Ucraina: la ricostruzione già ipotecata

giovedì 8 dicembre 2022


La distruzione dell’Ucraina prosegue. La carta vincente secondo lo “zar Putin I”, ovvero il padrone della Cecenia, Ramzan Kadyrov, nominato terza carica militare dell’esercito russo, sta proseguendo con disattese aspettative il suo compito di distruggere i gangli civili del Paese. Kadyrov ha focalizzato l’ordinaria tecnica di bombardare indiscriminatamente ogni struttura civile e le installazioni pubbliche con il fine di danneggiare, principalmente, la popolazione. Ma nonostante questa cinica tattica, rivolta soprattutto contro la parte più fragile della cittadinanza, lunedì il segretario di Stato alla Difesa britannico, Robert Ben Lobban Wallace, nel suo rapporto giornaliero sul conflitto ha rilevato che il numero degli attacchi di aerei da combattimento russi sull’Ucraina negli ultimi tempi è significativamente diminuito. Notizia, questa, confermata dal servizio di spionaggio britannico, che avverte come i bombardieri russi oggi abbiano una frequenza di decine di missioni al giorno, rispetto alle trecento di alcuni mesi fa. Martedì il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha comunicato che, dei circa settanta missili lanciati da Mosca, quasi sessanta sono stati intercettati e distrutti. Questi bombardamenti sono messi in atto “per far soffrire il più possibile gli ucraini”, ha continuato Zelensky.

Ora, la corsa per riparare gli impianti danneggiati è, essenzialmente, contro il freddo e il buio. Intanto, un picco di temperature gelide sta investendo l’Ucraina. Un tempismo che i russi hanno scelto per ostacolare la corsa alle riattivazioni di questi sistemi di approvvigionamento idrico ed elettrico. E per fiaccare, sia moralmente che fisicamente, la popolazione. Ormai quasi la metà delle strutture energetiche è stata danneggiata dopo mesi di attacchi sistematici. La società elettrica ucraina Ukrenergo ha comunicato che le riparazioni di emergenza sono in corso, ma che sarà erogata energia non in continuità. Dovrà essere mantenuto un equilibrio tra produzione e consumo, quindi l’elettricità sarà fornita con priorità ai servizi essenziali. Tuttavia, mentre gran parte del fronte nell’Ucraina orientale è ghiacciato, i combattimenti più pesanti si stanno svolgendo, secondo fonti ucraine, intorno alla città di Bakhmut, nell’oblast di Donetsk, dove l’esercito russo sta perdendo circa un centinaio soldati al giorno.

Nel tragico quadro di questa devastazione, c’è una “linea” proiettata verso la ricostruzione. Gli Stati che stanno supportando in vario modo l’Ucraina, soprattutto gli Usa, ottimizzeranno il loro impegno e saranno, senza dubbio, gli artefici della ricostruzione. Infatti, gli Stati Uniti, nonostante appaiano a volte un “impero traballante”, con una influenza politica in apparenza tendenzialmente corrosa, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno nuovamente mostrato il livello del proprio potere politico ed economico nell’ambito strategico della difesa e dell’energia. Così, forniscono sia gli armamenti agli ucraini, ipotecando il futuro ricostruttivo del Paese, sia il gas naturale liquido agli europei, impegnando un “servizio” a prezzi alti e poco discutibili. Obiettivamente, dopo il 24 febbraio, i produttori statunitensi di gnl (gas naturale liquefatto) hanno contribuito, con flotte navali giornaliere, al reintegro delle scorte europee di gas per compensare in parte il blocco delle esportazioni dalla Russia. Così come la fornitura di armi di ogni livello e specialità, l’addestramento dei soldati ucraini, l’opera dei servizi di intelligence Usa e una poco documentata “presenza militare mirata” hanno permesso a Kiev di riconquistare molti territori. Qualche Stato del Vecchio Continente ha forse fatto meglio?

Ciononostante, un notevole numero di intellettuali e politici europei tacciano gli Stati Uniti di essere degli “approfittatori della guerra” (accusa ovvia, in quanto i conflitti bellici a questo servono). Per contro, Washington ha affermato che dall’inizio del conflitto gli aiuti statunitensi, nell’ambito finanziario, militare e umanitario, hanno toccato i sessantasei miliardi di dollari. E saranno oltre cento i miliardi, se entro la fine dell’anno il Congresso Usa voterà il nuovo stanziamento di spesa proposto dalla Casa Bianca. Il quotidiano austriaco Die Presse riporta che Anna Bjerde, vicepresidente della Banca mondiale per l’Europa e l’Asia centrale, stima il costo della ricostruzione delle infrastrutture ucraine danneggiate o completamente distrutte dalla Russia tra i cinquecento e i seicento miliardi di euro. È evidente che uno Stato senza infrastrutture non ha economia e, conseguentemente, non gode di un gettito fiscale per il funzionamento dello Stato stesso. Da qui la necessità dei “supporter” di finanziare anche il funzionamento della nazione.

Gli Stati Uniti capitalizzeranno questo impegno? Ovviamente sì. L’Ucraina, quando si potrà ricostruire, avrà nelle imprese statunitensi e suoi stretti collegati, britannici in testa, gli attori principali. La ricostruzione di migliaia di case ridotte in macerie, di diverse centinaia di scuole distrutte, di centrali elettriche da ripristinare, di industrie bombardate, di ponti, strade e infrastrutture ferroviarie sono già nei programmi di un prossimo intervento e all’attenzione anche dei leader europei, Ursula von der Leyen e Olaf Scholz in testa.

Un grande esperimento economico, all’ombra del “concetto” del Piano Marshall, ma nel quadro di una sfida tra potenze nucleari, dalla quale emerge continuamente l’affannosa minaccia del presidente russo di farne uso. Una “litania nucleare”, quella di Putin, diffusa dai media mondiali come se fosse l’unico in possesso e in grado di ricorrere all’arma atomica. Ricordo che “nell’Area dei coinvolti” sono sulla rampa di lancio almeno ventimila bombe atomiche (sono solo circa seimila quelle dello Zar). Tutto il “materiale” è destinato a restare nelle canne di lancio. Eppure, Putin lo rispolvera nei momenti di difficolta solo per ricordare di esserne in possesso.


di Fabio Marco Fabbri