Brasile post-elezioni: intervista ad Adriano Gianturco

venerdì 4 novembre 2022


Chissà se il nuovo Governo Meloni riuscirà ad aprire la cassaforte del Brasile, nona economia mondiale dopo l’Italia. Un interscambio più alto e strutturato farebbe la fortuna di entrambi i Paesi. Cercasi un Giuseppe Garibaldi economico… Il motivo? Ecco un veloce elenco:

prodotti alimentari. Il Brasile nel 2019 è stato il più grande produttore mondiale di canna da zucchero, soia, caffè e arancia; il secondo produttore di papaya; il terzo di mais, tabacco e ananas; il quarto di cotone; il quinto produttore di cocco e limone; il sesto di cacao; il nono di riso. Il Brasile è il primo esportatore di carne di pollo al mondo, il secondo di carne manzo, il terzo di latte, il quarto produttore mondiale di carne maiale e il settimo produttore di uova;

settore minerario. Il Brasile è il secondo esportatore mondiale di ferro, uno dei cinque maggiori esportatori di rame, oro, bauxite, manganese. Ha il 98 per cento di riserve mondiali di niobio. Il Brasile è il maggior produttore di ametista, topazio, agata e uno dei principali di tormalina, smeraldo, acquamarina e granati;

– industria ed Energia. Petrolio, eolico e idroelettrico rendono il Paese esportatore di energia, e indipendente dall’estero. L’industria è sviluppata soprattutto a Belo Horizonte e a San Paolo, la cui area metropolitana raggiunge i 27 milioni di abitanti (sei milioni di origine italiana). Dopo uno sviluppo impetuoso, l’industrializzazione si è fermata, colpita forse dall’infinita stagnazione del Sud America (dove però Cile e Colombia hanno performances molto buone). E, chissà, dal pregiudizio di sinistra contro il libero mercato indipendente dalla politica (vizio esistente anche nella destra sudamericana, e non solo). In alternativa, si è sviluppata la rete di grandi costruttori edili e di infrastrutture come strade, ponti, dighe e aeroporti (mila in tutto il Paese, quasi come gli Usa). Tuttavia, nelle opere pubbliche è inevitabile il contatto coi governi del Paese. L’ex presidente Dilma Rousseff, marxista ed ex guerrigliera al tempo dei colonnelli, governò dal 2011 al 2016 prima di essere travolta da una crisi economica e da un’inchiesta che la portò in carcere (come è avvenuto anche all’attuale presidente Lula da Silva), perché coinvolta in uno scandalo alla Mani Pulite tra la compagnia Petrobras e la politica, tramite tangenti e corruzione. Furono colpiti molti dirigenti del Partito dei Lavoratori (Pt), partito che si definisce ancora oggi marxista. Rousseff, infine, fu assolta, come lo stesso Lula.

Nasce dai processi contro il Pt la crescita della destra. Jair Bolsonaro, di origine veneta, dopo aver servito nell’esercito, da cui si dimise col grado di capitano, partecipò alla lotta politica prima nel Partido Democrata Cristão (di matrice democristiana) e poi nel Partido Liberal (Pl) conservatore e nazionalista. Il Pl è nato nel 2006 con il nome di Partito della Repubblica. La radicalizzazione di Bolsonaro è dovuta a opportunismo politico (polarizzare lo scontro) e anche a un accoltellamento ricevuto durante un comizio (2018), che certo ha influito sul suo aplomb.

La coalizione di Bolsonaro era di tre soli partiti: liberali, repubblicani e progressisti, legati in parte al centrão (centro), dal quale adesso Lula cercherà un appoggio.

