martedì 28 marzo 2023
Dopo l’esternazione (del 21 febbraio) del presidente tunisino Kaïs Saïed, dettata dalla sua visione complottista, dove leggeva la presenza e l’arrivo di migranti subsahariani in Tunisia come una cospirazione criminale volta a indebolire l’identità arabo-islamica tunisina, la situazione nella regione è esplosa. Le accuse di congiura sono rivolte a soggetti, considerati abili manovratori di flussi umani, che hanno ricevuto ingenti somme di denaro – non è chiaro da chi – per favorire l’entrata e la permanenza di migrati subsahariani nel Paese.
Dopo questi fatti la Tunisia, già in fibrillazione per la deriva autoritaria che il presidente sta “costituzionalmente” tentando di imporre e per la profonda crisi socio-economica, le morti per naufragio davanti alle coste tunisine sono moltiplicate. Restando circoscritti a poche miglia dal versante dello Stato nordafricano, qui diversi migranti in questi ultimi giorni sono annegati in una serie di naufragi e altri sono dispersi. La fuga dalla Tunisia è stata spinta a seguito del discorso di Saïed sull’immigrazione clandestina dal Centro Africa. Da marzo, gli oltre ventunomila africani sub-sahariani registrati ufficialmente in Tunisia, la maggior parte irregolari, che in vari modi si sostenevano lavorando – non con sussidi statali – hanno iniziato a perdere sia l’impiego, generalmente occasionale, sia gli alloggi che erano riusciti ad ottenere. Così, si sono trovati in poche ore senza il minimo ancoraggio sociale. Come è noto, la maggior parte dei migranti sub-sahariani giunge in Tunisia per poi immigrare illegalmente via mare in Europa, ma soprattutto in Italia, partendo da alcuni tratti della costa tunisina distanti meno di centocinquanta chilometri dall’isola di Lampedusa.
Il primo ministro, Giorgia Meloni e il presidente francese, Emmanuel Macron, venerdì a Bruxelles, hanno chiesto di sostenere la Tunisia che sta affrontando una profonda crisi finanziaria. Il supporto ai dirimpettai del Mediterraneo è necessario al fine di contenere la forte pressione migratoria che cronicamente questo Paese rappresenta per l’Europa. Ora, Roma teme un’esplosione del flusso di migranti verso le coste nazionali, già quotidianamente teatro di naufragi e sbarchi difficilmente controllabili – nonostante i recenti provvedimenti del Governo – favoriti dalle difficoltà economiche e politiche della Tunisia, dal bel tempo che facilita gli attraversamenti e anche dalle varie organizzazioni, Ong e altre, che fanno della migrazione una ragione più economica che umanitaria. E spesso anche politica, assumendo una connotazione partitica estrema. Tuttavia, nel suo complesso, i massicci flussi migratori diretti verso l’Italia di questi ultimi giorni, provenienti anche dalla Libia, sollevano considerazioni che spaziano oltre le consuete cause migratorie.
Il presidente Saïed da tempo sta negoziando con l’Fmi, il Fondo monetario internazionale, un prestito di quasi due miliardi di dollari per far fronte alla crisi economica. Ma da ottobre, quando annunciarono di avere raggiunto un accordo di massima tra le due parti, le relazioni si sono ufficialmente insabbiate a causa della scarsa affidabilità dell’attuale politica tunisina. La situazione al momento è decisamente delicata, tanto che Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, lunedì ha annunciato che la situazione in Tunisia sta diventando molto pericolosa.
È evidente che il Governo di Saïed non ha un orizzonte lungo, e la sua stabilità vacilla. Se lo Stato collassasse, senza una immediata alternativa politica, si spalancherebbero le porte di una classica dinamica anarchica che si esprimerebbe con un incremento dei flussi migratori verso l’Europa. Inoltre, un’eventuale precarietà politica acuirebbe l’instabilità nella regione del Nord Africa e del Medio e Vicino Oriente. Comunque, il Governo tunisino ha definito l’affermazione di Borrell non proporzionata allo stato dei fatti, anche se ritiene fondamentale l’aiuto economico del Fondo monetario per reggere all’urto destabilizzante che sta serpeggiando nel Paese.
Ma gli aspetti di questa crisi sono molteplici. Brevemente: la migrazione dall’area sub-sahariana è dettata da una dinamica legata soprattutto alla cronica crisi economica e sociale di questa area, accompagnata dalla presenza sempre più devastante dello jihadismo. In Tunisia questi migranti si collocano in fasce lavorative estreme, molto vicine a un sistema schiavista; le donne spesso vengono sfruttate anche sessualmente negli ambiti dove trovano una pseudo-occupazione. Gli uomini sottopagati o non pagati, non di rado, sopravvivono grazie alla loro grande abilità di resistenza. Tutti sono sfruttati fino all’imbarco nelle tipiche “bare del mare”, che dopo aver percorso poche miglia iniziano ad affondare. I tunisini che stanno patendo una crisi economica, frutto anche del fallimento della “primavera araba” del 2011, già attratti dall’Europa per ragioni storiche, e con la possibilità di una più facile integrazione rispetto ai sub-sahariani, si spingono verso le frontali coste con la consapevolezza che anche il generoso welfare occidentale li assisterà. Tutti i migranti, peraltro, superata la metaforica “porta d’Oriente”, entrano in Europa con la certezza della “presenza” dei diritti umani, “fattore” generalmente sconosciuto nei contesti di origine.
Il problema di base di questi flussi migratori è che, chi sfugge al ferale abbraccio del mare, favorito da spregiudicati scafisti che colmano imbarcazioni spesso non atte alla navigazione, e raggiunge l’agognata sponda, poi si colloca in quella nutrita schiera di soggetti solitamente non integrabili, sia per ragioni culturali che sociali. E che restano ai margini della società, del mercato del lavoro, e della produttività. Inseriti “eternamente” in opinabili contesti assistenziali, lontani da quell’etica – anche se appannata – sicuramente patrimonio culturale dell’Occidente, che vede nel “lavoro” la sua ragione.
di Fabio Marco Fabbri