Fine della Grandeur: la France-Banlieue

mercoledì 19 luglio 2023


Ex post è lecito e doveroso chiedersi, a proposito della rivolta delle banlieue di questa rovente estate 2023, quale sia il terreno di coltura della protesta dei giovani delle periferie francesi. Ci si chiede, in particolare, perché questi semi della sedizione risultino, di fatto, inestirpabili presso certe comunità urbanizzate non autoctone. Facile parlare di un problema socio-economico (i quartieri coinvolti sono di fatto i più poveri di tutta la Francia) nel designare le cause del disagio, malgrado tale aspetto non esaurisca un’analisi approfondita ed esaustiva del fenomeno che lo caratterizza. Una delle radici, alla base della rabbia e dell’odio dei “ribelli” nei confronti dello Stato francese, riguarda il contrasto al traffico e allo spaccio di stupefacenti che si svolge all’interno delle banlieue e che assicura guadagni facili ai suoi giovani abitanti. Un altro elemento fondamentale della questione lo ha individuato il politologo Jérôme Fourquet (specializzato in sondaggi di opinione) che, nella sua intervista al settimanale Le Point del 13 luglio, definisce con il termine “banlieusardisation” (qualcosa di simile a “balcanizzazione delle periferie”) ciò che sta avvenendo nei territori francesi più distanti dalle circoscrizioni metropolitane. Ed è qui, in questi contesti sempre più degradati, che si è inanellata una sorta di perverso loop mediatico e sociale, dando luogo a un circuito destabilizzante, sempre più antisociale e iperconflittuale, tra giovani e giovanissimi banlieusard (abitanti della banlieue) con origini subsahariane e magrebine, da un lato, e le forze di polizia dall’altro.

Queste ultime rappresentano il volto odiatissimo, repressivo e controllante dello Stato francese, dato che i giovani delle banlieue tendono a rifiutare come colonialiste e razziste tutte le sue istituzioni. L’esatto contrario, evidentemente, dell’assimilazione, vero mitico tabu intangibile di tutti i Governi della Quinta Repubblica, quando si parla di immigrazione. Il tutto, ovviamente, con un corredo di rivendicazioni e di denunce da parte dei banlieusard, che contestano le innumerovoli angherie e discriminazioni da loro subite, a causa dei capillari e asfissianti controlli di polizia, fin troppo mirati e assidui. Ispirati, a loro dire, da un pregiudizio fortemente razzista che contraddistingue chi opera in divisa nei controlli su strade e luoghi pubblici in generale. Il che, non si può dire se sia effettivamente vero o falso, dato che il politicamente corretto alla francese (e all’italiana, in base alle norme comunitarie) proibisce la formazione di statistiche che discriminino su base etnica, religiosa e sessuale. Con i social, questo mimetismo della violenza ha assunto una configurazione di massa, pronta a esplodere alla prima occasione giusta, come è accaduto con l’assassinio di Nahel Merzouk. Il ragazzo, in quella circostanza, guidava senza patente e aveva noleggiato una sgargiante Mercedes di colore giallo, come farebbe un qualsiasi suo coetaneo benestante, con sufficienti soldi in tasca, residente nei quartieri-bene delle metropoli francesi.

Però, questo quadro complessivo della rivolta del luglio 2023 non ha nulla a che vedere né con un clima pre-insurrezionale, né con una forma di guerra civile in fieri. Paradossalmente, è proprio la nuova veste del saccheggio di massa (perfetto sensore del processo di de-civilizzazione in corso!) a tranquillizzare in questo senso. I giovani coinvolti nei disordini si sono dimostrati degli autentici “consumisti-anticapitalisti”, del tutto-e-subito, del me-lo-prendo-se-ne-ho-voglia, che veicolano le frustrazioni e la violenza accumulata negli anni verso negozi di lusso e grandi magazzini, per fare una “spesa proletaria” ante-litteram, che prende però di mira i beni non essenziali e griffati. Stando alla cronaca, ormai da molti anni a questa parte i conflitti tra forze dell’ordine e i giovani delle banlieue sono quasi giornalieri e non fanno più notizia. Ai frequenti controlli di polizia, i banlieusard rispondono regolarmente con una sorta di guerriglia locale, corredata da insulti, sassaiole e agguati mordi-e-fuggi, sottraendosi poi all’arresto grazie all’omertà e all’assistenza offerta loro dai quartieri. In questo, come si vede, il caso francese assomiglia non poco alla realtà napoletana e di altre aree urbane degradate del Sud-Italia. Del resto, è proprio questo tipo di gioventù, in base a analisi sociologiche consentite, ad avere i maggiori problemi di integrazione, a causa dell’elevato abbandono scolastico (molti di loro vivono dei sussidi concessi dallo Stato alle famiglie svantaggiate di appartenenza), nonché in ragione dei tassi molto alti di disoccupazione rispetto alle corrispondenti medie nazionali e alle fasce d’età.

Da tempo, agli aspetti di cui sopra, si somma un forte istinto identitario, divenuto un vero fenomeno di massa, per cui nelle banlieue si vedono sempre più ragazze velate e giovani che indossano la caratteristica “gellaba”, una lunga tunica bianca che arriva sino ai piedi. Simboli questi ultimi che, riferendosi e ancorandosi esplicitamente alla cultura e alla tradizione dei loro Paesi di origine, costituiscono una sorta di volontà di secessione implicita, rispetto alle odiate istituzioni dello Stato laico francese. Tale aspetto si è andato sempre più acutizzando ed estremizzando con l’arrivo massivo di altri milioni di immigrati musulmani, costretti a scegliere la periferia e i relativi alloggi popolari, a causa degli scarsi skill posseduti e dei loro redditi bassi. E per questi nuovi arrivati non esistono che lavori poco qualificati e sottopagati. L’espulsione dalle zone centrali e sempre più verso l’esterno di popolazione non abbiente, impossibilitata a risiedere negli anelli meno periferici delle metropoli, in cui le abitazioni a buon mercato non esistono più per saturazione degli alloggi popolari esistenti, ha causato una degradazione contestuale, una “banlieueizzazione” delle conurbazioni una volta abitate da fasce sociali piccolo-borghesi.

Non è difficile, a questo punto, capire perché in quei luoghi urbani si sia venuto a creare un discrimine ormai invalicabile tra “Noi”, i diseredati delle periferie, e “Loro”, i “Bianchi”, i “Galli”, i “Francesi”. Questo tipo di violenze urbane costituiscono un “rumore di fondo permanente” secondo Fourquet, al quale la società francese ha finito per adeguarsi, senza tuttavia prendere coscienza della gravità del problema e dell’oltrepassamento continuo di soglie comportamentali, che in passato erano considerate “insuperabili”. Davvero l’Italia, in tal senso, si può considerare un Paese felice?


di Maurizio Guaitoli