Bolsonaro, negli anni, ha alzato il tiro, giungendo a lodare il regime dei colonnelli, che bloccò pesantemente il Brasile per lunghi decenni. Eppure, nonostante i limiti verbali e politici, l’ex presidente ha ottenuto quasi gli stessi voti di Lula, e in più avrà la maggioranza nei due rami del Parlamento di Brasilia. Lula per governare dovrà scendere a pesanti compromessi, allargando ulteriormente la Grosse Koalition che l’ha sostenuto. Il nuovo vicepresidente Geraldo Alckmin – che potrebbe gestire il ministero dell’Agricoltura, fondamentale per non trovarsi contro la potente federazione dell’agro business dello Stato di San Paolo – è stato il governatore conservatore di quello Stato. C’è quindi una crescente confusione dei ruoli tra sinistra e destra. Ciò spiega come mai un presidente “impresentabile” per i media mainstream mondiali e brasiliani ha ottenuto quasi lo stesso voto del Lula (criticato anche lui a sinistra per una corruzione etica, anche se non giudiziaria). Bolsonaro ha cercato di fare come Donald Trump, gridando allo scippo dei voti, ma non ha fatto l’errore di spingere la protesta del suo elettorato ai livelli del tycoon statunitense. Anzi, sta staccando la spina dei blocchi stradali di questi giorni. Si deve quindi capire che la situazione in Brasile non è affatto come viene dipinta dal mainstream internazionale e dal green washing.

Abbiamo chiesto un parere sul singolare stallo politico del Brasile ad Adriano Gianturco, coordinatore del corso di Relazioni internazionali e professore di Scienze politiche per l’università Ibmec di Belo Horizonte, oltre che autore e giornalista.

Bolsonaro è liberista, militar-conservatore o trumpiano?

È corporativista, militare, trumpiano.

Lula è un moderato del Partito Democratico italiano, un Marco Travaglio di sinistra, un marxista dichiarato come il suo partito? È davvero uscito pulito dalle inchieste giudiziarie?

Direi più un Travaglio di sinistra, anche perché la sinistra brasiliana è molto radicale. Lula invece non è stato assolto: la condanna è stata cancellata in modo sospetto.

Esiste in Brasile un’area moderata socialdemocratica o liberale?

Sì, il Psdb è un partito social-democratico e il Novo è un partito liberale.

I danni in Amazzonia sono nati con Bolsonaro oppure sono prepolitici ed esistono comunque, al di là della politica?

É un problema storico, nato già nell’Ottocento con l’industria della gomma a Manaus. Comunque, solo il 13 per cento dell’Amazzonia è stato deforestato fino a oggi. L’Amazzonia è più grande di tutta l’Europa. La deforestazione è avvenuta sotto tutti i governi, inclusi quelli di Lula.

Come si collocano i media in Brasile?

Eccetto poche eccezioni, sono molto di parte: mentono, omettono e manipolano. La libertà di stampa e di espressione non è molta, in tutte le direzioni politiche, anche se la maggioranza dei media si colloca a sinistra.

San Paolo è sempre la Milano del Sudamerica?

Sì, la ricchezza della nazione si genera in gran parte a San Paolo: in Brasile gli Stati del sud, più sviluppati rispetto al nord più arretrato, hanno tutti votato a destra.

Ci sono stati sostegni da Cuba o Venezuela per il successo di Lula?

Nicolás Maduro sostiene Lula. Il Pt fa parte del Foro di San Paolo, organizzazione marxista dell’America Latina, che propone tra l’altro una moneta unica sul modello dell’euro, operazione che potrebbe risultare delicata e rischiosa.

Lula riuscirà a governare?

Questo è uno dei punti interrogativi. Il Pt sarà in minoranza, dovrà creare una coalizione ampia e multipartitica. Il nuovo Parlamento è più a destra di prima. L’appoggio di un partito si può sempre ottenere ma serve molto denaro. Stavolta non ci sarà la locomotiva cinese a trainare l’economia brasiliana. Quindi governare sarà complicato. Lula però è intelligente, furbo, è un bravo mediatore politico, ma non mi sorprenderei se ci fosse un altro impeachment.


di Paolo Della Sala