L’India di Modi vista dall’America

mercoledì 5 luglio 2023


Dove va l’India di Modi? E come sta funzionando il suo rapporto tormentato con l’ingombrante vicino cinese e con quello ben più lontano del quasi amico americano? Il primo problema, viste le tendenze autoritarie dell’attuale primo ministro indiano, Narendra Modi, è di stabilire se l’India, a oggi, continui a essere o meno la più grande democrazia asiatica e mondiale, avendo una popolazione complessiva superiore a 1,4 miliardi di abitanti. L’Occidente (adesso, Global West) negli anni passati ha trovato al suo fianco l’India nella condanna sia del regime comunista della Corea del Nord e dei suoi test missilistici, sia nella denuncia del mancato rispetto dei diritti umani da parte del regime dei talebani (altro scomodo vicino di New Delhi), adoperandosi di concerto anche per la fine delle violenze nel Myanmar. Ma, da qualche tempo a questa parte, con l’accentuarsi dello scontro tra le democrazie del Global West e le autocrazie del Global South, le cose sono profondamente cambiate. Adesso, infatti, la Cina, il principale e più temibile competitor dell’Occidente e rivale nel controllo dell’area dell’Indo-Pacifico, ha sostituito il Pakistan nell’ordine delle priorità indiane, ai fini della sicurezza esterna. A giugno, Modi veniva ricevuto a Washington proprio mentre il segretario americano di Stato, Antony Blinken, iniziava la sua visita in Cina, Paese quest’ultimo governato secondo il presidente Joe Biden dal “dittatoreXi Jinping.

Tant’è che, onde evitare ulteriori grane con il suo scomodissimo e ingombrante vicino cinese, Modi stesso ha tenuto a ribadire che la sua visita non aveva per oggetto uno scambio di vedute tra i due Paesi in merito a una eventuale alleanza comune contro la Cina. Però, il che fa praticamente lo stesso, è ben vero che argomenti come l’escalation militare di Pechino, nonché le sue decisive sfide globali in campo tecnologico ed economico, sono stati al centro dei recenti colloqui tra India e Usa. Poiché contano le cose concrete, e gli affari soprattutto, non c’è niente di meglio che portare a casa un accordo di qualche miliardo di dollari per la costruzione in India dei motori del nuovo caccia della General Electric (Ge). Contestualmente, Modi ha concluso l’acquisto inseguito per anni dell’agognata piattaforma della General Atomics per la guida dei droni da combattimento, in grado di intercettare e di contrastare analoghe attività militari da parte della Cina. Soprattutto il primo aspetto, relativo all’accordo con Ge, oltre al risvolto economico indubbiamente importante, ne riveste un altro strategico dal punto di vista della cooperazione militare con gli Stati Uniti. Collaborazione mai avvenuta prima d’ora a questo livello, trattandosi di tecnologia altamente sensibile destinata a creare una forte interdipendenza per parecchi anni a venire tra le due industrie degli armamenti. Se l’accordo funzionasse, infatti, vincolerebbe i destini industriali di reciproco partenariato dei due Paesi per i prossimi 20/30 anni, per quanto riguarda lo sviluppo e la costruzione di nuovi motori aerei, trasformando letteralmente l’innovazione e la ricerca avanzata dell’India in materia di difesa, che si vedrebbe così definitivamente affrancata dalla storica dipendenza dalle forniture militari russe.

Questo perché lo stesso Modi vede un grande interesse del suo Paese nel coinvolgimento di privati nell’ambito dell’industria nazionale degli armamenti, ritenuto dal Governo indiano il solo modo per competere con il sistema industriale della Cina, che è avanti di decenni nello sviluppo e nella modernizzazione dei suoi arsenali militari. Altra punta di diamante – oltre all’avionica – delle trattative concrete tra Usa e India ha riguardato, naturalmente, la sfida mondiale sui semiconduttori. L’americana Boise, infatti, un gigante nell’assemblaggio dei microchip, potrebbe procedere a un test per la costruzione di un suo impianto, finanziato al 50 per cento dall’India stessa, nel feudo elettorale di Modi, lo Stato di Gujarat. Il che rappresenterebbe il più grande investimento da parte di uno dei più importanti costruttori americani di semiconduttori, per ri-orientare verso l’India la catena delle forniture globali, che vedeva al centro la Cina, terremotata da tre anni di chiusure a causa della pandemia. Una vera manna per l’India, che ha l’esigenza assoluta di rivitalizzare il suo moribondo settore manifatturiero. E, in quest’ottica, per attirare i necessari investimenti esteri, l’India ha varato un ambizioso piano di incentivi economici, proprio in concomitanza con la crisi pandemica attraversata dalla Cina, incontrando così il favore degli investitori internazionali alla ricerca di un’alternativa a Pechino.

Il successo di questa operazione a tutto campo risiede (come in Italia, a proposito del Pnrr) in una riforma radicale dei regolamenti ministeriali e nella rinuncia all’invadenza e all’intrusività a tutto campo dell’elefantiaca, corrotta e inefficiente Amministrazione pubblica indiana. Un severo limite deve essere poi autoimposto alla tendenza dello stesso Modi a legiferare discrezionalmente per decreti legge. Sul piano generale, l’India (che ospiterà il prossimo G20) ambisce ad avere un ruolo di grande potenza, smarcandosi però da una più stretta alleanza con Russia e Cina, per diventare un riferimento universale nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Anche se questa aspirazione deve fare i conti con il trattamento riservato dal Governo Modi alle proprie minoranze musulmane, compresi i limiti inaccettabili imposti alla libertà di stampa e agli spazi di agibilità dell’opposizione politica. Pur non applicando le sanzioni alla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina, l’India ha una posizione più netta sulla Cina, che ha il più basso gradimento dal 1962 (anno dell’invasione cinese dell’India) da parte della pubblica opinione indiana. Delhi, tra l’altro, ha messo al bando oltre a TikTok un centinaio di app cinesi, escludendo per di più Huawei e Zte dalla partecipazione alle gare pubbliche per il 5G. Buono a sapersi, ovviamente.


di Maurizio Guaitoli