martedì 9 maggio 2023
I cristiani iracheni e siriani subiscono da decenni persecuzioni e soffrono d’instabilità a causa dell’oppressione esercitata dai regimi Baˈth, dell’invasione dell’Iraq del 2003 da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti, dello scoppio dei combattimenti tra sciiti e sunniti nel 2006, del terrorismo di al-Qaeda, del genocidio perpetrato nel 2014 dall’Isis, degli attacchi aerei turchi in Iraq e in Siria, e, in molti casi, a causa delle pressioni e delle vessazioni per mano dei loro vicini musulmani. Queste pratiche persecutorie hanno costretto molti di loro a lasciare i propri Paesi d’origine e a cercare asilo altrove.
Secondo un report di Porte Aperte/Open Doors: “L’Iraq ospita un certo numero di chiese tradizionali ortodosse e cattoliche, ma sono tutte gravemente colpite da atti di intolleranza, discriminazione e persecuzione da parte dei leader locali, delle autorità governative e di gruppi estremisti islamici. (...) Nella regione della Piana di Ninive, i leader ecclesiali sono stati rapiti in passato; coloro che si pronunciano contro le milizie locali o i leader politici sono particolarmente a rischio”.
Successivamente all’invasione dell’Iraq del 2003 da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti, la comunità cristiana del Paese è diminuita di circa 1,5 milioni, e oggi conta meno di 200mila fedeli. La persecuzione dei cristiani ha raggiunto l’apice con la conquista di vaste aree dell’Iraq da parte dell’Isis, nel 2014.
Dopo che lo Stato Islamico prese il controllo della città irachena di Mosul nel giugno 2014, ai cristiani venne data la possibilità di convertirsi all’Islam, di pagare le tasse (jizya) oppure di andarsene o essere uccisi. L’Isis contrassegnò le case cristiane con la lettera araba “N”, che sta per Nasrani, ossia cristiano. Secondo un report della University of Minnesota, due mesi dopo, nell’agosto 2014, lo Stato Islamico assunse il controllo delle città cristiane nella Piana di Ninive, provocando una seconda ondata migratoria di massa.
Anche in Siria i cristiani continuano a subire gravi persecuzioni. Porte Aperte/Open Doors denuncia: “I cristiani in Siria sono ancora alle prese con la persecuzione quotidiana che può diventare violenta, nonostante la minaccia pubblica del cosiddetto Stato Islamico sia in gran parte diminuita. (...) Condividere il Vangelo è molto rischioso e le chiese sono state spesso completamente distrutte. I rapimenti di leader ecclesiali continuano ad avere un impatto notevolmente negativo sulle comunità cristiane. Il numero dei cristiani nel Paese continua a diminuire, poiché molti sono fuggiti da conflitti e persecuzioni. Tutti i siriani e gli iracheni hanno avuto parecchie difficoltà nell’ultimo decennio, ma i cristiani ne hanno affrontate più della maggior parte degli altri. In molte regioni, sono stati presi di mira dai militanti islamici, perdendo il lavoro, la casa e perfino la vita. Molti sono dovuti fuggire, dislocati in Siria o all’estero”.
Molti cristiani perseguitati provenienti dall’Iraq e dalla Siria, da quando sono stati costretti a lasciare i loro Paesi d’origine, sono ancora alla ricerca di una nuova patria.
Attualmente in Turchia vivono circa 5-6mila richiedenti asilo cristiani iracheni e siriani, in attesa di essere reinsediati in Occidente. Molti sono arrivati in Turchia durante il genocidio del 2014 perpetrato dall’Isis. Al momento risiedono in 35 città turche, poiché il governo li ha disseminati in tutto il Paese.
Alla fine di febbraio, l’Iraqi Christian Relief Council (Icrc) ha intervistato in Turchia delle famiglie cristiane provenienti dall’Iraq e dalla Siria per un documentario sulla crisi dei rifugiati. La sottoscritta ha parlato con l’Icrc e con la sua presidente, Juliana Taimoorazy.
Persone abbandonate e dimenticate
I richiedenti asilo cristiani iracheni e siriani, bloccati in Turchia da anni, soffrono di innumerevoli problemi come la mancanza di istruzione dei loro figli, la grave povertà, la mancanza di libertà religiosa, la mancanza di permessi di lavoro, la limitata libertà di movimento, l’ostilità nutrita da parte di alcuni musulmani verso la loro fede e il rigetto delle loro richieste di asilo da parte dei governi occidentali.
