Massacro di Bucha: come si diventa “Eroe della Russia” ai tempi di Putin e Shoigu

venerdì 6 ottobre 2023


Con decreto del presidente della Federazione Russa, il tenente Nursultan Mussagaleev è stato insignito sia del titolo di Eroe della Federazione Russa sia della Medaglia per meriti militari. La stella d’oro gli è stata consegnata personalmente dal ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu. I propagandisti di Mosca hanno voluto realizzare un reportage su questo “eroe” della Russia dei nostri giorni. Il servizio è stato trasmesso, in prima serata, sul canale televisivo Russia 1.

Ma quali sono state le “gesta eroiche” che hanno permesso al tenente Mussagaleeva di ottenere questo “prestigioso” riconoscimento? Quali azioni compiute in combattimento lo hanno trasformato in un modello da portare ad esempio in tutta la Federazione Russa, attraverso uno “speciale” del canale televisivo nazionale? Membro del 104° Reggimento d’assalto aviotrasportato della 76a Divisione d’assalto aviotrasportata della Federazione Russa, è stato tra i militari russi che hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022.

Per capire come siano andate in effetti le cose, può essere utile leggere le risultanze delle indagini condotte dal Servizio di sicurezza dell’Ucraina (Sbu) per conto della Procura regionale di Kyiv. Gli investigatori hanno accertato che il 24 febbraio 2022 Mussagaleev – come parte dei gruppi di occupazione della Russia – ha attraversato il confine settentrionale dell’Ucraina ed è arrivato nel distretto di Bucha per prepararsi all’offensiva su Kyiv. Durante la sua permanenza nel territorio della comunità, Mussagaleev ha partecipato alle cosiddette operazioni di rastrellamento volte a reprimere i movimenti di resistenza e intimidire i residenti della regione. Nel corso di una di queste azioni punitive, nel marzo del 2022, il comandante del plotone di ricognizione russo ordinò ai suoi subordinati di rapire un residente locale di 29 anni che era giunto al posto di blocco allestito dalle forze di occupazione tra i villaggi di Zabuchchya, Dmytrivka e Mykhaylivka, nel distretto di Bucha, nella regione di Kyiv. I militari russi fermarono l’uomo, accusandolo di aver aiutato l’esercito ucraino a costruire fortificazioni vicino a Kyiv. A supporto delle loro farneticanti accuse, alcune foto di materiali da costruzione che avevano trovato sul cellulare dell’uomo. Questo fu il “pretesto” per interrogarlo circa la sua appartenenza alle forze armate ucraine. A nulla valsero le parole dell’uomo, che cercò di rassicurare i militari russi sul fatto che lui non fosse collegato in alcun modo alle forze armate ucraine e non rappresentasse la benché minima minaccia per loro. L’uomo venne picchiato e ne venne simulata l’esecuzione, sparando alcuni colpi vicino alla sua testa. Dopo averlo torturato, i militari russi, su ordine del loro superiore, uccisero il civile e ne abbandonarono il corpo nella zona boschiva dove lo avevano trascinato. Nel rapporto della Procura, si legge: “La vittima è stata portata in una foresta vicino al villaggio di Dmytrivka, dove è stata brutalmente torturata per lungo tempo e poi, su ordine di Mussagaleev, è stata uccisa. Il corpo è stato abbandonato sulla scena del delitto”.

Gli investigatori hanno identificato anche i due subordinati di Mussagaleev che spararono alla vittima. Sono state diffuse le loro generalità. Si tratta del vicecomandante del plotone, il sergente maggiore Oleksiy Kolesnikov, e del comandante della seconda squadra dell’unità, il sergente Oleksandr Viselkov. Sempre gli investigatori, a supporto dei capi di accusa formulati, hanno anche raccolto la testimonianza di un prigioniero russo che faceva parte dell’unità di Mussagaleev all’inizio dell’invasione russa su vasta scala. L’uomo ha confermato sia la tortura sia la fucilazione del residente del distretto di Bucha.

Il procedimento aperto contro Mussagaleyev e i suoi due complici è stato avviato dalla Procura regionale di Kyiv ai sensi dell’articolo 28, parte 1 e dell’articolo 438 – parti 1, 2 – del codice penale ucraino (violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra commessa da un gruppo di persone).

“Poiché gli autori del reato si trovano in un territorio non controllato dall’Ucraina, si stanno adottando misure globali per assicurarli alla giustizia. Ciascuno dei criminali di guerra sarà trovato e punito indipendentemente dal tempo e dal luogo della sua permanenza”, ha riferito la Procura. Non resta che auspicare che presto possano essere assicurati alla giustizia.

Difficilmente potremo dimenticare l’orrore destato dai corpi mutilati di uomini, donne e bambini ucraini che vennero assassinati dai militari russi e che furono ritrovati in alcuni scantinati a Bucha. Corpi che mostravano segni di tortura, mutilazioni di orecchie ed estrazioni dentarie. I cadaveri di altri civili uccisi erano stati lasciati sulla strada, assassinati dai soldati russi prima della loro repentina ritirata, ed utilizzati come esche. Furono trasformati in trappole esplosive. I residenti e il sindaco della cittadina confermarono che alcune delle vittime stavano svolgendo normali attività quotidiane, come portare a spasso i cani o trasportare le borse della spesa, quando vennero uccise. I corpi erano integri, a riprova del fatto che erano stati bersaglio di colpi d’arma da fuoco e non di ordigni esplosivi.

Subito dopo la liberazione dell’area, i reporter delle maggiori testate giornalistiche internazionali testimoniarono al mondo l’orrore dei civili morti con le mani legate, vittime di indicibili torture. A Bucha venne scritta una delle pagine più tristi della guerra russa di aggressione su vasta scala contro l’Ucraina. In quei giorni pensavamo che l’umanità avesse davvero perso la bussola. Mai avremmo potuto immaginare che la Russia, dopo aver fisicamente oltraggiato quelle vittime innocenti, avrebbe potuto oltraggiarne anche la memoria, conferendo una onorificenza ai loro carnefici. Semmai ce ne fosse stato bisogno, questa grottesca cerimonia di “premiazione” dimostra che quegli omicidi e quelle torture non furono il frutto dell’azione scellerata di alcuni appartenenti alle forze armate di Mosca allo sbando, bensì la sistematica attuazione di ordini pervenuti direttamente dal vertice politico-militare russo.

Resta tuttavia difficile superare lo sgomento provato nell’apprendere cosa, nella Russia di Vladimir Putin, sia considerato oggi un atto di eroismo.

(*) Docente universitario di Diritto Internazionale e Normative sulla Sicurezza


di Renato Caputo (*)