La detronizzazione dello zar si avvicina?

venerdì 26 maggio 2023


La guerra, per i russi, si sta rivelando un affare molto più complicato di quanto avessero previsto al Cremlino. La “guerra lampo” immaginata da Vladimir Putin va avanti da più di un anno, le truppe di Mosca sono sempre più in difficoltà e il rischio di una disfatta diventa sempre più concreto. Per quanto la propaganda del regime cerchi di nascondere la verità e i “falchi” del Cremlino invochino l’uso dell’atomica, la dirigenza russa sa benissimo che la campagna d’Ucraina si è trasformata in un “pantano” dal quale nessuno sembra avere la più pallida idea di come uscire. Putin e i suoi colonnelli non vogliono perdere la faccia e, soprattutto, il potere: perché prendere atto della situazione reale e ritirarsi senza aver ottenuto nulla, significherebbe la fine del regime che da vent’anni tiene la Russia stretta in una morsa di ferro. Nel frattempo, cresce l’insofferenza nei confronti della dittatura putiniana. I vertici militari – che pare non abbiano mai visto di buon occhio la scorribanda in Ucraina – ritengono che andare avanti significhi solo protrarre un inutile massacro. Gli oligarchi, colpiti nei loro interessi, hanno quasi tutti voltato le spalle allo zar. I nazionalisti lo rimproverano di non essersi dimostrato all’altezza e di aver tradito la Russia. I dissidenti del regime chiedono la sua uscita di scena. Anche la popolazione sembra iniziare a nutrire seri dubbi. Insomma, le cose per l’autocrate di Mosca non si mettono affatto bene e c’è chi è pronto a scommettere sulla sua imminente caduta.

Se un cambio di regime sembrava impensabile fino a quando il dissenso proveniva soprattutto dall’esterno e si limitava alle sole dimostrazioni non violente, ora non appare più una prospettiva così irrealistica, se si considera che al dissenso pacifico e più “intellettuale”, si è affiancato un dissenso armato e interno al regime stesso. Si sono formati ben tre corpi di partigiani russi che combattono al fianco delle truppe ucraine, che svolgono azioni di sabotaggio e che si dicono pronti alla lotta armata per rovesciare il regime di Putin: si tratta del Corpo dei volontari russi, della Legione per la libertà della Russia e dell’Armata nazionale repubblicana. A guidare le fila dei partigiani russi ci sarebbe l’ex deputato Ilya Ponomarev, costretto a lasciare la Duma per aver votato (unico pollice verso) contro la guerra, l’annessione della Crimea, la legge che vieta la “propaganda gay” e tutti i provvedimenti volti a censurare e a reprimere il dissenso. Ponomarev si definisce neo-trotzkista, fautore di un socialismo libertario e democratico e anti-imperialista. Hanno fatto scalpore le sue dichiarazioni circa la necessità di combattere con l’Ucraina contro il vero fascismo – quello di Putin – e sul fatto che sia la Russia a dover essere denazificata. A suo dire, l’unico modo perché la Russia diventi una democrazia ben integrata nel sistema internazionale è che Putin esca definitivamente di scena: sulle sue gambe o sulle gambe di qualcun altro. Per sua voce, i gruppi partigiani hanno già rivendicato gli attacchi a Belgorod e l’attentato contro Darja Dugina, figlia di Alexander Dugin, il famoso “ideologo di Putin”, che considera la Russia una sorta di Katéchon investito della missione di distruggere l’Occidente, definito “civiltà satanica” e “personificazione dell’anticristo”.

Ponomarev si dice pronto anche all’alleanza con l’estrema destra nazionalista, pur di vedere la fine di Putin. E qui entra in gioco Evgenij Prigozin, lo “chef di Putin”, capo del Battaglione Wagner, prima tra i membri più influenti del regime russo e ora “bestia nera” dell’autocrazia moscovita. Troppo potente per poter essere eliminato. Troppo influente per poter essere ignorato. Si moltiplicano i suoi attacchi contro la leadership di Putin – giudicata debole e non più in grado di guidare il Paese – contro i suoi fedelissimi – accusati di essere dei finti-patrioti che dicono di voler restaurare la grandezza della Russia e poi mandano i loro figli a vivere in Occidente o li fanno esonerare dal reclutamento – e contro i vertici militari. Addirittura, hanno fatto scalpore le sue ultime dichiarazioni, in cui minaccia apertamente Putin: stai rischiando una nuova Rivoluzione d’Ottobre – ha detto Prigozin in uno dei suoi consueti video-messaggi dal fronte ucraino. Vuole il posto dello zar? È probabile. Ha capito che la fine di Putin si avvicina e vuole approfittarne? Sicuramente. Una cosa è certa: Prigozin potrebbe avere un ruolo centrale nella caduta del regime putiniano. Forse, nemmeno il riferimento alla Rivoluzione d’Ottobre è casuale: che sia un segnale mandato ai partigiani di Ponomarev, come a dire che è disposto a collaborare per sbarazzarsi di Putin?

Cos’hanno in comune Ponomarev e i partigiani con Prigozin e i galeotti ultra-nazionalisti del Battaglione Wagner? Entrambi vogliono la caduta di Putin. E dopo? I primi vogliono elezioni libere e la riforma delle istituzioni russe in senso democratico e costituzionale. I secondi vorrebbero solo sostituire un dittatore con un altro, pur consapevoli che la caduta del regime e il periodo post-bellico aprirebbero necessariamente le porte a un processo di democratizzazione che potrebbe vanificare i loro sforzi. Ciononostante, potrebbero ambire a un posto d’onore nella Russia che verrà. I Wagner potrebbero essere inquadrati nell’esercito regolare, per esempio; esercito del quale Prigozin potrebbe diventare comandante “ad honorem”. Del resto, dopo la caduta di ogni regime ci sono sempre quelli che riescono a riciclarsi, magari proprio per essere passati, a un minuto dalla fine, dalla parte della resistenza. Per ora è ancora troppo presto per pensare al dopo-Putin e per fare congetture sulla Russia futura: l’importante adesso è che ci sia un dopo, ossia che la corrotta autocrazia messa in piedi dall’ex ufficiale del Kgb veda la fine. E per come si stanno mettendo le cose, tra partigiani che compiono attentati in Russia, ucraini sempre più determinati e armati, militari e oligarchi insofferenti e fedelissimi che si ribellano allo zar, sembra un’ipotesi sempre più probabile.


di Gabriele Minotti