Iran, i tg italiani tacciono mentre va a fuoco la casa di Khomeyni

sabato 19 novembre 2022


L’informazione italiana peggiora ogni giorno di più. Il titolo di un saggio sui nostri Tg potrebbe essere: “È sempre l’ora delle notizie infime”. Trionfano politici che si picchiano a sangue come cretinoceronti, persone che erano giovani e forti e ora sono contorti dalla guerra per bande. Come si possono seguire i tg delle 20 se non si è almeno robusti come un grizzly? Kafka descrive così l’autolesionismo del cittadino che si informa male e che poi crede di essere un so tutto io: “È come un animale che strappa la frusta in mano del suo padrone, per frustarsi da sé, e così illudersi di essere libero e non più servo”. Nei Paesi della tecno-democrazia non ci massacra il Governo: ci massacriamo da soli, con l’aiuto della nostra informazione. Nelle nazioni dove invece la libertà manca in maniera totale e per mano diretta del Potere, il problema non è perdere la testa per autorincretinimento, ma perdere la testa per davvero.

L’Iran è un incubo, perché è abitato da gente laica e da giovani per i quali internet non significa mettere dei cuoricini sui post Instagram, ma è l’unica fonte di notizie, a parte il passaparola fisico e diretto. Nessuno più vuole le guide supreme, gli ayatollah, il velo sulla testa. Tutti odiano i poliziani della polizia morale e i pasdaran che sparano sui giovani che cantano nelle strade. I ragazzi iraniani vorrebbero vivere come le generazioni Z del resto del mondo: immersi in una musica “chill” (rinfrescante), oppure intenti nel “cringe” (scappare per il disgusto) contro un potere che – a differenza del contesto afgano – è distante secoli dalla loro vita reale.

Quella iraniana è una nuova forma di rivolta. È priva di leader e non è armata, perché non vuole la guerra col potere, ma una vita non regolamentata da leggi politico-religiose che insultano ogni fede e ogni politica. Qualcosa di simile è forse stato il movement americano degli anni Sessanta, quello delle comuni agrarie e cittadine dove, a parte il sesso e la marijuana, si cercava l’autonomia da un sistema culturale soffocante che costringeva ad andare in Vietnam a morire. Un altro esempio di rivolta esistenziale (più profonda di quella sociale) è stato il 1977 a Bologna, dove il potere era rappresentato da un Pci totalitario e incapace di dare spazio alle culture non “conformi” al post-marxismo. Era comunque un Pci culturalmente più dinamico della Democrazia cristiana, anche se soffocava la vita dei cittadini con una burocrazia molecolare e brezneviana. Ero un fuori sede universitario a Bologna, allora, e mi stupivo nel vedere ogni sera tutti i commercianti del centro di Bologna “dove non si perde neanche un bambino” che alle 19.30 in punto tiravano giù le saracinesche, davanti a te, che volevi comprare una mozzarella e un panino. Immaginavo che fosse il sindaco stesso a dare il segnale, dal suo palazzo in Piazza Maggiore. Cose che nemmeno in Svizzera.

In Iran la rivolta è semiotica: contano i gesti e i fatti, non le parole. Baciarsi è rivoluzionario, togliersi il velo lo è anche di più, come il tenersi per mano, informarsi liberamente, non dover leggere fumetti su cui se un disegnatore vuole raffigurare una gallina ha l’obbligo di rivestirla con una mutandina sulle terga. Queste follie non hanno alcun senso, eppure le cose stanno così. Ieri gli iraniani hanno fatto un passo in avanti, ma sempre senza colpire nessuna persona: hanno dato fuoco al seminario di Qom, città santa per gli sciiti. Hanno dato fuoco anche alla casa-museo di Ruhollah Khomeyni nella sua città natale, come riporta Mariano Giustino, corrispondente dal Medio Oriente per Radio radicale. Il paragone tra i quasi 15mila giovani arrestati perché non erano liberi di camminare senza velo o di cantare una canzone, e gli attivisti ambientali che in queste settimane attuano una campagna di imbrattamento delle cornici e dei vetri di opere d’arte dal valore immenso (Klimt, van Gogh) è imbarazzante. Gli ambientalisti inquinano quadri e gli ambienti dei musei perché sono contro l’inquinamento? Forse sarebbe più coerente – e più importante per lo stesso ambiente – solidarizzare con i giovani iraniani in lotta per la loro stessa esistenza. Ma tutti noi dovremmo ricercare una vita migliore. Se non la vogliamo per chi è terribilmente represso, come potremo migliorare i nostri Tg e i nostri quotidiani? Come potremmo pretendere un’informazioni migliore e più attenta a quanto succede nel mondo invece che alle baruffe miserelle dei nostri personaggi pubblici, deputati e sindaci, influencer, attori e cantanti, ovvero l’aristocrazia del XXI secolo. Visto che sono quasi tutti stonati, perché doverli sentire ogni sera? Diamo quindi voce al meglio, non al peggio, di noi stessi.


di Paolo Della Sala