Pax africana: l’ipocrisia globale

mercoledì 28 giugno 2023


Prima dell’autogolpe, quale poteva essere il giudizio sulla “Pax africana”, all’interno dell’iniziativa del Global South (Sud globale) per un compromesso con la Russia sull’Ucraina? Niente di più nobile e allo stesso tempo ipocrita. Come i finti 12 punti di pace cinesi (ridotti a 10 nella versione africana), subito lodati a scatola chiusa dai pacifisti a oltranza e, immediatamente dopo la loro effettiva divulgazione, unanimemente sepolti in soffitta nel baule delle cose inutili.

Per la cronaca: lo scorso fine settimana, Vladimir Putin ha ricevuto nei fasti di San Pietroburgo una delegazione di leader africani, solo per metterli subito dopo alla porta con ruvida cortesia, consentendo la parola solo a tre delegati su sette, visto che la loro proposta di piano di pace prevedeva una de-escalation militare (mettendo sullo stesso identico piano l’aggredito e l’aggressore!) e il ritorno in patria dei bambini ucraini deportati in Russia. Dando prova del suo scarso rispetto nei confronti dei suoi ospiti (tra cui si annoveravano quattro Presidenti africani), Putin ha pensato bene di intensificare i suoi attacchi missilistici su Kiev in concomitanza con la presenza in territorio russo della delegazione stessa.

Un vero affronto diplomatico, in tutti i sensi. Nei contro-argomenti di Putin, espressi subito dopo aver interrotto l’esposizione del piano da parte dei primi tre delegati, hanno trovato spazio le usuali tesi della propaganda russa: la guerra l’hanno iniziata gli sponsor occidentali di Volodymyr Zelensky con il colpo di Stato della rivoluzione di Maidan, e i bambini ucraini sono stati esfiltrati dalle zone di combattimento per metterli in salvo. Sottinteso: glieli restituiamo quando Kiev si sarà arresa.

Tra l’altro, una delle richieste più pressanti degli africani ha riguardato i timori sulla sicurezza alimentare dell’Africa, a causa dell’aumento dei prezzi causato dalla guerra in Ucraina. Preoccupazioni, anche queste ultime, subito minimizzate dall’autocrate del Cremlino.

Una condotta, se si vuole, un po’ folle e miope da parte di Putin (come del resto lo dimostra il caso di Evgenij Prigožin e la Cavalcata delle Valchirie della Wagner, poi abortita), visto che non pochi Stati africani membri dell’Onu si erano astenuti (come del resto hanno fatto Cina e India), o avevano esplicitamente votato contro la risoluzione di condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Tra l’altro, il presidente del Sudafrica, Matamela Cyril Ramaphosa, aveva chiesto durante la sua visita, un colloquio riservato con Putin per esporgli le sue difficoltà a invitarlo nel suo Paese, in occasione della riunione dei cosiddetti Brics, prevista per il prossimo mese di agosto. Questo perché le stesse autorità sudafricane sono tenute a dare esecuzione alla decisione dell’Icc (International Criminal Court, ovvero il Tribunale Penale Internazionale) che prevede l’arresto di Putin. Per rimuovere il relativo obbligo a ottemperare all’arresto stesso, la legge costituzionale sudafricana prevede un voto favorevole del Parlamento che però deve essere confermato dalla Corte Costituzionale. Ma non pochi parlamentari sudafricani sono a favore dell’arresto, e qualsiasi tentativo di forzare la mano verrebbe duramente contrastato dinnanzi alla Corte Costituzionale dalla società civile e dai partiti di opposizione.

In precedenza, un’identica accoglienza formale ma negativa era stata riservata ai delegati africani da Zelensky, che aveva come sempre subordinato l’avvio delle trattative di pace con Mosca al ritiro dell’esercito russo dai territori occupati. A parte l’ironia scontata sul giro turistico, vale la pena di chiedersi dove sta andando questa parte del Global South dei Paesi non-allineati che, nella loro stragrande maggioranza, dimostrano una debolissima fedeltà ai principi democratici, annoverandosi molti di loro tra le più bieche autocrazie mondiali di satrapi, tiranni e dittatori di ogni risma.

Ed è stata proprio la guerra in Ucraina a disallineare gran parte dei Paesi del Global South dal precedente atteggiamento di condivisione del punto di vista delle democrazie occidentali in presenza delle grandi crisi internazionali. I neo Paesi non-allineati tendono a considerare il conflitto in Ucraina come un regolamento di conti tra europei, e si oppongono alla dominazione del mondo esercitata dall’Occidente a partire dal secondo dopoguerra. Ma, come sempre, la fine di un’egemonia (quella occidentale, in questo caso) teme l’horror vacui lasciando il passo, come reazione, a una nuova polarizzazione, stavolta a impronta nettamente autocratica, come quella esercitata dal duopolio Russia-Cina.

E l’offerta non potrebbe essere più allettante per Paesi che non amano di certo la competizione democratica, e che preferiscono accantonare il modello dello Stato di diritto, per quello più comodo e discrezionale dello Stato sovrano. Si vuole, cioè, restare liberi di legiferare a proprio piacimento, senza dover rendere conto alla comunità internazionale di ciò che accade all’interno dei propri confini. La Cina, in particolare, offre il suo nuovo modello di modernizzazione ai nuovi venuti, che miscela il capitalismo di Stato con la mancanza di libertà politica dei suoi cittadini. 

Ed ecco spiegata la scelta dell’India di Narendra Modi, del Brasile di Inácio Lula da Silva, e di numerosi Paesi dell’Africa francofona di prendere le distanze dall’Occidente e dal suo ordine internazionale, per sposare senza riserve una configurazione multipolare. Quest’ultima divisa in due grandi emisferi, Global South e Global West, dove però il peso demografico è tutto sbilanciato a favore del Sud e, tra un decennio, di conseguenza, lo sarà anche quello economico.

Per ora, le proposte di pace avanzate dai Paesi emergenti sono decisamente sbilanciate a favore del sostegno alle tesi russe, dato che Stati Uniti ed Europa sono ritenuti i veri responsabili dell’attuale disordine mondiale. Peccato però, come osserva Le Figaro con il suo editoriale “Le Sud Global defie l’Occident”, che molti di quei Paesi siano stati a loro volta dei colonizzatori (come la Turchia in Europa) e che le guerre di cui si sono resi responsabili in passato, o stanno ancora conducendo, siano state molto più violente e distruttrici rispetto agli interventi occidentali. E il Global South ha potuto progredire come ha fatto grazie alla “mondializzazione” promossa dall’Occidente che non ha lezioni da prendere dalle autocrazie.

Che cosa ne sarebbe stato dei nostri nuovi competitor globali, senza le rivoluzioni occidentali come quella industriale, tecnologica, farmacologica e digitale? Con ogni probabilità, le loro materie prime (petrolio e gas) sarebbero rimaste nel sottosuolo e centinaia di milioni di persone avrebbero continuato oggi a morire di fame e di stenti nei loro luoghi d’origine. Sarà meglio che il Global West inizi a rivendicarlo.


di Maurizio Guaitoli