La Cina ci studia: l’invisibile armata

lunedì 17 luglio 2023


L’Fbi statunitense non ha dubbi (da anni): la Cina è un enorme apparato di intelligenza artificiale e humint (intelligence umana), con al servizio un vasto esercito di agenti silenti, infiltrati e collocati in punti strategici dei Paesi-bersaglio, all’interno cioè delle loro istituzioni e università più prestigiose. Questo vasto complesso ben coordinato di apparati digitali e uomini non smette mai di spiare il resto del mondo 24 ore su 24. Soprattutto gli Stati Uniti sono nel mirino di questa invisibile armata, sempre instancabilmente al lavoro per violare i segreti commerciali delle grandi corporation multinazionali americane. Le tecniche cinesi del furto in grande stile delle conoscenze avanzate occidentali passano attraverso un sistema capillare di spionaggio accademico di studenti e ricercatori cinesi, ammessi a studiare e lavorare nelle maggiori università e istituti di ricerca americani.

Questi canali che debbono restare necessariamente aperti (da secoli gli Stati Uniti traggono enorme vantaggio dal bacino di materia grigia proveniente dall’estero, vedi bomba atomica) “bucano” facilmente le reti di protezione e i firewall digitali di imprese private e di istituzioni pubbliche di alto profilo. Secondo quanto pubblicamente dichiarato dal vicepresidente del Comitato per l’Intelligence del Senato Usa (simile alla nostra Commissione parlamentare di controllo sui Servizi Segreti), “i servizi di spionaggio cinesi minacciano letteralmente di rappresaglia le famiglie dei loro studenti all’estero, qualora quest’ultimi non rientrino in patria alla fine degli studi, portando con sé la proprietà intellettuale (brevetti e know-how avanzato) frutto della loro attività di spionaggio”.

A più riprese (ma senza grande successo, a quanto pare) le autorità di sicurezza e di giustizia americane hanno chiesto alle università Usa un maggiore controllo sui legami finanziari che intercorrono tra i loro collaboratori e la Cina. Questo perché i campus universitari, dove si svolge una buona parte della ricerca di base, sono molto più facili da infiltrare e spiare per carpire segreti industriali e dati sensibili, rispetto ai super blindati settori privati che operano nelle tecnologie avanzate. Le idee innovative, infatti, necessitano delle più ampie libertà di movimento e di collaborazione tra le varie discipline e realtà accademiche sparse nel mondo, con circolazione frequente di paper in preparazione, di mail di lavoro e giri di tavolo per scambi di pareri tra colleghi, ricercatori e scienziati che operano nei vari campi della scienza moderna. Per tutti costoro, accademici e addetti ai lavori, pensare soltanto vagamente a una limitazione d’accesso alle varie aree di ricerca costituisce un vero e proprio anatema, dato che la loro missione universale è quella dantesca di essere nati “per seguir virtute e canoscenza”.

E questa attitudine universale offre enormi vantaggi ad attori internazionali malintenzionati e spregiudicati come la Cina, che da decenni è impegnata senza sosta in una campagna sempre più sofisticata di spionaggio a danno degli interessi statunitensi. Le sue attività illecite vanno dal Cyber spying, al furto di proprietà intellettuale da parte di soggetti beneficiari di contratti di appalto nel settore delle difesa Usa, ai tentativi sofisticati di infiltrare laboratori di ricerca e università americani. Nel recente passato, Pechino ha fatto ampio ricorso alle attività di spionaggio dei suoi cittadini impiegati nell’Amministrazione Usa e nelle corporation multinazionali, per garantire al Partito comunista cinese uno straordinario bottino illegale di proprietà intellettuale di significativo valore scientifico e commerciale.

I costi finanziari ed economici dello spionaggio cinese a danno delle imprese Usa ammontano a centinaia di miliardi di dollari, e non è finita qui. In America si registra un crescente allarme, a partire dal 2016 a oggi, per le attività cinesi di spionaggio all’interno dei campus americani, dato che Pechino vuole a ogni costo acquisire il know-how più avanzato nel campo dei computer quantistici, dell’Ai e della robotica mandando a studiare in America e in Europa i suoi figli migliori, spesso segretamente arruolati nei ranghi degli spioni di Stato prima di partire per le loro destinazioni finali.

Di recente, anche la civilissima Inghilterra ha scoperto di essere, per i cinesi, una sorta di Usa d’Europa. Fa fede la denuncia in tal senso del Times dal titolo “China watching”, pubblicato nell’edizione del 14 luglio scorso, in cui si cita un recente e approfondito report reso pubblico dal Comitato britannico per l’Intelligence e la sicurezza. In base alle informazioni acquisite, la Cina avrebbe aggressivamente preso di mira, con risultati di tutto rispetto, quasi ogni settore dell’economia inglese, inclusi quello industriale, dell’energia, della Pubblica amministrazione e il sistema della formazione superiore e universitaria.

Risulta dal rapporto del Comitato che studenti ricercatori cinesi, alcuni direttamente collegati alle forze armate di Pechino, abbiano con frequenza quasi giornaliera supervisionato, copiato e trasmesso sotto banco al loro Paese informazioni ultrasensibili nei settori tecnologici di punta, spesso con la connivenza delle università di appartenenza. Di fatto, queste ultime hanno preferito chiudere un occhio, pur di continuare ad assicurarsi le cospicue rette derivanti dalle attività di tutoring degli studenti stranieri. I numeri, del resto, parlano chiaro. All’incirca 140mila studenti cinesi sono attualmente iscritti presso le università inglesi e alcune di queste fanno affidamento sulla loro presenza, per ricavarne un quarto delle proprie entrate. Delle università coinvolte nello spionaggio da parte di studenti cinesi, 42 vantano legami con diverse realtà della Repubblica Popolare che hanno a che fare con la repressione degli uiguri, lo spionaggio e la ricerca nucleare; mentre secondo il Governo inglese altre 21 di alto livello sono gemellate con istituzioni cinesi “ad alto rischio”.

Se non si riuscisse ad arrestare questa emorragia di furti di proprietà intellettuale (brevetti, soprattutto) da parte di Pechino, in breve tempo la Cina potrà imporre i suoi standard al resto del mondo, vendere i suoi prodotti in regime di semimonopolio, esercitando la propria influenza politica ed economica a ogni passaggio successivo. E, paradossalmente, la politica è complice di questa strategia di Pechino, dato che molti suoi esponenti vantano posizioni ben remunerate nelle compagnie inglesi che investono in Cina, o si danno molto da fare come lobbisti per l’incremento della cooperazione anglo-cinese in materia di scambi commerciali e relazioni culturali. E, da Noi, come stanno le cose, cari ex presidenti del Consiglio, Romano Prodi e Giuseppe Conte?


di Maurizio Guaitoli