Il regime iraniano: una crisi di legittimità dilagante

mercoledì 19 ottobre 2022


È molto probabile che anche il tenace “ciclo politico” che opprime l’Iran post Scià, 1979, sia giunto ad un punto di collasso.

 “...Nulla potentio perpetuo manent, fuerunt itali rerum domini, nunc turchorum incubatur imperiunt”; così citava Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II da Pienza, a settembre del 1453, riferendosi al 29 maggio dello stesso anno, quando i musulmani conquistarono una delle due teste del cristianesimo, Costantinopoli. E in effetti, sintetizzando, “nessun potere rimane perenne”.

Il percorso politico degli Ayatollah, caratterizzato da una visione coranica sciita oppressiva, imposta con l’ausilio anche dai pasdaran, le guardie della rivoluzione del popolo, sta mostrando forti segni di esaurimento. Tuttavia è innegabile che certe situazioni, che possiamo definire forzatamente politiche, non si scardinano con le elezioni. Quindi è molto probabile che anche da questa impasse gli iraniani potranno uscirne con il tradizionale colpo di stato, come generalmente accade sul nostro Pianeta.         

Dopo l’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza curda di 22 anni arrestata per “comportamento inappropriato”, si sono innescate una serie di manifestazioni che sabato hanno fatto esplodere anche una protesta all’interno del carcere di Evin. Qui hanno perso la vita almeno quattro persone e oltre sessanta sono stati i feriti; dati da prendere con prudenza essendo stati divulgati da media ufficiali. Ma le tv iraniane, domenica, hanno trasmesso video e immagini che sembravano mostrare che la calma era tornata nella prigione. Il penitenziario di Evin è luogo di detenzione per chi ha commesso crimini finanziari e furti, ma anche per redimere donne e uomini che hanno compiuto reati di “coscienza”; vi “alloggiano” principalmente intellettuali, giornalisti, cittadini stranieri e con doppia nazionalità, nonché prigionieri politici, sostenitori dei Diritti umani, e membri delle organizzazioni occidentali. Mostafa Tajzadeh, è uno di questi detenuti, uomo riformista ed ex viceministro dell'interno. Durante la prigionia inviò una lettera aperta alla Guida suprema, Ali Khamenei, resa pubblica lo scorso 10 ottobre, dove denuncia che a Evin vengono calpestati i “diritti dei prigionieri”. Questa grande prigione è anche conosciuta come la “Bastiglia iraniana”, famigerata sia per la tipologia degli internati, che per le pesanti violenze che vengono inflitte.

Così anche domenica si sono verificate manifestazioni di protesta contro il regime nelle università di Teheran, Tabriz e Rasht, dove sono stati girati dei video pubblicati sui social, e dove gli studenti, come una litania, urlano: “L'Iran si è trasformato in una grande prigione. La prigione di Evin è diventata un mattatoio”. Si nota, in questi video, la forte reazione delle forze antisommossa che sono state dispiegate massicciamente. Le organizzazioni per i diritti umani, tramite informazioni trasversali, hanno stimato che oltre 250 manifestanti, di cui una trentina di adolescenti, siano stati uccisi durante le azioni di repressione. Per contro le tv statali affermano che negli scontri di sabato sono stati uccisi, dai detenuti, circa 26 agenti delle forze di sicurezza. Il Governo iraniano ha accusato dei disordini i nemici interni, coadiuvati da “influenze straniere”, e nega che le forze di sicurezza abbiano ucciso i manifestanti. 

Inoltre all’affermazione del Presidente statunitense Joe Biden, rilasciata durante la sua visita in Oregon sabato 15, dove ha elogiato lo sforzo degli iraniani contro il regime, ha risposto il ministero degli Esteri iraniano Mohammad Djavad Zarif, che ha definito interferenze le osservazioni del presidente americano. Ebrahim Raisi, presidente iraniano, ha affermato che Joe Biden incita “il caos, il terrore e la distruzione e dovrebbe ricordare le parole eterne del fondatore della Repubblica islamica che definì l'America il grande Satana”.

Intanto lunedì, durante una manifestazione pro regime, imposta a studenti ed insegnati di un liceo Ardabil, città ricca di storia e situata nel nord-ovest del paese, non lontano dal Mar Caspio, Asra Panahi, studentessa di 16 anni che con altre colleghe si era opposta a questa sceneggiata, è stata travolta dalle forze di sicurezza e uccisa.

Comunque, che sia una provocazione del regime, o una ribellione generalizzata, sta di fatto che il governo iraniano, sta soffrendo una crisi di legittimità; tra sommosse interne, un crescente isolamento internazionale dovuto anche all’accordo tra Israele e Libano. Inoltre il fatto che Teheran l’8 ottobre ha concluso un accordo con Mosca per la fornitura di missili terra-aria, tipo Fateh-110 e Zolfaghar, e che sta fornendo da tempo i droni kamikaze, definisce sia la debolezza della Russia, che risulta abbia perso dall’inizio della guerra oltre seimila mezzi da combattimento, ma soprattutto il profondo disorientamento del governo iraniano.

Tuttavia un cambiamento, ufficialmente, può avvenire solo dall’interno, probabilmente con il supporto dei nostalgici dello Scià Mohammad Reza Pahlavi e dei riformisti “laici”; magari facendo coincidere la “storia” della Bastiglia con quella di Evin, preferibilmente non attendendo il 14 luglio.   


di Fabio Marco Fabbri