Verso un’Europa re-industrializzata

mercoledì 19 ottobre 2022


Finisce una fase della globalizzazione e del multiculturalismo

Premessa: da pochi giorni la Germania si è accorta che il suo capo della cybersicurezza era una spia della Russia. È l’ennesimo caso di infiltrazione sia nella politica che nella società del Vecchio Continente. Considerando che il Regno Unito si è chiamato fuori dall’Unione europea, solo la Francia è in grado di gestire una politica di sicurezza su scala internazionale (nonostante le brutte figure nel corso dei vent’anni di guerra jihadista). Il resto dell’Ue ha avuto un passato diverso da quello della Cecoslovacchia e della Jugoslavia solo grazie all’ombrello statunitense. Per giunta, l’Italia è priva delle particelle elementari della Storia, per cui corre sempre in soccorso dell’invasore. Proviamo a ragionare su un futuro meno disarmante per la geopolitica e la diplomazia – europea e italiana – in vista dei prossimi anni.

Molti analisti considerano che il vero nemico delle democrazie e della pace favorita dal libero mercato non sia Vladimir Putin ma Xi Jinping. Ciò era vero un anno fa ma il quadro potrebbe cambiare, se il macello del diritto internazionale da parte della cricca che comanda a Mosca sarà risolto in tempi non siderali. E se faremo in modo che l’India sia più coinvolta nel “Quad”, il Quadrilateral security dialogue che vede – oltre l’India – il Giappone, l’Australia e gli Stati Uniti.

È vero che Xi Jinping nel congresso del Partito comunista cinese gode – e godrà ancora – del potere assoluto con cui veniva rappresentato l’imperatore Ming nella saga di Flash Gordon creata negli anni ’30 da Alex Raymond. L’avventura spaziale di Flash Gordon risente dello stereotipo del “pericolo giallo” dovuto alla rivolta dei Boxer cinesi contro il colonialismo europeo. La paura della Cina era diffusa nel mondo anglosassone tra le due guerre mondiali, ma già prima in Russia, vedi il profetico “Racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solov’ev (1899). Nel Regno Unito, lo scrittore Sax Rohmer delineava nei suoi romanzi la figura di Fu Manchu, un potente cinese malvagio e perverso. Nelle avventure spaziali di Flash Gordon persino il nome del pianeta Mongo, contrazione di Mongolia, dà un’identità orientale e terrestre al nemico. Per Jonathan C. Friedman l’imperatore Ming, rappresentato nelle tavole del fumetto con la pelle gialla e connotato con il nome della più famosa dinastia cinese, così come Fu Manchu, era “l’incarnazione del timore dell’Occidente verso la minaccia gialla intenta alla conquista del mondo”.

Xi Jinping è il nuovo Mao Zedong: ha diritto di veto sulle stesse scelte del Pcc. Attualmente è segretario del partito, presidente e comandante in capo alle forze armate. Nei distinguo da Mosca e nel richiedere una de-escalation della guerra, Pechino lancia però un segnale: pur dicendo di voler invadere Taiwan, e pur ribadendo il suo sostegno (interessato) a Mosca, sarà costretta a concentrarsi sul controllo dei mercati di Asia, Africa e America latina. Ciò non toglie che Xi continuerà a rafforzare l’esercito, ma senza un forte export non sarà in grado di gestire il consolidamento della Cina come superpotenza, e la crisi geopolitica ed economica internazionale stanno decisamente contraendo il Pil cinese.

Un grande cancelliere tedesco, Konrad Adenauer, diceva: “Con le tigri è facilissimo mettersi d’accordo: basta farsi divorare”. Se l’Europa non vuole ripetere con Pechino il suo suicidio con il gas russo, deve rendersi conto che è finita una fase della globalizzazione. Dobbiamo anche uscire dall’errore del multiculturalismo: le dittature non hanno pari dignità rispetto alle democrazie, perché implicano sempre la guerra all’esterno e la repressione interna. La guerra contro l’Ucraina è “colpa” della cricca oligarchica di Putin, non è colpa nostra.

Pertanto, con la Cina l’Europa dovrà non solo chiudere (come già avvenuto in parte) la costruzione della “Via della Seta” e altre rischiose partnership, ma in generale dovrà ridimensionare la quantità dell’import dalla Cina, così come già fanno gli Usa. Ciò porterebbe a una nuova rei-ndustrializzazione dell’Europa, rivedendo la globalizzazione, come già indicava in nuce Zygmunt Bauman nel suo “Dentro la globalizzazione” (1998). Bauman non pensava soltanto a Russia o Cina, ma anche alle oligarchie nate in Occidente, una “élite sovranazionale isolata materialmente dalla località in cui si trova”. La globalizzazione – aggiungeva il professor Ricardo Petrella, citato da Bauman – “spinge le economie a produrre l’effimero (con la riduzione drastica della vita di prodotti e servizi), e il precario (posti di lavoro temporanei, con un calo del reddito da lavoro). In sintesi, Petrella parla del Made in China.

L’avvio di una globalizzazione 2.0 dovrebbe riconsegnare all’Europa la possibilità di produrre tecnologie di qualità, cioè di creare una filiera comune tra scienza, tecnologia, sapere e produzione di merci, con una maggiore attenzione alla qualità, a partire dagli studi scolastici. Per ottenere ciò, servirebbe la rinuncia alle ideologie che hanno bloccato ogni evoluzione culturale; la rinuncia al multiculturalismo che ha portato a parificare la jihad con le società laico-cristiane moderne, quella cultura che produce marce per la pace non sotto l’ambasciata russa o iraniana, ma sotto quella americana. Cioè una forma pseudo-democratica di giacobinismo. Soprattutto, servirebbe che quella parte dei media che ripropone l’Eterno ritorno della Rivoluzione sovietica in forme socialdemocratiche – in attesa di qualcosa di meglio – descrivesse all’opinione pubblica i vantaggi di una “società aperta”.


di Paolo Della Sala