Afghanistan: talebani in guerra contro le donne e lo Stato islamico

giovedì 16 marzo 2023


Il più incompetente Governo del pianeta, quello dei talebani, sta combattendo una guerra contro l’Isk, lo Stato islamico del Khorasan e contro le donne afghane. L’8 marzo è passato, ma se i riflettori si abbassassero solo per una questione di calendario, sarebbe una doppia offesa verso il mondo femminile, soprattutto per quello dell’Afghanistan, che è tra i più martoriati del Pianeta.

Oggi nel fronte talebano questi musulmani sunniti, che osservano la plumbea “scuola di pensiero” deobandi, devono confrontarsi con l’espressione regionale dello Stato islamico Isk – circa la visione istituzionale dello Stato. Infatti, lo Stato islamico lotta per avere l’Afghanistan in un Califfato globale, mentre i talebani hanno formalizzato l’Emirato islamico, quindi un’autonomia governativa guidata, appunto, da un emiro. Tuttavia, l’Isk continua il suo logoramento verso le istituzioni talebane, come la recente uccisione, avvenuta il 9 marzo, del governatore della provincia afghana di Balkh, Mohammad Dawood Muzammil, già rappresentante governativo della provincia orientale di Nangarhar, notoriamente acerrimo nemico dell’Is. Muzammil, uno degli storici leader talebani, è rimasto ucciso per mano di un attentatore suicida, che si è fatto deflagrare nell’ufficio governativo. È il più anziano capo talebano a essere stato annichilito dall’agosto 2021, data del ritorno al potere dei “taleb”, “studenti”. L’uccisione del governatore della provincia di Balkh è arrivata un giorno dopo il vertice tra i capi talebani, celebrato a Balkh, dove è stato discusso un progetto di irrigazione previsto nell’Afghanistan del Nord.

Lo stillicidio dell’Isk in questi ultimi mesi è stato pesante. Ad agosto un predicatore talebano – Rahimullah Haqqani – e suo fratello sono rimasti uccisi in un attentato suicida all’interno di una scuola coranica a Kabul. A settembre, Mujib ur Rahman Ansari, autorevole imam filo-talebano, è morto a seguito di un’enorme esplosione che ha provocato il decesso di altre diciassette persone. Il 12 dicembre, in un attacco perpetrato da alcuni soggetti armati contro un albergo della capitale afghana, sono rimasti feriti uomini d’affari cinesi ospiti della struttura. L’11 gennaio, un attentato suicida davanti all’ingresso del Ministero degli Esteri a Kabul ha provocato una decina di morti e oltre cinquanta feriti, come dichiarato dal portavoce della Manua, Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan. Tutti attentati, questi, rivendicati dallo Stato islamico del Khorasan.

Ma i nemici dei “taleb” sono anche le donne. La dottrina talebana entrata in vigore il 15 agosto 2021 considera l’essere donna un peccato e persino un crimine. La Repubblica democratica dell’Afghanistan, che proprio in quella data ha cessato di vivere, da allora ha rappresentato un rifugio per i terroristi. E oggi è un Paese la cui popolazione va avanti in condizioni devastanti. Dalla presa di Kabul la Repubblica è diventata l’Emirato islamico dell’Afghanistan, guidato dal leader supremo dei talebani, il mullah Haibatullah Akhundzada. Infatti, la Costituzione del 3 gennaio 2004, redatta sotto il primo mandato del presidente Hamid Karzai, che nel preambolo garantiva l’osservanza della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stata congelata. Come ogni potere totalitarista, i talebani governano per decreti, che mirano essenzialmente a mantenere le donne in una condizione marginale.

I talebani, con la loro incompetenza, hanno accelerato la deriva economica del Paese e le condizioni minime di esistenza vacillano con maggiore intensità. Ciononostante, perseguono con ostinazione una guerra sociale che martoria soprattutto le donne. Il loro obiettivo è cancellare quel nuovo percorso che proiettava le donne afghane verso l’emancipazione, che è sicuramente l’unico beneficio dell’intervento statunitense del 2001. Infatti, contrariamente agli impegni presi negli accordi farsa di Doha del 29 febbraio 2020 tra l’allora segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, e il numero due dei talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar, i talebani appena preso il potere hanno subito espulso le giovani studentesse dai licei e dai college. A fine dicembre 2022, a metà dell’anno accademico, è stato loro vietato di proseguire gli studi universitari. Già a novembre, alle donne afghane era stato proibito l’accesso ai giardini pubblici, alle palestre e ai bagni pubblici. Le esplosioni di ribellione sono state ogni volta represse brutalmente.

Per ora non si scorge una benché minima possibilità di una reazione internazionale. Con il loro assordante silenzio, nemmeno c’è da aspettare un tentativo da parte dei Paesi musulmani, per poter aprire un ragionamento con i talebani sull’applicazione, o meglio l’abuso, che fanno dell’Islam. Inoltre, va considerato che il regime spietato dei talebani cerca di sfruttare le sofferenze imposte alla popolazione, per costringere le organizzazioni internazionali a fornire aiuti umanitari. Ciò significa flussi di denaro dati direttamente al Governo, che gestirà le liquidità alle sue condizioni. Quindi, per gli stretti interessi dell’Emiro e della sua corte.


di Fabio Marco Fabbri