Il velo turco, il pio Erdoğan

giovedì 11 maggio 2023


Quanto è fondamentalista la Turchia? Per capirlo, basterà pesare in proporzione i voti che otterrà “L’Incumbent” (il presidente uscente), Recep Tayyip Erdoğan, che si ricandida per la terza volta, in quanto la Costituzione turca non prevede alcun limite di mandato. Ed è proprio lui stesso ad aver messo al centro della sua propaganda per la rielezione la questione religiosa, erigendosi a difensore di quella parte “giusta” di società che si vuole pia e nazionalista. Quest’ultima viene strumentalmente contrapposta dalla propaganda presidenziale a quella laica e degenerata, dominata da ubriaconi, elitaristi atei, separatisti curdi, devianti sessuali, e da tutti quei depravati che guardano ai modelli e ai costumi occidentali di importazione, estranei e nemici della tradizione islamica millenaria. Come si vede, cambiando il paradigma religioso da islamico a cristiano, sulle stesse posizioni di Erdoğan (non per nulla definito un “caro amico”) ritroviamo Vladimir Putin, che si erge a difensore supremo della Santa Russia. Xi Jinping, altrettanto fondamentalista (laico), si differenzia dai primi due per il semplice fatto che il confucianesimo è una filosofia di vita e non una religione tout-court. Guardando all’interno della Ue, tuttavia, esistono notevoli somiglianze tra il regime di Orban e quelli autocratici sopra citati.

Ma, a ben vedere, la difesa della tradizione, secondo l’Economist (che nel primo numero di questo mese dedica la copertina e un inserto speciale alle prossime elezioni turche del 14 maggio) è il solito oppio che serve a confondere la mente del popolo. Infatti, il vero problema che sta portando la Turchia diritta al default è rappresentato dall’incompetenza di Erdogan in materia di economia. Caratteristica quest’ultima comune a tutto il Movimento della Fratellanza Musulmana (si veda quanto accaduto in Tunisia con le dissennate politiche economiche di Ennahda) e di altre dittature islamiche come l’Iran, del tutto incapaci di mettere un freno alla spesa pubblica, all’inflazione dilagante, al clientelismo e all’assistenzialismo. Erdoğan sta letteralmente sabotando la propria economia, in quanto ritiene che la crescita dell’inflazione sia alimentata dagli alti tassi di interesse, mentre al contrario l’indebitamento a basso costo contribuisce a stabilizzare i prezzi. E la Banca centrale turca, dove nelle posizioni di comando sono stati collocati gli “yes-men” del presidente, non fa altro che assecondare questa politica scellerata continuando a fissare il tasso di interesse inferiore del 35 per cento rispetto a quello dell’inflazione. Un credito, quindi, fin troppo facile che ha costretto il Governo turco a contingentare la conseguente domanda: mossa che, guarda caso, va a privilegiare i clientes del regime i cui debiti sono costantemente dilazionati o, addirittura, condonati.

Per assicurarsi il consenso in un contesto di inflazione dilagante, Erdoğan ha triplicato i minimi di pensioni e salari, in modo da allinearli al reddito medio pro capite e ha promesso, in caso di vittoria, un ulteriore aumento del salario minimo a partire da luglio prossimo. E in tutto questo l’opposizione che fa? Individua l’anti-Erdogan in un anziano apparatchik come Kemal Kılıçdaroğlu, ex dirigente del ministero delle Finanze e leader del Partito Repubblicano del Popolo, che si fa vanto della sua vita modesta, in netta contrapposizione alla Grandeur ostentata di Erdoğan. L’anziano economista si propone di ristabilire un minimo di buone regole per la gestione del bilancio pubblico, tra cui la restituzione della piena autonomia alla Banca centrale, che deve essere lasciata libera di decidere sui tassi di interesse, in modo da mettere sotto controllo l’inflazione, senza tenere troppo conto dei rischi concreti di recessione. Anche se, ultimamente, i Partiti di opposizione si sono dimostrati molto cauti in merito, accontentandosi di un intervento più graduale e pluriennale sull’inflazione, in modo da ricondurla a una sola cifra entro due-tre anni, continuando a sostenere con un welfare adeguato chi non ce la fa. La speranza, in tal senso, è che così facendo si possa favorire il ritorno degli investimenti e dei capitali esteri in Turchia, con particolare riferimento al rilancio dell’attività produttiva.

Le speranze in tal senso non sono affatto infondate, visto che l’economia turca si colloca a metà strada tra il Pil dell’India e quello della Germania, potendo beneficiare di un’unione doganale con la Ue che ne fa un’eccellente base di partenza per tutti coloro che intendano aumentare il loro export verso l’Europa. Anche sul piano delle riforme istituzionali maggioranza e opposizione hanno punti di vista e progetti nettamente divergenti. Erdoğan, da parte sua, insiste su di un ulteriore rafforzamento dei poteri presidenziali, con l’abolizione del ruolo di primo ministro e l’attenuazione ulteriore delle prerogative del Parlamento. Del resto, molti passi avanti in tal senso sono già avvenuti di fatto, con l’esercizio di un potere personale da parte di Erdoğan sempre più autocratico e punitivo, come dimostra l’inasprimento delle sanzioni per vilipendio alla figura del presidente, che prevede pene che vanno fino a quattro anni di prigione. In merito, le procure hanno aperto durante i suoi due mandati presidenziali qualcosa come 200mila procedimenti giudiziari, che rendono bene il clima autoritario che contraddistingue la società turca attuale. Particolarmente colpito dalle iniziative delle procure è stato il principale Partito curdo (il Partito Democratico del Popolo), con molti sindaci eletti nei suoi ranghi e costretti a dimissioni forzate. Kılıçdaroğlu ha promesso il ripristino dell’indipendenza della magistratura, la restituzione al Parlamento dei suoi compiti originari, l’abolizione della norma sul vilipendio e compensazioni per i sindaci ingiustamente rimossi dalle loro funzioni.

Ma non sarà facile per Kılıçdaroğlu venire a capo della corruzione sistemica e smantellare il potere degli oligarchi che oggi fanno riferimento a Erdoğan. Sul piano internazionale, anche l’attuale opposizione, favorevole al dialogo con Putin, tende a mantenere la posizione di distacco tenuta da Erdogan in merito alla guerra in Ucraina, mentre su quello interno non viene individuato nessun utile compromesso di sorta per la soluzione della questione curda. Per quanto ci riguarda, possiamo solo sperare che Kılıçdaroğlu, una volta battuto Erdoğan, mantenga l’impegno con l’Europa sul controllo dei migranti e delle partenze dei barconi dai porti turchi verso le coste greche e italiane.


di Maurizio Guaitoli