Droga messicana: la guerra ibrida

mercoledì 17 maggio 2023


Chi governa in Messico? L’Anti-Stato dei narcotrafficanti o il presidente eletto social-populista Andrés Manuel López Obrador (o Amlo, come viene designato dai media)? La cosa certa è che lui, come i suoi predecessori, si trova ad affrontare lo stesso, monumentale problema della droga e delle catene criminali globali che intorno a essa si sono formate e consolidate. Invece di combattere con la forza la criminalità, Amlo ha puntato tutte le sue carte sulla proposta demagogica e populista, rivolta alle gang e al crimine organizzato, che fa leva sullo slogan propagandistico “abrazos no balazos”, ovvero “abbracci, non pallottole!”. Onde per cui il neo-presidente ha preferito prendersela politicamente con il cattivo vicino americano che, con le sue politiche imperialiste e il consumo di droghe, è da ritenere il vero responsabile dello sfacelo delle famiglie messicane, ridotte in povertà a causa della violenza e della droga. Ovviamente, le cose stanno all’esatto contrario: il crimine organizzato ormai agisce sotto forma di cartello mondiale, che conduce una sorta di guerra ibrida (cui la Cina stessa partecipa attivamente, anche se indirettamente!) contro il Global West, costituendo un invincibile anti-Stato, con le sue immense ricchezze, le reti di gang armate fino ai denti, e la sua capacità di corrompere chiunque, tanto da non potere più essere affrontato se non a livello inter-governamentale tra Paesi consumatori e produttori di sostanze stupefacenti.

Del resto, le droghe sintetiche (di cui oggi il fentanyl e i suoi derivati ancora più potenti, come il captagon) non hanno bisogno di milioni di ettari per la coltivazione delle piante di coca o di oppio, ma di semplici laboratori, che possono essere mimetizzati, montati e smantellati ovunque in breve tempo, rifornendosi dei prodotti chimici necessari importati in enormi quantitativi dalla Cina. Si stima che il messicano Cartello di Sinaloa ricavi almeno il 20 per cento dei suoi guadagni annuali (per centinaia di miliardi di dollari) dalla fabbricazione e dal traffico di droghe sintetiche. Oggi, praticamente, il Messico si presenta come un Hub mondiale della cocaina, prodotta in numerosi Stati sudamericani, con il letterale raddoppio dal 2014 dei traffici di droga che attraversano ogni anno i suoi confini. E questo senza che l’aumento dei volumi disponibili di stupefacenti sul mercato abbia provocato una discesa dei prezzi al consumo! Infatti, il passaggio alle droghe sintetiche, come la metanfetamina (destinata al consumo interno) e il fentanyl riservato all’esportazione, non hanno fatto altro che diversificare la domanda complessiva di stupefacenti, aumentando vertiginosamente i profitti dei produttori di materie prime (come la Cina!) e dei trafficanti.

Del resto, per capire la portata del problema, una pillola di droga sintetica prodotta in Messico costa 10 cent ed è rivenduta all’ingrosso ad almeno 50 cent. Ne deriva che l’industria dei narcotici rappresenta un mostro che, come la Balena di Giona, ingoia tutto ciò che incontra sul suo cammino. E la guerra dello Stato al narcotraffico è semplicemente una fatica di Sisifo dato che, laddove si riescano a decapitare e arrestare i grandi capomafia, ne risulta una proliferazione incontrollata delle gang locali (in Messico se ne contano attualmente almeno 200, mentre erano soltanto 76 nel 2010!) ultra-violente e formate da giovani delinquenti pronti a tutto, pur di arricchirsi. Anche se, stando ai dati della Dea (Drug enforcement administration) americana, il narcotraffico messicano risulta controllato da sole nove grandi organizzazioni criminali. In tal senso, la demagogia social-populsita di Amlo (“abrazos no balazos”), impregnata di sociologia a buon mercato, e che intendeva affrontare alla radice l’origine e la dinamica di formazione delle gang, non ha dato sinora alcun risultato appezzabile. Con il buonismo, verrebbe da dire, non si guadagnano migliaia di dollari al mese, come accade a chi traffica e smercia droga. Se il traffico internazionale di stupefacenti, per avere successo, necessita “pacificamente” di avere qualcuno da corrompere alla frontiera. Al contrario il controllo del territorio genera localmente inaudite forme di violenza e di scontro armato tra le diverse gang.

Ad esempio, nell’area messicana di Michoacán almeno 35 gruppi si contendono il predominio utilizzando armi da guerra acquistate con i proventi della droga. E, ovviamente, quando la parola va alle armi, si assiste al vertiginoso aumento degli omicidi, passati dai 12mila del 2006 agli attuali 30mila all’anno! E, con gli omicidi, aumenta parimenti il numero delle persone scomparse che, nella maggior parte dei casi, non vengono più ritrovate. L’impunità di fatto delle gang, che nemmeno l’utilizzo della Guardia Nazionale messicana è riuscita a estirpare, ha provocato di riflesso un notevole aumento della corruzione all’interno dell’Amministrazione pubblica del Paese, per cui i funzionari pubblici trovano conveniente fare affari con il milieu criminale, favoriti in tal senso dai processi di decentralizzazione “democratica” del potere a vantaggio delle realtà locali. Ed è così che i gruppi criminali si sono infiltrati a tutti i livelli nei corpi di polizia municipale, nelle municipalità e nella politica locale, ottenendo lucrosi appalti pubblici per la costruzione di strade e di infrastrutture varie. Come accade ormai da tempo per le mafie italiane, anche quelle messicane non hanno più bisogno di minacciare gli eletti locali, dato che sono loro a influenzare direttamente il voto dei cittadini, facendo eleggere persone di propria fiducia.

E per chi non si piega, c’è sempre un sicario che aiuta a regolare la questione, come dimostrano i 40 omicidi di candidati politici alle elezioni del 2021. Inevitabilmente, la presenza del crimine organizzato crea forti distorsioni nella libera concorrenza tra imprese, dato che sempre più di frequente i manager delle aziende interessate sono costretti a chiedere protezione ai criminali locali per poter condurre senza danni le loro attività. Sociologicamente poi, visto che non ne hanno bisogno, le gang si disinteressano delle condizioni di vita delle popolazioni locali. La situazione interna della sicurezza in Messico è talmente grave che qualcuno ha iniziato a parlare di “insurgency”, o insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Per reprimerla o disinnescarla occorre mettere fine ai traffici di droga, ma nessuno a quanto pare è disposto a pagare l’enorme costo politico di far intervenire l’esercito, dichiarando lo stato di guerra e la sospensione temporanea delle garanzie costituzionali. “That is The Question!”. Un problema immenso, comune sia al Global West che al Global South!


di Maurizio Guaitoli