venerdì 24 febbraio 2023
Il regime teocratico di Teheran è indubbiamente logorato, ma senza un concreto sostegno esterno anche la rivolta con fondamentali sfumature rosa, rischia il collasso. Lo sforzo di una generazione di iraniani rischia di essere stato parzialmente inutile; i dati del sacrificio di vite umane, anche se poco attendibili e comunque non verificabili, rivelano che oltre cinquecento persone hanno perso la vita, ma anche che almeno ventimila sono stati gli arrestati. Questo immane sacrificio potrebbe configurarsi semplicemente come un pedaggio relativo alla rivolta, un tributo per avere avuto la forza e il coraggio di dimostrare il proprio dissenso. Teheran è la madre di uno sciismo in crisi; buona parte del mondo arabo sunnita tiene nei suoi sotterranei sociali, legate simili potenziali ribellioni. Per questo motivo lasciano l’Iran al suo destino, risparmiandogli osservazioni o non prendendo alcuna posizione in merito; la paura di un contagio è ovviamente forte e non improbabile. Da parte sua l’utopista Occidente spera ancora che le sanzioni, politiche e finanziarie, possano avere effetti sul disequilibrio interno, così il movimento di protesta iraniano si indebolisce, ogni giorno è più stanco e perde la propria forza.
Le donne iraniane che hanno avuto la vivacità di mostrare tutto il loro disprezzo per un regime globalmente carnefice – libertà e vita – hanno guidato da metà settembre 2022, dopo la morte della ragazza curdo-iraniana Mahsa Amini, una ribellione storica per l’Iran. Ma ora le proteste, fatte anche da gruppi di poche decine di persone, sono state quasi totalmente represse, soprattutto nelle principali città. Quelle rare e audaci manifestazioni che ancora si verificano si svolgono sui tetti, durante le ore notturne, raramente nelle vie, e sempre con esigue presenze. Tuttavia i suoni di una nuova speranza di libertà echeggiano ancora nella regione etnica del Sistan e Balucistan nella zona sud-orientale dell’Iran confinante con il Pakistan, e a ovest nella regione del Kurdistan, anche questa caratterizzata da un’etnia, quella di Mahsa, ben definita e radicata. Tuttavia anche queste regioni sono state interdette, come il resto del Paese, dalla possibilità di accedere ai social in generale. Il regime ha bloccato ogni tipo di comunicazione “eterea”, ciò accentua la difficoltà di coordinare la mobilitazione, quindi questa emarginazione impedisce che l’eco delle grida venga sentito nelle grandi città iraniane.
Il movimento di protesta è così sotto pressione, e le autorità di controllo del regime hanno più facilità a reprimere le poche persone ancora in strada, arrestandole e spesso condannandole a morte. Questa generazione è ora il “nemico pubblico”, interno, principale degli ayatollah. La strategia del regime è quindi quella di immaginare che questo “genocidio generazionale” possa essere il salvacondotto per il proseguimento di un sistema pseudo-politico coscientemente impopolare. Il rifiuto di affrontare i crescenti problemi sociali si innesca nel rifiuto di rispondere alle richieste di un’apertura politica.
Ma le crepe all’interno del regime iraniano è noto che esistono, probabilmente si manifesteranno nel momento in cui il potere dell’Ayatollah Khamenei mostrerà la sua perdita di forza. Questo concetto è stato espresso anche sabato scorso a Monaco di Baviera da Reza Pahlavi, figlio dell’ex Scià di Persia rovesciato nel 1979 dalla “Rivoluzione islamica”, che oggi rappresenta una delle svariate componenti dell’opposizione al regime della Repubblica Islamica. “Il controllo totale dell’Ayatollah Ali Khamenei rende quasi impossibile per chi gli è strettamente legato prendere posizione contro di lui”, questo ha dichiarato Reza. Ma la diaspora iraniana ha diverse fazioni che tuttavia stanno cooperando per la stesura di un “piano” che raccolga e smussi i vari punti necessari per far nascere un consiglio di transizione che possa impostare un percorso verso le elezioni ed elaborare una nuova costituzione. Su questo programma espresso a Monaco da Reza Pahlavi si appoggiano un vasto numero di funzionari governativi tentati dal cambiamento ma per il momento cauti e soprattutto restii a esprimerlo pubblicamente. Un altro “spettro” che aleggia sull’agonizzante regime. Ma alla luce di quanto sta accadendo, e comunque si svilupperà la “questione iraniana”, l’unico modo per uscire dal pantano sociale iraniano è porre fine all’ingerenza del clero in politica, fattore complesso da liquidare ma essenziale.
di Fabio Marco Fabbri