Iran: Nobel, “legge del velo” e Hamas

lunedì 9 ottobre 2023


Uno dei pilasti ideologici della Repubblica islamica dell’Iran è il rigido codice di abbigliamento imposto alle donne. Questo dogma si innesca sulla stessa linea di “valori nazionali” che riguardano le aspirazioni a essere una potenza nucleare e la distruzione di Israele. Quindi, l’aspetto ideologico-religioso legato all’hijab corre, come “valore politico”, sullo stesso tracciato del nucleare nel suo complesso e sulla battaglia indiretta contro lo Stato ebraico, mettendo la “questione donna velata” accanto a due “punti” di strategia e politica internazionale. Hijab: un principio della fede, spesso manipolato da tendenze politiche, come il dogma di un nucleare a scopo civile e come il voler fare scomparire uno Stato dotato di un ordigno nucleare. Così, in Iran vediamo muoversi in parallelo le problematiche legate alla volontà di costruire una bomba nucleare con quelle connesse a rendere socialmente e politicamente inoffensive le rivendicazioni femminili, come anche fornire i palestinesiHamas è un dettaglio – di ogni tipo di armi per colpire Israele. Ma forse per il Governo degli Ayatollah è più semplice gestire articolate operazioni sul “nucleare” e consegnare armamenti ai palestinesi e agli sciiti libanesi – gli Hezbollah – che controllare le fibrillazioni libertarie delle donne iraniane. Intanto, il 20 settembre il Parlamento iraniano ha suggellato un disegno di legge, fonte di un lungo dibattito, dove vengono irrigidite le sanzioni contro le donne che non indossano il velo che è obbligatorio nei luoghi pubblici. Il principio della normativa prevede, inoltre, anche sanzioni pecuniarie per quella che viene definita “l’ostentazione della nudità” e anche la “derisione dell’hijab”, argomenti non assenti sui social network e nei media iraniani. La dimostrazione dello scarso controllo sulla “questione hijab” si rappresenta anche con l’accanimento del Governo degli Ayatollah verso quei datori di lavoro che non obbligano le proprie dipendenti a indossarlo.

L’agenzia ufficiale Irna ha comunicato che la legge approvata dal Parlamento iraniano è stata denominata “hijab e castità” e in via sperimentale dovrebbe, il condizionale è obbligatorio, durare tre anni. Anche se sull’uccisione della ragazza curdo-iraniana Mahsa Amini da parte della “polizia morale” iraniana, e i successivi mesi di proteste, sono meno al centro delle attenzioni internazionali, e la “passione” nell’esternare la ribellione sia apparentemente affievolita, la realtà è che il numero delle donne che escono con i capelli al vento, soprattutto nelle grandi città iraniane, è crescente. Questo dimostra che l’ondata di protesta ha assunto un’altra fisionomia, meno rumorosa, ma che fa sentire l’eco in modo più penetrante all’interno del Governo.

Tale disegno di legge, che dovrà essere approvato dal Consiglio dei guardiani della Costituzione, è stato adottato alcuni giorni dopo il primo anniversario della morte di Mahsa Amini. E può essere sintetizzato estrapolando alcuni principi in esso contemplati: la persona – donna – che commette il reato di “non indossare il velo o indossare abiti inappropriati, magari supportati da media, gruppi o organizzazioni straniere o ostili alla Repubblica islamica, o in modo organizzato”, sarà condannata a un quarto della pena detentiva di primo grado, ovvero da cinque a dieci anni. Ricordo che la restrizione del disegno di legge va proprio in questo senso. Infatti, fino a oggi apparire in pubblico senza il velo islamico prevede una punibilità con la reclusione da dieci giorni a due mesi. In questo periodo gli iraniani sono frastornati da sentimenti contraddittori: attendismo, disperazione, orgoglio, ma anche frustrazione per una situazione tendenzialmente più oppressiva. Dopotutto, la ricorrenza della morte di Mahsa Amini e l’inizio della rivolta popolare iraniana hanno segnato per il popolo un punto di demarcazione, che ha scandito una vita prima di Mahsa e una dopo. Così, la coincidenza della promulgazione della legge sul velo sta a dimostrare quanto le autorità iraniane prendano in considerazione questa data. Da settimane il Governo si sta organizzando per prevenire ogni nuova ondata di proteste, incrementando gli arresti di attivisti politici e opprimendo le famiglie considerate dissenzienti con il regime.

Venerdì 6 ottobre a Oslo l’assegnazione del premio Nobel per la pace all’iraniana Narges Mohammadi ha provocato reazioni opposte. Il Governo di Teheran ha ovviamente criticato la decisione, ritenendola politica. Contestualmente, un coro di voci si è levato da ogni parte del globo, per chiedere la liberazione della cinquantunenne attivista e giornalista. Narges è detenuta da un anno nel carcere di Teheran. Il Nobel le è stato conferito per la lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti. Per contro, Nasser Kanaani – portavoce del Ministero degli Esteri iraniano – ha affermato che il Comitato per il Nobel ha assegnato il premio per la pace a una persona condannata per reiterate violazioni delle leggi e per aver commesso atti criminali, ritenendo faziosa e mafiosa l’assegnazione del riconoscimento. Intanto la Russia, legata in vari modi alla Repubblica islamica, non ha voluto commentare la notizia. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha rafforzato con un “no comment” la “questione” Nobel per la pace.

Narges Mohammadi è stata arrestata tredici volte e condannata cinque volte per un totale di trentuno anni di carcere, oltre a centocinquanta frustate. Narges e altre tre detenute presenti nel penitenziario di Evin, a Teheran, hanno recentemente bruciato i loro veli nel cortile per celebrare l’anniversario della morte di Mahsa Amini. Sebbene i “suoni” del movimento siano meno fragorosi, continuano comunque in forme diverse, ponendo alle autorità iraniane una delle più grandi sfide dalla rivoluzione del 1979. E la legge sull’hijab è un ulteriore atto di debolezza. Pertanto, la strage di israeliani, l’attacco, l’invasione dello Stato ebraico da parte dei palestinesi – in questo caso è difficile distinguere l’Anp, Autorità nazionale palestinese da Hamas – la contemporanea aggressione degli sciiti libanesi a Israele (gli Hezbollah, tutti notoriamente supportati dall’Iran), accentuano la pericolosa rotta presa da Teheran che, ormai, trova ragioni di esistenza solo nel terrorismo e nella oppressione.


di Fabio Marco Fabbri