Morire per Taiwan? Requiem per i due sistemi

giovedì 15 settembre 2022


Dunque, dopo Hong Kong, anche Taiwan subirà la stessa sorte nel 2049, anno del centenario della Repubblica Popolare? I cambiamenti geopolitici in atto (lento ma progressivo “de-couplingOccidente-Cina; crescente clima di confrontation tra Washington e Pechino; sostegno indiretto della Cina alla Russia nella guerra in Ucraina; e così via) suggeriscono che, con ogni probabilità, la famosa “Ricongiunzione con la Madrepatria” continentale, rivendicata con aperta aggressività dalla diplomazia dei “Wolf Warriors” di Pechino, avverrà forzosamente, con le buone e più probabilmente con le cattive, manu militari, molto prima di quella data, e non sarà certo indolore per l’Occidente e per i Paesi democratici di quella regione che si affacciano sul Mar Meridionale di Cina. La storia delle Due Cine è abbastanza (e tristemente) nota, per essere qui richiamata.

Basterà ricordare che, a seguito della così detta “Terzo- mondializzazione” dell’Onu, con il progressivo riconoscimento e ingresso nell’Assemblea di un numero crescente di Paesi in via di sviluppo, sono venuti meno i contrappesi a guida americana per ottenere la maggioranza dei voti assembleari al di fuori del Consiglio di Sicurezza. Tale dinamica ha fatto sì che si creasse uno schieramento internazionale nettamente favorevole a disconoscere Taiwan come unica rappresentante della Cina (quest’ultima già membro del Consiglio di Sicurezza fin dalla fondazione dell’Onu nel 1945), riconoscendo al suo posto la Repubblica Popolare Cinese. Cosa puntualmente avvenuta, con la Risoluzione Onu n. 2758 del 25 ottobre 1971.

L’impressione (vedi Financial Times, “Sqeezing Taiwan” del 6 ago 2022) è che la visita di Nancy Pelosi sia stata solo una scusa, una sorta di provocazione attesa da molto tempo dato che, in base alle analisi dell’intelligence occidentale, gli stati maggiori militari cinesi avevano pianificato già da molti mesi i preparativi per la più grande manovra militare della loro storia in prossimità delle acque territoriali di Taipei. L’iniziativa della speaker del Congresso degli Stati Uniti ha consentito a Pechino di dimostrare al mondo intero il suo credo nell’unica Cina, di cui Taiwan è parte integrante e irrinunciabile da ricongiungere a tutti i costi alla Madrepatria prima del 2049, anche con un blocco navale in grande stile per strangolare l’economia di Taiwan, costringendola alla resa preferibilmente “senza” uno sbarco via terra, che avrebbe costi elevatissimi per l’esercito cinese. Rimane il fatto che le guerre tra grandi potenze sono spesso state provocate da incidenti di confine apparentemente marginali.

Facile, a questo punto, in caso di provocazione cercata o involontaria, il paragone con quanto avvenne il 28 giugno 1914, a seguito dell’attentato a Vienna in cui rimase vittima l’erede al trono di Austria-Ungheria, quando fu proprio la stampa viennese con una campagna dissennata di odio a dare fuoco alle polveri che avrebbero incendiato l’intero continente europeo. Pertanto, conviene sia alla Cina che agli Usa conservare l’ambiguità strategica che ha finora retto l’equilibrio precario sulle sorti di Taiwan, dando spazio a ragionamenti del tipo: “Io rivendico ma resto a casa; Tu dici che stai dalla parte della mia vittima, ma in concreto anche tu rimani dove sei”.

Sugli aspetti pratici, il ricongiungimento di Taiwan alla Madrepatria è condiviso dalla maggior parte dei cittadini cinesi, convinti nazionalisti, tanto più che le motivazioni sia di Nancy Pelosi che di Xi Jinping hanno un carattere interno, non rilevando da un cambio di strategia internazionale, dato che la diplomazia americana non riconoscerebbe un’eventuale autodichiarazione di indipendenza da parte di Taiwan, né tantomeno Pechino sarebbe disposta né oggi né mai a rinunciare alla ricongiunzione dell’Isola al continente entro il 2049. Pertanto, le grandi manovre navali cinesi di accerchiamento costituiscono un atto provocatorio deliberato per un test “in vitro” sulla capacità e sull’effettiva volontà degli Usa di difendere Taiwan nel caso d’invasione.