Uno dei principali problemi che devono affrontare è l’incapacità dei loro figli di ricevere un’istruzione in Turchia. I cristiani del Medio Oriente attribuiscono un grande valore all’istruzione, ma quando i loro figli cercano di andare a scuola in alcune delle città turche più piccole, molti sono vittime di bullismo perché sono cristiani e non parlano turco. Alcuni di loro frequentano scuole improvvisate non accreditate in Turchia. La maggior parte, quindi, non va affatto a scuola.
I cristiani fuggiti dall’Iraq e dalla Siria erano per lo più dei professionisti nei loro Paesi, come insegnanti, medici, ingegneri, avvocati e imprenditori. In Turchia, invece, sono soltanto richiedenti asilo che godono di diritti minimi e ritengono che ciò sia “una perdita di dignità”. Sebbene molti siano istruiti e capaci, non possono ottenere permessi di lavoro e non possono lavorare legalmente. Pertanto, non possono provvedere al sostentamento delle proprie famiglie e lottano per la sopravvivenza a causa dell’estrema povertà.
Alcuni sono ridotti a mendicare per strada o a chiedere soldi a famiglie o a vicini, per poi finire indebitati. In alcuni casi, i loro parenti cercano di aiutarli, ma la maggior parte di loro, anche in Occidente, sono essi stessi rifugiati e possono offrire solo un aiuto minimo, se possibile.
I quartieri sono brutti, le case umide e infestate da scarafaggi. Non possono permettersi il riscaldamento. A volte due famiglie vivono insieme in un appartamento, senza privacy.
Molti sono malati e non hanno accesso all’assistenza sanitaria.
Non possono viaggiare liberamente: anche per spostarsi da una città all’altra devono prima ottenere un permesso (un documento ufficiale) dalle autorità statali.
Madri sole
Le madri single cercano di essere sia madre che padre. I loro mariti sono morti o hanno abbandonato le loro famiglie perché non erano in grado di gestire le terribili situazioni familiari. Purtroppo, sono stati segnalati alcuni casi di donne che non hanno altra scelta se non quella di vendere il proprio corpo per provvedere al sostentamento delle proprie famiglie, ma dicono che ciò va contro la loro fede, la loro morale e tutto ciò che sono state educate a difendere.
Ostilità verso i cristiani
In alcune città, i richiedenti asilo non riescono a socializzare con la gente del posto: vengono discriminati perché iracheni o siriani e cristiani. Nei centri più piccoli, a causa dell’ambiente ostile nei confronti dei cristiani, i genitori temono di fare uscire le figlie da sole anche per fare la spesa.
Poiché la maggior parte di loro vive in piccole città, hanno paura di dire di essere cristiani. Nascondono la loro fede per timore di essere perseguitati ed evitano di praticare apertamente il proprio culto.
Quando i richiedenti asilo vivono nello stesso quartiere dei rifugiati musulmani o dei migranti provenienti dall’Afghanistan, dall’Iraq e dalla Siria, hanno paura anche di loro. Nelle città più grandi, le cose vanno un po’ meglio: le persone sono in qualche modo più gentili e amichevoli nei confronti dei cristiani e degli stranieri.
La responsabilità della Turchia verso i richiedenti asilo e i rifugiati cristiani
L’accordo Ue-Turchia, firmato nel marzo 2016, fa riferimento alla “dichiarazione di cooperazione” tra i Paesi membri dell’Unione europea e il governo turco. L’accordo prevede che la Turchia riceva 6 miliardi di euro per migliorare la situazione umanitaria dei profughi. Nel dicembre del 2020, l’Unione europea ha versato ad Ankara la rata finale di 6 miliardi di euro di aiuti per accogliere i rifugiati.
Ma secondo un report del 2021 del Migration Policy Institute: “L’Unione europea ha accettato di erogare, tra il 2016 e il 2019, sei miliardi di euro in aiuti umanitari, in aiuti destinati all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alle infrastrutture municipali e a un sostegno socioeconomico ai profughi siriani in Turchia. Sebbene l’Ue affermi che l’intero importo è stato stanziato e sono stati versati più di 4 miliardi di euro, il governo turco ha messo in discussione il ritmo e la modalità dei pagamenti, che sono andati a organizzazioni al servizio dei rifugiati piuttosto che a conti governativi. Nel 2020, l’Ue si è impegnata a erogare altri 485 milioni di euro perché alcuni programmi continuino fino al 2021”.
