Bentornato Stalin!

lunedì 3 aprile 2023


Lo Spiatutto

Ricordate “Le Vite degli Altri”? Nel sistema comunista, a Mosca come a Berlino Est (città in cui il film del 2006 è ambientato), tutti spiavano tutti, in cambio di ogni genere di servizi “proibiti”, come droga, sesso, farmaci introvabili, interessi gretti e, quel che è peggio, molto spesso lo facevano a titolo gratuito, per invidia, gelosia o rancore. Allora, in quel vischioso pauperismo comunista (durato settant’anni in Unione Sovietica e cinquanta nell’Europa dell’Est) si facevano lunghe file per il pane, lamentandosi degli scaffali vuoti di supermercati e negozi “di Stato”. In compenso, si spiava per non consentire ad altri di avere un diverso stile di vita e un pensiero difforme da quello super omologato di regime. Lo si faceva, cioè, affinché nessuno osasse impunemente sottrarsi al comune stato collettivo di miseria economica, morale e materiale. Nella bellissima pellicola d’essai, “1945”, uscito nel 2017, veniva raccontata una storia terribile di delatori ungheresi che avevano denunciato ai nazisti i propri vicini di casa ebrei, per appropriarsi di tutti i loro beni. E negli anni di Philippe Pétain il collaborazionista, molti francesi, accomunati dagli stessi interessi e dalla cupidigia dei loro omologhi ungheresi di “1945”, si distinsero in denunce anonime contro i loro concittadini ebrei, permettendo che fossero concentrati a migliaia nel Velodromo in condizioni igieniche e umane degradanti (fatti storici questi ultimi denunciati da un altro bellissimo film drammatico “La chiave di Sara” del 2010), in attesa della loro deportazione in Germania.

Lo scrittore russo, Sergej Dovlatov, si chiedeva, a proposito dello spionaggio di massa messo in atto dai cittadini sovietici contro se stessi, prassi molto diffusa all’epoca dello stalinismo imperante e che accomunava tra di loro a vario titolo milioni di delatori invidiosi e frustrati: “Sì, certo, stiamo sempre lì a lamentarci a ragione veduta del Compagno Stalin, ma mi domando: chi ha scritto durante il suo regime 4 milioni di denunce?”.

Incredibile ma vero, il passato che non passa della Grande Madre Russia oggi ripropone la mentalità di ieri del Grande Fratello del Kgb, dal momento che le sanzioni occidentali stanno diffondendo nel Paese immense frustrazioni nella popolazione russa, per l’impantanamento e il sacrificio (inutile?) in Ucraina di centinaia di migliaia di soldati, e per la crescente scarsità di beni di importazione venduti al mercato nero a prezzi decuplicati, rispetto al 2021. Così, il Financial Times dedica un interessante approfondimento alla “risorgenza” degli spioni di massa che però, nell’era del putinismo e della neo “guerra patriottica”, indossano la foglia di fico linguistica di “informatori patriottici”. Non più, quindi, a gloria perpetua del comunismo, ma per garantire la sopravvivenza della Russia come Stato-Nazione. E il quotidiano ci offre fin da subito, in apertura dell’articolo, un esempio folgorante e disperante di questa disgustosa attitudine a demonizzare la libertà individuale anticonformista. Una bambina di dieci anni, allieva brillante e dotata dell’ultima classe delle elementari, è stata denunciata dalla sua insegnante e sottoposta a fermo di polizia in carcere, solo perché aveva un simbolo pro-Ucraina sul suo profilo WhatsApp e si era frequentemente assentata dal nuovo corso curriculare di “Patriottismo russo”, versione aggiornata alla Putin del marxismo-leninismo di ieri.

Ed è così ricominciata nella Russia contemporanea la danza macabra delle delazioni: le persone vengono denunciate alle autorità di polizia per aver espresso in privato, o all’interno di gruppi ristretti, il loro dissenso nei confronti della guerra e delle politiche del governo. Nella grande giostra di “chi fa la spia a chi”, gli insegnanti denunciano gli allievi; gli studenti danno informazioni su professori e compagni di classe; e così fanno vicini, colleghi di lavoro e componenti della stessa famiglia denunciandosi anonimamente tra di loro. Così, come ai tempi di Stalin, la delazione ridiviene un macabro sport nazionale sotto l’impulso del Cremlino e delle testate propagandistiche di Stato, che istigano a “dare la caccia” (vi ricorda qualcosa?) ai “traditori domestici” e ai “sabotatori” dello sforzo bellico condotto dalla Russia. Ed è stato Vladimir Putin in prima persona, all’apice della mobilitazione seguita alla “Operazione Speciale”, a invitare il popolo russo a “distinguere i veri patrioti dalle canaglie e dai traditori”, coprendoli di insulti mentre camminano per la strada. La conseguenza immediata di questa pratica di delazione generalizzata è la creazione di un clima totalizzante di mutuo sospetto, e di reciproca diffidenza degli uni verso gli altri, risvegliando così gli “animal instinct” del totalitarismo di epoca staliniana. Sempre più ampie fasce della popolazione russa si attivano a sostegno del regime putiniano, per cui, come settanta anni fa, la delazione diviene pratica comune. Ora come allora, “fare la spia” presenta inizialmente una connotazione positiva, salvifica e prettamente contro-rivoluzionaria, per svilupparsi poi (come già sta accadendo) in una sorta di delirio di “self-policing” o di autocontrollo tra membri di una stessa comunità.

Sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina la rete filogovernativa di informatori è divenuta un vero e proprio pilastro di regime e un efficiente meccanismo di controllo dell’opinione pubblica. Risultato? Tutto quello che non è già sfuggito dalle maglie strettissime dei controlli della polizia politica (com’è accaduto nel caso degli oppositori del regime riparati in esilio), viene intrappolato nel meccanismo perverso dei processi e delle incarcerazioni pilotati e, soprattutto, nella rete di delazione diffusa che consente allo Stato di andare in profondità per colpire il dissenso minuto espresso da privati cittadini. Anche consultare in metropolitana il proprio smartphone diviene un esercizio altamente a rischio, se sullo schermo appaiono immagini che suonano di discredito rispetto al ruolo dell’esercito russo. L’anonimo vicino che ti denuncia utilizzando il proprio cellulare, fa sì che tu venga fermato e arrestato a poche fermate di distanza, per essere poi processato e condannato a 14 giorni di prigione, in base alle nuove leggi di emergenza! Idem per quei due sfortunati avventori che commentavano criticamente tra di loro al ristorante le sorti della guerra, i quali si sono ritrovati all’improvviso faccia contro il pavimento, ammanettati da agenti mascherati. Soltanto nel 2022, il responsabile di Stato per la censura ha ricevuto 284mila denunce (numero che non comprende i report di polizia, né quelli dei servizi di sicurezza), che hanno riguardato nella stragrande maggioranza post pubblicati su Internet, contenenti informazioni non autorizzate e fake news in merito all’“Operazione Speciale” in Ucraina.

I sociologi russi hanno provato a sindacare le ragioni di questi improvvisati informatori e, come al solito, hanno scoperto che molti agiscono assecondando un proprio interesse nel caso ci sia da ottenere un vantaggio sociale, ma molti altri lo fanno senza voler in cambio alcuna contropartita. La denuncia serve cioè, in non pochi casi, a dimostrare allo Stato e al regime che si è dalla sua parte. E così facendo, questo tipo di delatore ritiene sinceramente di proteggere il gruppo dei suoi pari dagli attacchi dall’esterno, e di mantenere il controllo punendo i presunti “traditori”. Questo clima diffuso di delazione ha creato occasioni d’oro per i truffatori che non mancano mai, i quali minacciando le loro vittime designate di accusa di tradimento per aver inviato soldi all’esercito ucraino, offrono ai malcapitati di aprire un nuovo conto bancario, in cambio del proprio silenzio. Psicanaliticamente, per capire meglio questo stato di cose, vale la pena di rileggere con attenzione il recente saggio di Massimo Recalcati, “La luce delle Stelle morte”, a proposito della “Nostalgia” buona e cattiva, la prima ridenominata melanconica, mentre la seconda, molto più positiva e costruttiva, è associata alla “gratitudine”. Ovvero, quest’ultima ha lo stesso significato di saper fare tesoro della luce di stelle morte milioni di anni fa i cui raggi luminosi però, a causa della loro siderea distanza, continuano ad arrivare ancora oggi sulla terra. E simile è la luce che viene dal nostro passato, fatto di ricordi nostalgici e non più attualizzabili di persone, luoghi, giovinezza e amori perduti.

Se siamo semplicemente grati alla vita per averceli dati quei momenti, allora una volta elaborato il lutto dell’oggetto perduto e della sua irreversibile assenza, ci si può dare uno nuovo slancio in avanti, nutrendo il desiderio di fare nuove esperienze, per attraversare altre storie e nutrire e provare piacere dai frutti nuovi dell’albero della vita, fino alla fine dei nostri giorni mortali. Ecco, paradossalmente (ma non tanto, dal punto di vista della psicologia di massa) tutto ciò vale anche per i popoli. E, oggi, per moltissimi russi, soprattutto residenti nelle aree non urbanizzate della Russia rurale, la perdita dell’Urss e del prestigio imperiale zarista e post-zarista ha lasciato ferite aperte, sanguinanti, e lutti non elaborati, tutti compressi nella fattispecie della Nostalgia melanconica, che si mette perennemente il morticino in casa rifiutando di seppellirlo, cronicizzando così la reazione luttuosa e preferendo morire assieme all’oggetto perduto, piuttosto che recuperare al mondo la propria libido, il desiderio di cose ed esperienze completamente nuove. Putin è il catalizzatore di questo imprigionamento melanconico del suo popolo e, purtroppo per lui, la Storia lo giudicherà per quel che si merita.


di Maurizio Guaitoli