di sabotare gli eventuali accordi tra Arabia Saudita e Israele.

Questo attacco, dalle conseguenze enormi, è un messaggio rivolto a quei Paesi arabi e musulmani che stanno valutando una possibile normalizzazione dei rapporti con “il nemico”. Gli Stati che hanno riallacciato le relazioni con Israele (come il Marocco, il Sudan e gli Emirati) sono infatti considerati alla stregua di traditori. Il Marocco ha troncato da tempo i rapporti con l’Iran, dopo aver scoperto che questi addestra i soldati del movimento separatista Polisario, che lotta contro l’integrità territoriale del Marocco ed è finanziato e armato dall’Algeria, amica dell’Iran. Per Israele inizia un periodo di grave crisi. Un nuovo fronte che indebolisca gli americani e i loro alleati potrebbe far gioco alla Russia, impegnata nella guerra di aggressione contro l’Ucraina, ma Mosca deve gestire un delicato equilibrio di collaborazione con Israele. E una destabilizzazione della regione coinvolgerebbe anche la sua presenza militare in Siria. Un fatto è certo: la rete del terrore, che oramai punta a destabilizzare la pace e la sicurezza a livello planetario, ha assestato un nuovo colpo. Con la regia di uno dei maggiori alleati di Vladimir Putin: l’Iran.

(*) Docente universitario di Diritto Internazionale e Normative della Sicurezza


di Renato Caputo (*)