Medio Oriente al bivio: il fronte degli autocrati

giovedì 4 maggio 2023


Che cosa succede sull’altro versante del Mediterraneo? Nella disattenzione dei più, a quanto pare, le nazioni arabe stanno progressivamente sottraendosi all’attrazione gravitazionale del Global West, per convergere compatti nella galassia composita del Global South. In questo processo di “redshifting” (in fisica, “spostamento verso il rosso”, intendendo con ciò la Troika Cina-Russia-Brasile, in cui alla guida ci sono neo ed ex comunisti di oggi e di ieri), gli attori principali sono Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Siria e, per certi versi, l’Iran. Tutti Paesi diversi, ma con la stessa matrice di funzionamento di fondo, essendo guidati da autocrati e dittatori di varia specie e natura. E, almeno due di loro, Recep Tayyip Erdoğan e Bashar al-Assad, sono saldamente sulle orme di Vladimir Putin, loro fedele alleato e protettore. Il contestatissimo leader siriano, da parte sua, è sì sopravvissuto alla guerra civile, ma ha anche creato nella vasta regione mediorientale tali e tanti problemi che non possono essere risolti senza venire a patti con lui. Tale e quale a Putin. Il problema più grande è rappresentato dal ritorno in patria e in tutta sicurezza di milioni di profughi di guerra siriani, rifugiatisi in Giordania e Libano, che stanno creando crescenti tensioni interne nei due Paesi ospiti.

Per di più, oggi, la Siria è divenuta un Narco-Stato, che vende al resto del mondo per miliardi di dollari tonnellate di droga sintetica nota come Captagon (potente derivato del Fentanyl), i cui consumi hanno raggiunto livelli preoccupanti nei Paesi arabi confinanti, come Giordania e Arabia Saudita. Per contrastarne la diffusione si è mosso persino il Congresso degli Stati Uniti con l’approvazione del Captagon Act, con cui si invita l’Amministrazione Biden a porre in essere un’efficace strategia per smantellare il relativo narco traffico internazionale che “rappresenta una minaccia transnazionale”. In pratica, bisognerà garantire ad Assad i necessari incentivi (miliardi di dollari di “compensazioni”, sotto forma di aiuti alla ricostruzione) per contrastare i traffici e la fabbricazione in Siria del Captagon stesso. Ma, certamente, nessun Paese occidentale si sognerà mai di riabilitare Assad, dato che i costi morali di un simile riavvicinamento sarebbero del tutto inaccettabili per l’opinione pubblica occidentale. Fanno fede in tal senso le ripetute pronunce di condanna per crimini di guerra e contro l’umanità da parte dei tribunali di Stati Uniti, Francia e Germania, a seguito di casi presentati da siriani perseguitati con la doppia cittadinanza. Negli Usa, tra l’altro, è in vigore il Caesar Act che impone un ampio ventaglio di sanzioni contro cittadini siriani ed entità a loro collegate per i crimini commessi. Solo il deposto ex presidente sudanese, Omar Bashir, aveva osato rompere nel 2018 l’ostracismo decretato dalla Lega Araba nei confronti di Assad, recandosi in visita a Damasco. Ma non gli ha portato granché bene, visto che i due generali che l’hanno deposto sono oggi in guerra tra di loro! I compromessi con i tiranni hanno sempre conclusioni tragiche, chiosa il Financial Times.

Erdoğan, a sua volta denominato “Il Putin del Bosforo” da Le Monde, si trova oggi stretto nelle forche caudine di una rielezione per lui assai problematica e, se la spuntasse, allora stavolta potrebbe davvero diventare il presidente a vita della Turchia! Come il suo omologo russo Putin, Erdoğan ha gradualmente smantellato in molteplici forme le garanzie democratiche, instaurando di fatto un potere personale, autoritario e paranoide. Nel suo regime autocratico, infatti, i media sono irreggimentati, gli oppositori incarcerati, e il potere reale è gestito (come in Russia) da una ristretta cerchia di oligarchi, che hanno favorito il dilagare della corruzione sistemica e del nepotismo. Al pari di Putin, il suo omologo del Bosforo sogna la restaurazione dell’impero e ne strumentalizza la gloria del passato per nutrire le sue ambizioni, inviando truppe oltreconfine per occupare militarmente il Nord della Siria e strangolare così l’autonomia curda. Chi vorrà ancora credere domani che Erdoğan sia legittimamente un membro dell’ex Alleanza Atlantica, schierato con l’Occidente, dopo la guerra in Ucraina (la Turchia vende droni a entrambi i contendenti, rifiutandosi di applicare alla Russia le sanzioni decise dall’Occidente!) e la scelta di acquistare sistemi antimissile S-400 da Mosca, in netto contrasto con le politiche degli armamenti della Nato stessa? Pertanto, qualunque sia il risultato del 14 maggio, la Turchia è comunque su di un punto di sella per cui, un istante dopo il risultato elettorale, il boccino del potere può scivolare da un lato come da quello opposto.

Se Erdoğan perdesse (e sempre che accettasse “democraticamente” la sua sconfitta) si può immaginare un futuro decisamente più filo-occidentale per la Turchia, al netto della questione curda. Viceversa, come sottolineato, ci sono ottime probabilità, in caso di vittoria, che Erdoğan divenga presidente a vita, facendosi votare qualche altra riforma costituzionale alla Xi Jinping. Certo, non sarà facile per l’attuale coalizione-arlecchino, con cui si presenta l’opposizione alle prossime presidenziali turche, portare al successo la figura un po’ sbiadita, alla François Hollande, di Kemal Kiliçdaroglu, una sorta di apparatchik social-democratico di 74 anni, che ha il difetto di appartenere alla comunità alevita, una setta religiosa sciita, considerata “eretica” dalla maggioranza sunnita. I sondaggi (quanto attendibili?) darebbero Kiliçdaroglu in leggero vantaggio su Erdoğan, “fragilizzato” da un’inflazione galoppante, dalla svalutazione a doppia cifra della lira turca, e dalla contabilità disastrosa di 50mila morti a seguito della doppia scossa di terremoto del 6 febbraio scorso, che ha posto sotto i riflettori della protesta popolare la dilagante corruzione del regime. Per gemellarsi con il destino dell’autocrate turco, Putin ha fatto affluire miliardi di dollari per finanziare la centrale nucleare di Akkuyu sul Mediterraneo e per sostenere la valuta turca in caduta libera. E tutto questo perché la rielezione di Erdoğan consentirebbe a Putin di poter ancora contare su un “dirigente forte e un partner affidabile” (parole sue!), mantenendo così una sua Quinta Colonna in seno alla Nato. Soldi ben spesi, quindi, come si direbbe dalle parti del Cremlino!


di Maurizio Guaitoli