Niger: l’usanza del golpe

lunedì 31 luglio 2023


Immaginare che un colpo di Stato in Africa sia una “notizia originale”, è rendere sensazionale una consuetudine. Il continente africano dopo la fine della Seconda decolonizzazione, intorno agli anni Settanta del secolo scorso, ha inanellato oltre duecentocinquanta golpe. Questo sistema di avvicendamento politico in molti casi ha sostituito il sistema elettorale che, inoltre, ha delle fragilità di resistenza politica notevoli. Nel caso di contesa politica basata sulle votazioni, sovente il candidato perdente rifiuta di accettare la sconfitta accampando brogli quasi sempre motivati, vedi il caso del Kenya di oggi, causando instabilità sociali gravi. Così anche il Niger, come altri stati del Sahel, non è estraneo al monotono rituale della dichiarazione di deposizione del presidente, fatta dal colonnello golpista di turno.

La scena, soprattutto nell’Africa centro-occidentale, è consuetudinaria: i programmi nazionali vengono interrotti, ed a reti semi unificate spuntano dalla tivù soldati in divisa mimetica per proclamare la destituzione del presidente in carica.

Mercoledì 26 luglio a Niamey, in Niger, si è ripetuto il rituale; interrotti i programmi, Télé Sahel mostra ufficiali con onorificenze applicate sulle divise, che circondano il colonnello golpista il quale legge, con voce rassicurante, che è stato deposto il presidente e che tutto è sotto controllo. Così il colonnello-maggiore Amadou Abdramane, circondato da nove soldati in uniforme, ha letto il comunicato alla Nazione: “Noi, le Forze di difesa e di sicurezza (Fds) unite all’interno del CnspConsiglio nazionale per la salvaguardia della patria abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete.

Il video registrato nel palazzo presidenziale è stato portato nella tv nazionale, occupata, per essere trasmesso sui canali televisivi. La realtà è che il presidente Mohamed Bazoum è stato rovesciato, e con la famiglia trasferito in regime di arresti domiciliari nella sua sontuosa abitazione privata. Ma ovviamente Bazoum non ha accettato di ufficializzare le sue dimissioni, supportato da importanti attori internazionali, tra cui Usa, Unione europea e Unione africana.

Questa crisi in Niger era prevista; da alcuni mesi il gruppo politico che sostiene il deposto presidente Bazoum e la Francia soprattutto, che ritiene il rapporto con il Niger imprescindibile, avevano sospetti che il trono del presidente nigerino fosse instabile. La fragilità del regime di Bezoum era a tutti nota; infatti il presidente non è mai riuscito a rendere amalgamato il suo rapporto con l’esercito nigerino, tanto che ha dovuto sottoscrivere un accordo di cooperazione militare con la Francia.

Così il colonnello golpista Abdramane ha immediatamente fatto presente a tutti gli interlocutori stranieri del deposto governo di non interferire nel processo in atto, garantendo che tutte le cariche decadute della VII Repubblica sono congelate, come i ministri, i segretari generali e tutte le istituzioni sono ora gestite dalle Fds. Inoltre la Costituzione è stata sospesa ed è stato attivato il coprifuoco.

Il 63enne Mohamed Bazoum è stato sequestrato, insieme alla famiglia, il 26 luglio alle 7 di mattina nell’abitazione all’interno del palazzo presidenziale, dai membri della Guardia presidenziale guidati dal potente e ambizioso generale Abdourahmane Tchiani. Questo gruppo di sicurezza è delegato alla protezione del presidente. L’azione ha indubbiamente un connotato antirepubblicano, rafforzato dalla presenza nel primo video di tutto il gotha militare nigerino; infatti, alle spalle di Amadou Abdramane in blu, sono presenti il generale dell’esercito Mohamed Toumba, il capo delle forze speciali Moussa Salaou Barmou e Ahmed Sidian vicecomandante della Guardia nazionale, già uomo di fiducia dell’ex premier Brigi Rafini. Nel video non compare strategicamente Abdourahmane Tchiani, il capo della Guardia presidenziale che ha arrestato Bazoum, ma il suo vice Ibroh Amadou Bacharou.

Dopo i primi tre giorni di incertezza su chi in realtà è il regista del colpo di stato, e dopo che le autorità francesi hanno incontrato delegati Ecowas, la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale, e i capi di Stato della regione, le nebbie si sono dissipate. Infatti il 28 luglio il generale Tchiani ha ufficialmente dichiarato di essere la nuova guida del Niger. In un video ha affermato che il deterioramento della situazione di sicurezza del Paese ha costretto i militari ha prendere il potere.

Il generale Tchiani, 62 anni, conosciuto anche come Omar Tiani, era al comando della Guardia presidenziale dal 2011. L’ex presidente Mahamadou Issoufou nel 2018 lo promosse al grado di generale. Tchiani era già noto per le sue velleità golpiste: nel 2015 tentò un putsch proprio ai danni di Issoufou, ma nel 2021 sventò un tentativo di colpo di Stato.

L’area del Sahel è sotto pressione jihadista e il governo nigerino si è sempre esposto come baluardo contro l’estremismo islamico.  Ora questo golpe si affianca a quelli recenti del Burkina Faso e del Mali. Stati importanti ed in prima linea nella complessa battaglia contro le frange dello Stato Islamico nel grande Sahara. Tuttavia scorgere destabilizzante un colpo di Stato in Africa è fuorviante la realtà; infatti tra regimi presidenziali dalla lunghezza pluri-decennale ed ereditari, elezioni falsate, il colpo di Stato, in molte realtà, resta pragmaticamente il sistema per decretare il potere di colui che in quel momento è il più forte e garantisce solidità governativa con compromessi non troppo diversi da altri regimi apparentemente più democratici. Ricordando che le organizzazioni internazionali, al di là di qualche blanda sanzione, sono solerti nell’allacciare rapporti con chiunque stia al potere.

Sabato le potenze mondiali hanno intimato ai golpisti di ripristinare l’ordine costituzionale entro 15 giorni, vedremo quanto denaro sarà necessario per risolvere la crisi.


di Fabio Marco Fabbri