Pertanto, che fine hanno fatto i 6 miliardi di euro dati dall’Ue alla Turchia affinché quest’ultima aiuti maggiormente i rifugiati? Se alla Turchia è stata concessa una somma di denaro così ingente per provvedere di più ai rifugiati, perché così tanti profughi e richiedenti asilo versano ancora in terribili condizioni nel Paese? E chi sono queste organizzazioni operanti “in favore dei rifugiati”? Hanno preso i soldi, li hanno sottratti, li hanno spesi e non sono bastati? La comunità internazionale, compresa l’Ue, ha urgente bisogno di maggiore trasparenza su come è stato speso il denaro e su quanti rifugiati e richiedenti asilo ne hanno beneficiato.
Dal 2018, il governo della Turchia è responsabile del lavoro dei rifugiati. Le autorità governative turche sono quindi responsabili del benessere di quei richiedenti asilo.
Nel 2018, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha affidato la gestione delle procedure di registrazione dei rifugiati in Turchia alla Direzione generale per la Gestione della Migrazione (Dggm), incaricata della gestione del sistema di asilo turco.
La stessa Dggm ora monitora la procedura di registrazione dei profughi e ne determina lo status. Qualsiasi straniero che cerca protezione internazionale nella Repubblica turca deve prima rivolgersi agli uffici locali dell’autorità turca per la migrazione.
Ergo, i funzionari del governo turco potrebbero aiutare maggiormente i richiedenti asilo e i rifugiati. Potrebbero fornire loro assistenza sanitaria, inclusi farmaci e terapie per la salute mentale. E potrebbero ospitare i richiedenti asilo cristiani in città e Paesi più tolleranti nei confronti dei cristiani e di altri non musulmani.
Richieste di asilo respinte dall’Occidente
Anche se i richiedenti asilo cristiani siriani e iracheni in Turchia sono afflitti da vessazioni, indigenza e discriminazione, le richieste di asilo di molti cristiani iracheni e siriani vengono respinte da Australia, Canada, Stati Uniti e da altri Paesi occidentali. Perché? L’Iraqi Christian Relief Council si sta impegnando per scoprire il motivo.
Circa 22mila richiedenti asilo cristiani iracheni e siriani vivono attualmente in Libano, Giordania e in Turchia. Nei loro Paesi d’origine, sono stati esposti a genocidio, terrorismo, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Dove sono i governi occidentali?
Perché non si rilasciano visti per coloro che non sono rifugiati? Tanto più che, secondo i dati diffusi dall’amministrazione Biden, 5,5 milioni di persone sono entrate illegalmente negli Stati Uniti dal confine con il Messico e “più di 414 milioni di dosi letali di fentanyl soltanto nel 2022.
Attualmente, i richiedenti asilo hanno bisogno di visti umanitari per essere reinsediati in Occidente. Ma molti richiedenti asilo cristiani sono istruiti o hanno competenze, quindi sarebbero qualificati per ottenere permessi di lavoro per risiedere nei Paesi occidentali. Sperano di migrare in sicurezza per lavoro, utilizzando loro capacità per provvedere alle loro famiglie e vivere una vita dignitosa.
I governi occidentali e le organizzazioni internazionali per i diritti umani potrebbero cooperare e formare partenariati con altre organizzazioni come l’Iraqi Christian Relief Council per aiutare i richiedenti asilo e i rifugiati con urgenza e in modo efficace.
Monsignor Bashar Warda, arcivescovo di Erbil, la capitale del governo regionale del Kurdistan iracheno, ha dichiarato a Londra, nel 2019: “Il Cristianesimo in Iraq, una delle più antiche Chiese, se non la più antica Chiesa del mondo, è pericolosamente vicino all’estinzione. Quelli di noi che restano devono essere pronti ad affrontare il martirio”.
Riferendosi ai jihadisti dell’Isis a causa dei quali i cristiani sono stati costretti a fuggire dalle loro storiche terre in Iraq, l’arcivescovo ha detto: “I nostri aguzzini hanno confiscato il nostro presente, cercando di cancellare la nostra storia e di distruggere il nostro futuro. In Iraq, non c’è risarcimento per coloro che hanno perso proprietà, case e attività. Decine di migliaia di cristiani non hanno nulla da mostrare per il lavoro di una vita, per generazioni di lavoro, nei luoghi dove le loro famiglie hanno vissuto, forse, per migliaia di anni”.
L’arcivescovo ha criticato i leader cristiani britannici per non aver fatto abbastanza in difesa della comunità cristiana in via di estinzione in Iraq.
A quasi quattro anni dalle parole dell’arcivescovo, nulla è cambiato. Dove sono le Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali femminili, l’International Rescue Committee e le organizzazioni per i diritti dei bambini? Questi richiedenti asilo sono a rischio di estinzione nelle loro terre d’origine, soffrono in luoghi come la Turchia, il Libano e la Giordania e sperano un giorno di trovare sicurezza in Occidente.
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Uzay Bulut (*)