La verità, come sostengono gli analisti militari americani, è che con la sua iniziativa Pechino ha mostrato al resto del mondo di “avere un piano coordinato”, e di poter pianificare un attacco a tutto campo contro l’Isola ribelle. L’esercitazione in grande stile di pre-blocco navale degli inizi di agosto 2022, e di quella successiva, è stata una sorta di prova generale, da cui sono emersi aspetti che lasciano intuire come un blocco effettivo metta ad altissimo rischio di abbattimento i voli civili, con il minamento dei porti da parte di sommergibili e l’impiego in grande stile delle forze aereonavali per il totale accerchiamento dell’Isola.

Allo stato dei fatti, tuttavia, il Pla (acronimo di “People Liberation Army”, come viene comunemente denominato l’Esercito cinese) non sarebbe ancora in grado di sostenere uno schieramento di forze in grande stile per un lungo assedio a Taiwan.

Il problema vero, però, qualora la Cina fosse intenzionata a ripetere tali esercitazioni con cadenze ravvicinate, riguarda il rischio di uno sconvolgimento radicale delle rotte commerciali mondiali (i costi assicurativi di trasporto andrebbero alle stelle!), che provocherebbe gravissimi ritardi nei rifornimenti mondiali di merci. In questo caso, tuttavia, la prima a essere danneggiata sarebbe proprio la Cina stessa, data la sua dipendenza dagli scambi commerciali con Taiwan per quanto riguarda le forniture di microchip, vitali in tutti i settori tecnologici che integrino processori all’interno dei loro prodotti industriali.

Pertanto, si ha l’impressione che il vero obiettivo della mossa recente di Pechino sia quello di suscitare un acceso dibattito interno alla società taiwanese, in merito ai costi socioeconomici di un rifiuto radicale e reiterato alla riunificazione con la Madrepatria. Più in generale, in caso di conflitto, le rotte marittime che transitano attraverso lo Stretto di Taiwan, e che sono tra le più trafficate al mondo, non sarebbero più sicure da utilizzare, provocando così una vera e propria, drammatica crisi nei commerci mondiali.

Previsione scontata, del resto, considerato che all’incirca l’88 per cento delle più grandi navi portacontainer del mondo transita attraverso lo Stretto di Taiwan (trasportando non solo semiconduttori e telefoni cellulari, ma anche vestiti, elettrodomestici e molte altre merci). In particolare, nei primi sette mesi dell’anno poco meno della metà delle 5.400 navi portacontainer in circolazione ha utilizzato quel tratto di mare.

Per tutti quanti però potrebbe ben presto scattare la Trappola di Tucidide, con l’innesco casuale di uno stato di aperta belligeranza tra Cina e Taiwan, vista la densità di mezzi e navi (cinesi, taiwanesi, americane e occidentali) che si sfidano con munizioni vere, in quelle che appaiono come autentiche prove di forza reciproche dissimulate sotto la voce “esercitazioni militari”. Come già evidenziato, queste ultime costituiscono, da parte di Pechino, la prova generale di un blocco navale totale tutto attorno a Taiwan (provocandone così la rovina economica e il conseguente tracollo dei commerci mondiali), mentre sul versante opposto di Taipei, potenziale assediato, sono utili a mettere in mostra tutti gli aculei velenosi del “porcospino” (porcupine in inglese e porc-épine in francese, vedi The Economist “How to become a porcupine” del 23 aprile 2022), costruiti ad arte per rendere particolarmente indigesta e dolorosa l’avventura del gigantesco predatore giallo.

Occorre ribadire che, in caso di attacco, anche per la Cina non sarà una passeggiata, dato che il 90 per cento dei suoi traffici commerciali con il resto del mondo passano per lo stretto di Taiwan, e il prevedibile embargo occidentale, sommato ai tempi lunghi e sanguinosi dell’invasione, potrebbe provocare in breve tempo il tracollo economico dell’intera economia continentale cinese.

Quest’ultimo, catastrofico scenario metterebbe ad alto rischio la leadership di Xi, che perderebbe il consenso popolare derivato dalla redistribuzione della ricchezza su tutte le classi sociali dell’intera popolazione, grazie alla crescita sostenuta del Pil cinese negli ultimi tre decenni. Per ora, però, si può stare tranquilli: nessuna decisione tragica sarà presa prima della fine del prossimo Congresso del Partito comunista, previsto per questo autunno, che dovrebbe riconfermare il suo attuale presidente per un ulteriore mandato.


di Maurizio Guaitoli